 ULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA detta «del
perdono»
26.02.2017
Luca 15, 11-32
Rferimenti : Osea 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18. 21-22 - Salmo 102 -
Romani 8, 1-4
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Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me
benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non
dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le tue
colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua
vita, ti circonda di bontà e misericordia. |
Osea 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18. 21-22 Il Signore
disse a Osea: «La loro madre ha detto: “Seguirò i miei amanti, /
che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la mia lana, il mio
lino, / il mio olio e le mie bevande”. / Perciò ecco, ti
chiuderò la strada con spine, / la sbarrerò con barriere / e non
ritroverà i suoi sentieri. / Inseguirà i suoi amanti, / ma non
li raggiungerà, / li cercherà senza trovarli. / Allora dirà:
“Ritornerò al mio marito di prima, / perché stavo meglio di
adesso”. Non capì che io le davo / grano, vino nuovo e olio, / e
la coprivo d’argento e d’oro, / che hanno usato per Baal. /
Perciò, ecco, io la sedurrò, / la condurrò nel deserto / e
parlerò al suo cuore. / Le renderò le sue vigne / e trasformerò
la valle di Acor / in porta di speranza. / Là mi risponderà /
come nei giorni della sua giovinezza, / come quando uscì dal
paese d’Egitto. / E avverrà, in quel giorno / – oracolo del
Signore – / mi chiamerai: “Marito mio”, / e non mi chiamerai
più: “Baal, mio padrone”. / Ti farò mia sposa per sempre, / ti
farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nell’amore e
nella benevolenza, / ti farò mia sposa nella fedeltà / e tu
conoscerai il Signore». Osea è un uomo
innamorato e insieme tradito dalla sposa che ha amato e continua
ad amare. Osea abita nel regno d'Israele, che si è distaccato da
Gerusalemme al tempo della morte di re Salomone. In questa zona
si è diffusa l'idolatria e ci sono molti templi pagani, dedicati
agli dei fenici. L'idolo conosciuto è Baal, "il Signore, il
potente, il dominatore, il padrone". Esiste una classe
sacerdotale che domina il paese e tiene nei templi le prostitute
sacre, alimentando così i profitti e la superstizione delle
popolazioni che si sono allontanate dal Dio della liberazione.
Osea ha sposato una di queste prostitute da cui ha avuto tre
figli. Ma poi, via via, la sua sposa si è stancata della vita
matrimoniale e ha ricominciato a desiderare l'antica abitudine
del rapporto con gli idoli, i devoti degli idoli che salgono ai
templi e i loro sacerdoti. Osea scopre che la sua vicenda
assomiglia alla disavventure della religiosità del nord. Chi
domina sfrutta, si arricchisce e abbandona i poveri che
aumentano mentre l'immoralità dilaga. Dio è lontano ma nella sua
solitudine Osea incomincia a pensare di essere stato abbandonato
da Gomer come Dio è stato abbandonato da Israele. Eppure egli
continua a sentire amore per questa sua moglie come Dio continua
a sentire amore a questo suo popolo che si è allontanato. Non
valgono i castighi e non valgono i rifiuti. Il cuore di Osea è
il cuore di un innamorato che sa essere fedele. E come Dio
attraverso i suoi profeti, Osea ripensa ad una strategia di
riavvicinamento e accetta di umiliarsi e di riaccogliere Gomer
che, nel frattempo, sta dando segni di stanchezza e di
delusione. Perciò le parole di Osea diventano le parole
del perdono di Dio. Così quel Dio che è stato chiamato il
Liberatore, il Pastore, l'Alleato, per la prima volta è chiamato
Sposo. È un'immagine ardita, che obbliga a ripensare a rapporti
nuovi, di profonda intimità e amore. Il profeta rilegge la
storia di Israele: la solitudine dell'Egitto, l'innamoramento
gratuito della sposa disprezzata e schiava, il fidanzamento nel
deserto. Così si intrecciano storia e simboli mentre la sposa
fiorisce in bellezza e riceve infiniti doni dalla terra su cui è
stata collocata. I versetti, dal 16 al 22, raccontano i progetti
del nuovo fidanzamento sia di Osea sia di Dio. San Gerolamo, il
grande traduttore della Bibbia in latino, nel secolo V, ricorda
che il verbo usato per annunciare le nuove nozze con Israele
(usato nella Bibbia 11 volte) è riferito alle ragazze vergini.
Dio restituisce lo splendore della verginità alla prostituta
perché la ama, la perdona e la rigenera nella sua bellezza. Il
dono di Dio è uno splendido regalo di nozze, costituto da 5
offerte: la giustizia, il comportamento corretto, l'accoglienza
che porta misericordia, l'amore e la fermezza nella fedeltà allo
sposo. La venuta di Gesù realizza il matrimonio tra Gesù e il
suo popolo e Gesù accoglie, perdona e muore pur di salvare e di
garantire la sua Chiesa. |
Romani 8, 1-4 Fratelli, non c’è
nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la
legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato
dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era
impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio
lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne
simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha
condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della
Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne
ma secondo lo Spirito. Il capitolo precedente
conclude con il v 25: "Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù
Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la
legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato".
Infatti verifico che, da una parte, con la coscienza, mi
sottometto alla legge di Dio, ma a questo atteggiamento se ne
contrappone un altro: seguendo la sua debolezza, nella carne
obbedisco alla legge del peccato. E se la legge di Mosé è, di
per sé, giusta, santa, ed educa al bene, in noi scopriamo più
forte la legge del peccato che ci conduce verso il male: "Vedo
ciò che è giusto, lo voglio eppure faccio il male che detesto"
(7,15). "Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (7,24). Ma
noi siamo nella legge dello Spirito poiché aderiamo a Gesù e in
noi non c'è più una radice di condanna. La nostra peccaminosità
e la nostra debolezza, trasferite in Cristo, sono state
distrutte con la sua morte fisica. Così Gesù, che libera, ci fa
passare al dominio di Dio e lo Spirito offre la sua legge 8,2).
Da Gesù ereditiamo nuovi stili e valori che inglobano ancora, e
insieme superano, la sapienza della Prima Alleanza, "la
giustizia della legge" (8,4). Il superamento, per l'unione a
Cristo, mediante la fede, si riassume nel comandamento
dell'amore. "La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza
della Legge infatti è la carità" (13,10). Questa è la scelta di
Gesù nella sua morte, questa è la vera giustizia della legge,
portata da Gesù risorto. E' uno stile impegnativo, totalmente
nuovo nella quotidianità e spesso improbabile. Ma, come
cristiani, siamo richiamati a vivere la forza della presenza
dello Spirito che abita ogni giorno in noi e che stabilisce
alleanza e comunione con Dio e con Gesù. Ma bisogna dire che lo
Spirito ci incoraggia perché, nella quotidiana esperienza, sia
possibile fare esperienza della sua diffusione che opera in noi
e attorno a noi e, quanto meno lo immaginiamo, abbiamo piccoli e
grandi esempi dello Spirito di Dio. Si tratta di intravedere i
segni dei tempi, di scoprirli e di identificarli: e questo vale
per noi e la nostra speranza, e vale per le nostre comunità e la
loro fiducia nella storia spesso ambigua e oscura.
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Luca 15, 11-32 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre,
dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue
sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue
cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in
modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una
grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a
mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò
nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di
cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e
disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio
di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il
Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando
era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro,
gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato
verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo
figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più
bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai
piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,
perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è
stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si
trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le
danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello
gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva
entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre:
“Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e
tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che
è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le
prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre:
“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far
festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in
vita, era perduto ed è stato ritrovato”» Il capitolo
15 di Luca è il capitolo della misericordia, che dimostra la premura e il
volto di Dio, capace solo di amare. Ma proprio questo sconcerta coloro che
ritengono di essere vicini a Dio poiché, tutto sommato, pretendono il Dio
giustiziere. Tutto il capitolo è impostato su un'accusa a Gesù che li
scandalizza: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro"(15,2).
L'osservazione manifesta stupore e indignazione, nello stesso tempo. Gesù
risponde con tre parabole diverse nel loro sviluppo. E tuttavia presentano
alcuni aspetti comuni. La prima, per la ricerca di una pecora smarrita, è una
sfida al loro comportamento: "Chi di voi, se ha 100 pecore e ne perde una,
non lascia le 99 e va in cerca di quella perduta?" e finalmente la trova
(15,4-7). La seconda è un incidente facile in casa: " O quale donna, se
ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa?". La
casa è buia in Israele, senza finestre. Bisogna accendere la lampada e
spazzare il pavimento di pietra. Finalmente trova la moneta e fa festa
(15,8-10). Il testo è comprensibile, si direbbe ovvio. Ma tre elementi
interessanti li percorrono. Si cerca finché si trova ciò che si è perso.
L'obiettivo è "trovare", verbo ripetuto nelle due parabole tre volte. La
conclusione è la festa. Questi tre elementi paradossali, a questo punto, sono
presenti nella parabola del figlio ritrovato, ma in modo assolutamente
paradossale. Disse ancora: «Un uomo aveva due figli.." (15,11-32). Gesù, nel
vangelo di Luca, racconta queste tre parabole, e, in particolare la terza,
poiché sta svelando l'amore di Dio verso "i pubblicani e i peccatori" e sta
rispondendo alle mormorazioni dei giusti: i farisei, i teologi, i cultori
della legge che rifiutano l'accoglienza e la misericordia di Gesù, così
sfacciata e così scandalosa. Perciò queste parabole non sono rivolte ai
peccatori, ma ai perfetti, ai puri: sono coloro che pretendono di conoscere
Dio e la sua giustizia. A loro Gesù parla e dice: "Ecco, con il loro rifiuto
verso chi sbaglia, i giusti e i puri mettono addirittura a rischio il loro
rapporto con Dio e ne deformano la conoscenza, come il fratello maggiore". Va
ancora ricordato che la morale giudaica suppone il perdono di Dio solo per un
peccatore pentito, come Luca riporta nell'episodio del ricco gabelliere di
Gerico, Zaccheo (19,1-18). Il racconto inizia dal figlio più giovane di un
ricco possidente: questo giovane adulto pretende la sua parte di eredità. A
lui, che è secondogenito, spetta un terzo dei beni mobili mentre il
patrimonio immobiliare spetta integralmente al primogenito (Deut 21,17; Lev
25,23 e ss). Al padre, comunque, resta l'usufrutto di tutto ciò che ha, fino
alla sua morte. E il padre non fa nessuna resistenza. Eppure, nella saggezza
ebraica suggerita dal Siracide (33,22. 24), si sottolinea: "E'meglio che i
tuoi figli chiedano a te, piuttosto che tu debba volgere lo sguardo alle loro
mani.... Quando finiranno i giorni della tua vita, al momento della morte,
assegna la tua eredità". Il padre, invece, divide le sostanze tra i due figli
senza dire una parola e senza imporsi. Il figlio più giovane va in un paese
lontano, tra i pagani, visto che usano pascolare i porci. Vive senza una
linea morale se non quella del capriccio, del gusto, dell'interesse,
dell'emotività, dell'esibizionismo, dello sciupio. La ricerca dei piaceri, di
falsi amici e di aberrazioni sessuali si conclude non solo per nausea ma
anche per l'esaurimento di risorse economiche. Alla fine, per poter campare,
deve adattarsi, al primo lavoro che capita e che risulta non solo degradante,
ma addirittura insufficiente per poter vivere . Finalmente "rientra in
sé". Non si parla di pentimento ma di fame. E se vuole continuare a vivere,
deve cambiare totalmente il suo comportamento. Si rende conto d'avere
completamente sbagliato e incomincia a desiderare la vita ordinata, il
benessere di casa, il rispetto di cui era egli stesso onorato. Per la
sopravvivenza è disposto a pagare il suo sbaglio con il lavoro nella casa del
padre, trattato come un servo, perché si rende conto d'aver perso il diritto
di essere figlio. Ma tra le persone a cui si rivolge, in fondo capisce che
l'unico che può ancora accoglierlo, e di cui si fida, non sa come, è il
padre. E il padre lo accoglie. Il comportamento del padre è riassunto in
cinque verbi: "Il padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si
gettò al collo e continuò a baciarlo" (v 20). E al figlio a cui anche i porci
hanno negato le carrube, dona la veste lunga (quella per gli ospiti di
riguardo), l'anello al dito (il sigillo dell'autorità sui servi e sui beni
del padre), i sandali ai piedi (è uomo libero; gli schiavi camminano scalzi).
E dopo l'incontro la festa, senza aver avuto la possibilità di scusarsi e di
ripetere la richiesta di un sostentamento dopo il lavoro del servo. Sono
invitati tutti a mangiare, a cantare e danzare. Non si chiedono spiegazioni,
non si cercano scuse, non ci si ripromette di fare i conti dopo. Qui c'è
tutta l'espressione della gioia e dell'accoglienza. Il grande problema di
quel padre è il figlio maggiore: ubbidiente, lavoratore, rispettoso del
padre, ma guardato come il padrone verso cui si considera servo. Ritorna,
sfinito dal lavoro. Stordito e stupefatto, continua ad informarsi da un
servo, della festa, organizzata a sua insaputa in casa sua e, comunque,
assolutamente eccezionale. E non vuole assolutamente entrare il padre deve
uscire anche per il figlio fedele che rifiuta di accettare, che sente di aver
ragione: è assurda questa accoglienza ed è ingiusta. Non chiama mai col nome
di padre colui che lo sta supplicando di entrare (mentre il figlio minore,
ritornato, chiama il padre cinque volte quasi per riabituarsi). E se il
figlio minore scopre il padre quando torna, il figlio maggiore non sa ancora
scoprire il padre, che lo scongiura di fare festa ed accogliere il fratello
tornato. La parabola finisce qui: probabilmente il fratello maggiore è
entrato perché è sempre stato ubbidiente al padre, ma assolutamente
indifferente e scontroso con il fratello a cui gli farà pesare la mole del
lavoro che lui ha fatto. Il fratello minore comincerà ad adattarsi ai ritmi
nuovi, ma incomincerà ad avere nostalgia per il suo passato, pur restando in
casa. I figli continuano a cambiare perché non capiscono fino in fondo, solo
il padre resta uguale a se stesso, impegnato in un amore pieno, totale,
garantito. Questa parabola ci spiazza completamente: ma ci mostra anche qual
è il vero volto di Dio: infinitamente amabile e infinitamente ricco di amore
per ciascuno, sia o non sia meritevole. Il più grande affronto che si possa
fare è avere paura di Lui, ma anche immaginare che Egli debba rifiutare
qualcuno. |