
I Domenica dopo Pentecoste
SANTISSIMA TRINITÀ
11 Giugno 2017
Giovanni 16, 12-15
Riferimenti - Esodo 3, 1-15 - SALMO 67 - Lettera Romani 8, 14-17 |
O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo,
quando camminavi per il deserto, tremò la terra, i cieli
stillarono davanti a Dio, quello del Sinai, davanti a Dio, il
Dio di Israele. Di giorno in giorno benedetto il Signore: a noi
Dio porta la salvezza. Il nostro Dio è un Dio che salva; al
Signore Dio appartengono le porte della morte. |
Esodo 3, 1-15 In quei giorni.
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro,
suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il
bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di
Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in
una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli
guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco,
ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò:
«Voglio avvicinarmi a osservare questo grande
spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il
Signore vide che si era avvicinato per guardare;
Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!».
Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti
oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il
luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E
disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».
Mosè allora si coprì il volto, perché aveva
paura di guardare verso Dio. Il Signore disse:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in
Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi
sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono
sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per
farlo salire da questa terra verso una terra
bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono
latte e miele, verso il luogo dove si trovano il
Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita,
l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli
Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho
visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò
va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire
dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè
disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone
e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?».
Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il
segno che io ti ho mandato: quando tu avrai
fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete
Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco,
io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei
vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno:
“Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò
loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che
sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti:
“Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora
a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio
dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco,
Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è
il mio nome per sempre; questo è il titolo con
cui sarò ricordato di generazione in
generazione». Mosé scopre il
suo progetto di vita poiché il Signore lo
sceglie come mediatore, pastore, responsabile
del popolo di schiavi che il Signore stesso sta
per liberare. Si può dividere il capitolo in
tre parti: - l'apparizione di Dio (JHWH) al
monte, "l'Oreb" (vv. 1-6),- la vocazione di Mosé
e la rivelazione del nome di Dio (vv. 7-14),
- il programma di azione. Mosè ha lottato
contro la morte e l'ingiustizia quando ha preso
le difese di un ebreo schiavo, strappandolo
dalle mani di un aguzzino e uccidendo il
violento. Ma, a questo punto, scopre che tutto
gli si mette contro. Anche i suoi, impauriti
delle conseguenze, lo rifiutano (Es2,11-16).
Così è fuggito, trovando rifugio nel deserto, in
una vita tranquilla di pastore. Si è accasato ed
ha dimenticato tutto e tutti, in una vita sempre
uguale. Poi c'è l'esperienza straordinaria del
roveto che brucia senza consumarsi e via via il
richiamo del Dio vicino, che si svela
progressivamente, attraverso le sue
manifestazioni. Il fuoco accompagna spesso la
presenza di Dio nella Scrittura: illumina e
riscalda ma anche è tempestoso e distrugge. Si
mostra inafferrabile e misterioso Alla curiosità
di Mosé corrisponde l'invito di Dio che lo
incoraggia ad avvicinarsi, ma solo e senza
sandali, senza protezione, perché il luogo è
santo. I sandali, confezionati con pelle di
animali morti, profanano con la morte il luogo
di Dio (ancora oggi i musulmani entrano senza
scarpe nelle moschee). Dio parla e perciò la sua
presenza suscita paura, sconvolgendo Mosé che si
copre il volto. Sarà il gesto abituale che
troviamo lungo tutta la Scrittura: Elia (1 Re
19,13), i serafini di Isaia (Is 6,2) e, su su,
fino agli apostoli, sul monte della
Trasfigurazione, si coprono il volto. La Parola,
che Dio pronuncia, è come una presentazione di
Sé che rimanda alla storia del popolo,
all'ascendenza di Mosé che arriva fino ad Abramo
e ai patriarchi. Ricordandoli, Dio garantisce la
memoria che un popolo schiavo ha perso,
dimenticando così anche la sua benedizione e la
sua protezione. Ma Egli è fedele. Il Signore,
ricordando l'alleanza compiuta con i patriarchi,
misura la sofferenza del suo popolo come
indegna: "Ho osservato, ho udito, conosco, sono
sceso". L'analisi della situazione ha smosso il
cuore di Dio che progetta un futuro, attraverso
la liberazione del popolo dalla schiavitù e
facendolo salire in un paese totalmente nuovo,
ricco e fertile. Nel libro dell'Esodo si usa il
verbo "uscire" (usato 94 volte) per esprimere il
significato di una liberazione-salvezza. Essa fa
parte del nucleo fondamentale della fede
ebraica: "Il Signore ci ha fatto uscire
dall'Egitto". Non è un popolo che grida al
Signore come preghiera e come speranza di
intercessione. E' un popolo che grida per paura,
per disperazione senza nessun riferimento e
attesa. E Dio ascolta questo grido. Mosé sente
la difficoltà di porsi davanti a Faraone e la
risposta è curiosa. Un segno c'è ma si avvererà
quando tutto sarà finito. Siamo ad una
ubbidienza totale e senza garanzie. «Io sarò con
te. Questo sarà per te il segno che io ti ho
mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo
dall'Egitto, servirete Dio su questo
monte»."Vado dal popolo e dico: il Dio dei
nostri padri mi ha mandato. Mi diranno: "Qual è
il suo nome?". Conoscere il nome di qualcuno, in
un certo senso, è tentare di impossessarsi della
sua identità e quindi avere potere su di lui. E
Dio non si svela per ciò che è (resta sempre
inaccessibile), ma per come si comporta. Il
significato, infatti, corrisponde a: "Io sono",
anzi a "Io sarò colui che sarò". Sarò una
presenza fedele nei secoli e sarò accanto a
questo popolo, sottomettendo la potenza degli
dei che lo opprimono. E poiché Faraone si
ritiene un Dio che vince, la lotta si svilupperà
tra il Dio dell'Egitto e il Dio degli straccioni
e degli schiavi. L'ebraico non usa normalmente
il verbo essere perché gli basta avvicinare
soggetto e predicato; qui il verbo essere indica
un "essere all'opera", "essere per". Ecco perché
alla fine Dio ribadisce che il suo titolo più
adeguato è «il Dio dei vostri padri, il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».
Con i patriarchi Dio è stato sempre presente,
sempre attento, sempre attivo, una compagnia
continua, una protezione fedele. Questo è il suo
modo di essere, di "essere per". E il nome
divino impronunciabile per l'ebraismo, il sacro
tetragramma YHWH, suona come un Dio che "fa
essere, che fa liberi". Ma tutto i testo esprime
anche una strana povertà di Dio. Per liberare il
popolo Dio ha bisogno di Mosè e lo incalza, lo
assedia, accetta tutte le sue scuse e vi pone
soluzioni. Tanto è desideroso di liberare, tanto
è premuroso di mandare un liberatore, pur
accettandone i limiti. E' una grande riflessione
per noi. |
Lettera Romani 8, 14-17 Fratelli,
tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono
figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi
per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende
figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo
Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo
figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio,
coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue
sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Nel mondo ebraico non è praticata l'adozione mentre lo
è nel mondo greco - romano e questo serve a Paolo per spiegare,
nella famiglia di Gesù, il rapporto con il Padre e la fraternità
di Cristo. Paolo si sforza di portare un esempio comprensibile
alla cultura corrente (è una lettera scritta ai romani): il
figlio adottivo riceve lo stesso trattamento dei figli naturali,
gode degli stessi diritti e partecipa all'eredità. Ma Paolo,
nella sua sintesi, oltrepassa l'esempio per regalarci il
significato della vita del credente che supera il linguaggio
giuridico per arrivare alla trasformazione interiore di figli di
una stessa famiglia. La nostra vita è un cammino. "Coloro che
sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio".
Siamo sulla linea dell'Esodo, del popolo che cammina e che ha
bisogno di una presenza e di un orientamento. Se l'Esodo è
stato, fondamentalmente, caratterizzato dal triplice movimento:
"uscire - camminare - entrare", qui Paolo si richiama al momento
intermedio del "camminare" nel deserto. E' un cammino coraggioso
e bisogna lasciarsi guidare dallo Spirito come Gesù che "fu
condotto dallo Spirito nel deserto" (Lc 4,1). Lo Spirito guida,
anima, ispira, conforta chiunque si rende docile alla sua
azione, chiunque non lo rattrista ("Non vogliate rattristare lo
Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno
della redenzione." (Ef 4,30). "Figli di Dio e non schiavi". Lo
schiavo ubbidisce ma il suo cuore è in conflitto con chi lo
comanda. Invece Gesù vede l'obbedienza con amore e ci annuncia
che noi siamo figli adottivi, trasformati interiormente con il
dono di un animo capace di sentire e invocare Dio come Padre. Lo
Spirito crea in noi questa novità e sviluppa la disponibilità ad
invocare Dio come "Papà" ("Abbà") dal giorno del Battesimo. In
conclusione si sviluppa in questo breve testo una splendida
rivelazione trinitaria che garantisce una famiglia nuova con
Dio. Siamo in una presenza inimmaginabile di pienezza e di
amore: di amore di Dio per noi.

Il Cenacolo ove Gesù istruì gli Apostoli |
Giovanni
16, 12-15 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte
cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il
peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la
verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e
vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel
che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per
questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Giovanni indica, nei "discorsi di addio" di Gesù, il ruolo dello Spirito
Santo, come garante della verità. E' chiamato "avvocato difensore"
(Paraclito: 15,26; 16,7), dono del Padre (14,16-26); capace di rendere
testimonianza a Gesù (15,26), lo glorifica (16,14) e prende le sue difese di
fronte al mondo (16,8). Sarà mandato da Cristo ma come comune dono di sé e
del Padre (15,26). Ha infatti origine presso il Padre e il Figlio, viene dal
cielo: Nell'ora della prova non lascerà soli i discepoli, ma il Paraclito
rafforzerà la loro fede e li renderà capaci di una testimonianza coraggiosa.
La sua missione specifica, poi, è quella di "avvocato difensore" di Gesù sia
per "convincere il mondo" di essere nel peccato quando lo rifiuta come Cristo
e Signore, e sia di non essere nel giusto quando lo condanna a morte perché
si è proclamato Figlio di Dio. Soprattutto compito dello Spirito è di operare
nella coscienza dei credenti una vera e propria revisione del processo di
Gesù (16,8-11). Qui, in questo testo, ci sentiamo in un clima di addio, con
significativi richiami al futuro, nell'imminenza del distacco da Gesù. Gesù è
consapevole degli avvenimenti prossimi che si svolgeranno nello spazio di
poche ore e che saranno sconvolgenti. Sa che i discepoli non capiranno nulla,
ma sa anche che ogni spiegazione fatta ora è troppo pesante e assolutamente
incomprensibile. Perciò viene fatta una promessa che abbraccia, insieme, sia
gl avvenimenti prossimi, tragici e assolutamente oscuri, e sia il futuro in
cui i discepoli si troveranno come disorientati, con un messaggio enorme e
una fragilità intellettuale e psicologica drammatica. "Molte cose ho ancora
da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso" (v 12).
Nell'apparente abbandono del gruppo dei discepoli un altro ospite terrà il
posto di Gesù mentre il risorto ritorna al Padre. La missione di Gesù è
finita e lo Spirito Santo sarà testimone della sua presenza (Gv.14,26;
15,26). "Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la
verità" (v13). Il compito dello Spirito continua l'azione di Cristo poiché
rende presente, in modo nuovo, la novità di Dio tra noi, anche se non
tangibilmente. Lo Spirito ci aprirà gli occhi. Nonostante le molte "cose
pesanti" da cogliere e da portare, dice Gesù, lo Spirito sosterrà questo
Regno, questo suo sviluppo dinamico, questa esperienza nuova e, spesso,
controproducente e paradossale, i segni e le proposte, le regole di vita
cristiana (il giogo, per i rabbini, era il peso della legge), la fedeltà a
Dio e agli uomini, il sacrificio della fatica e della coerenza. Tutto questo
si mostrerà e lo Spirito ci sosterrà e non saranno cose nuove ma verranno da
ciò che Gesù ha detto, ha creduto ed ha vissuto.
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