
III DOMENICA DOPO PENTECOSTE
25 giugno 2017
Giovanni 3, 16-21 Riferimenti : Genesi
2, 4b-17 -
SALMO 103
- Romani 5, 12-17 |
Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte
tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature.
Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo a tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono; apri la tua mano, si saziano
di beni. |
Genesi 2, 4b-17 Nel giorno in cui
il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun
cespuglio campestre era sulla terra, nessuna
erba campestre era spuntata, perché il Signore
Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non
c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla
d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il
suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un
alito di vita e l’uomo divenne un essere
vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino
in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che
aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare
dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla
vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita
in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza
del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per
irrigare il giardino, poi di lì si divideva e
formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama
Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di
Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella
regione è fino; vi si trova pure la resina
odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si
chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la
regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama
Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto
fiume è l’Eufrate. Il Signore Dio prese l’uomo e
lo pose nel giardino di Eden, perché lo
coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede
questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di
tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero
della conoscenza del bene e del male non devi
mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne
mangerai, certamente dovrai morire».
L'autore biblico vuole dare una
spiegazione agli infiniti interrogativi che
ciascuno di noi pone sulla propria vita, sul
bene e male, sul progresso, sul lavoro, sulla
propria collocazione nel mondo che si trova già
fatto e in cui è, però, chiamato ad operare
perché le ricchezze e le risorse diffuse possano
diventare aiuto, sostegno e soluzione ai propri
bisogni e a quelli della umanità a cui si sente
profondamente solidale: la vita, l'intelligenza,
la concordia, la pace. Ma insieme riscopre
fragilità e limiti, mentre incombono la
sofferenza e la interminabile tragedia della
violenza e quindi della morte. E la spiegazione
non avviene attraverso dei "perché" ma
attraverso il racconto di un mito che dice a
ciascuno di noi ciò che siamo e ciò che va
capito. Non è cronaca di un avvenimento avvenuto
secoli fa, all'inizio del mondo, ma ciò che
avviene nell'umanità ogni giorno. Siamo stati
creati nella bellezza e nello splendore di un
mondo che sorge dalle mani di Dio. E in questo
mondo il primo regalo è una sorgente che sgorga
dalla terra e irriga il suolo. Infatti non c'è
ancora né pioggia dal cielo né il lavoro di
irrigazione dei campi, esperienza del mondo
Egiziano e Babilonese. Questo mondo ha bisogno
di un custode-signore-lavoratore per svolgere
lavori e prendersi cura di tutto come di una
casa in cui abiteranno la propria famiglia e la
propria discendenza. Il giardino è il modello
che il Signore vuole offrire al mondo e
all'uomo: bello, ordinato, carico di frutti,
splendido per grandi alberi portatori di ombra e
di pace. L'uomo è amministratore di questo
giardino e porta in sé la concretezza della
terra di cui è fatto e la tenerezza di Dio con
cui è plasmato. E, insieme, partecipa alla
sapienza di Dio perché il Signore ha soffiato
nelle sue narici l'alito di vita, la stessa vita
di Dio. Perciò l'uomo e l'umanità, che
continueranno ad abitare il giardino,
costituiscono un ponte tra la dimensione
materiale e visibile della terra e degli esseri
viventi che vi abitano, e, insieme, con lo
Spirito di Dio presente nella vitalità del suo
amore. Dalla sorgente scorrono quattro fiumi che
rappresentano tutta la fecondità per una terra
continuamente assetata (siamo nel Medio
Oriente). L'autore biblico ritiene di aver
individuato i quattro fiumi che scaturiscono
dalla fonte e che sono i più importanti allora
conosciuti: insieme al Tigri ed Eufrate
probabilmente si richiamano il Nilo e il Gange:
i grandi fiumi noti in questa cultura. Ma il
numero quattro è anche il numero della terra, il
richiamo alla totalità dell'acqua che feconda.
Il compito dell'uomo, come cittadino ed abitante
insigne di questa realtà nuova, è quello di
comportarsi da responsabile: perciò sviluppa le
ricchezze che trova ("coltiva") e si preoccupa
di non sperperare ma conserva e sviluppa ciò che
dovrà servire per coloro che verranno dopo. C'è
come uno scambio di doni: l'uomo riceve frutti e
ricambia proteggendo e salvando la realtà
dall'inquinamento, dalla dissoluzione e dalla
desertificazione. E' la responsabilità della
salvaguardia del creato. Il giardino è perciò il
luogo del lavoro dell'uomo. "Il Signore Dio
prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden,
perché lo coltivasse e lo custodisse". I due
verbi usati nel v. 15: "coltivare e custodire",
per parlare del lavoro richiamano immediatamente
il culto e l'alleanza: sàmar, particolarmente
amato dal Deuteronomio, parla del «servire
religioso»; càbad è il caratteristico
atteggiamento di chi accetta dal partner
maggiore la proposta di Alleanza. "Coltivare"
indica la fatica che dissoda il terreno, il
secondo l'atteggiamento di chi accoglie un dono
e fedelmente lo conserva. Custodire dice la cura
che deve accompagnare l'attività dell'uomo, come
quando si ha fra le mani un bene prezioso che
non appartiene a se stessi. Il mondo è di Dio,
non dell'uomo. I due alberi hanno un loro
significato. Uno rappresenta il Signore come
dispensatore della vita (dopo il peccato il
Signore proibirà di accostarsi a tale albero,
difeso da un cherubino, poiché altrimenti
l'uomo, mangiando nella disobbedienza,
resterebbe eternamente nel male Gn 3,22); e
l'altro albero rappresenta la volontà di Dio che
è sapiente e pretende l'obbedienza perche
l'umanità si mantenga nella linea della fiducia
e nella consapevolezza coerente, senza
pretendere di diventare arbitro di ciò che è
bene e ciò che è male. Nel suo simbolismo
occorre limitare la pretesa del desiderio di
poter avere tutto: solo se esiste un limite al
desiderio di vita che abita ogni uomo, questi
può vivere una relazione giusta con il fratello,
altrimenti il voler prendere tutto per sé non
può che portare alla morte del fratello e, di
conseguenza, alla propria morte. |
Romani 5, 12-17 Fratelli, come a
causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il
peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la
morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era
il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere
imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a
Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della
trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva
venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti
per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia
di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si
sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è
come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti
viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia
invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se
per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel
solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della
grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per
mezzo del solo Gesù Cristo. S. Paolo, nella
lettera ai Romani, dichiara, almeno nella prima parte, la sua
fede nella salvezza portata da Gesù. Il mondo (l'umanità) è come
diviso in due parti: il mondo antico e pagano e il mondo di
Gesù. Il mondo antico ed estraneo a Cristo è costituito sia da
pagani senza la legge e sia da Giudei coscienti e conoscitori
della legge: questo mondo ha fallito completamente ed ha
peccato. Il mondo di Gesù è invece il mondo della speranza
nuova. Infatti, se la realtà antica, ricapitolata in Adamo, va
verso la rovina, Gesù, il capofila della Salvezza, porta una
tale novità e una tale ricchezza da rendere incomparabile il
confronto. San Paolo ha intenzione di stabilire un parallelo tra
l'umanità impoverita e ribelle e Gesù. Seguendo le
interpretazioni dei rabbini del suo tempo, che immaginavano
Adamo un individuo ben preciso, la contrapposizione fa risaltare
ciò che conta agli occhi di Dio. Dopo il peccato consapevole di
Adamo, pensa Paolo, l'umanità non ha più conosciuto la volontà
di Dio fino alla rivelazione della Legge del Sinai (situazione
ancora presente nelle nazioni pagane dove la legge non è
diffusa) e tuttavia il peccato c'era e c'era la morte
(vv.13.14). Secondo la distinzione biblica tra colpe consapevoli
e colpe per ignoranza (Num 5,22-16,35), il peccatore, che agisce
deliberatamente, deve essere sterminato senza remissione (Num
15,30) mentre la folla, che condivide la colpa per incoscienza o
per inavvertenza, può sfuggire alla morte mediante un sacrificio
di espiazione per il proprio peccato (Lev 4). Infatti la vita
che viene da Gesù Cristo è più forte della morte che proviene
dal peccato. Tutti, comunque, da Adamo in poi, muoiono fino a
quando non è stato offerto il sacrificio per il peccato,
presentato da Gesù in croce (Rom. 5,6.8.11). Questi porta la
vita in abbondanza per tutti e ‘‘per l'obbedienza di uno solo
tutti saranno costituiti giusti" (v. 19). Egli porta la vita e
la vita di Gesù Cristo è più forte della morte che proviene dal
peccato.
La
città di Gerusalemme moderna. |
Giovanni
3, 16-21 In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto
amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio
nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo
di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il
giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più
le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti
fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non
vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». Una
notte Nicodemo decide di andare a parlare con Gesù (Gv3,2-21). La notte, per
l'ebreo, è il tempo della preghiera e dello studio. Nicodemo è un personaggio
illustre del gran consiglio (sinedrio) di Gerusalemme, maestro in Israele e
generoso fedele di Dio che cerca di conoscere la sua volontà e di obbedire.
Gesù lo apprezza e con lui sviluppa una rivelazione tanto profonda quanto
difficile poiché apre orizzonti impensabili ad un ebreo del suo tempo. Già
nel testo precedente al brano di oggi, Gesù assomiglia la propria presenza
alla salvezza che Dio aveva offerto a Mosé nel deserto, in seguito ad una
tragica e orribile invasione nel campo degli Israeliti di serpenti velenosi
che portavano alla morte. Mosé si era sentito ordinare da Dio, dopo le
lacrime e le grida angosciose della gente, di costruirsi un serpente di
bronzo e di innalzarlo tra le tende. Chi avesse guardato il serpente, in caso
di morsi velenosi, avrebbe avuto salva la vita (Num 21,4-9). Avendo come
premessa, non dimentichiamolo, questa immagine strana del serpente di bronzo,
conservata, tra l'altro, nel tempio di Gerusalemme, oggi leggiamo la seconda
parte del racconto. Dopo l'indicazione che "per vedere il regno di Dio
bisogna rinascere dall'alto, per il dono dello Spirito" (vv 2-8), e dopo aver
garantito che solo Gesù, Figlio dell'uomo, l'unico che viene dal cielo, rende
possibile la rinascita per quelli che credono in lui (vv 9-15 e qui si parla
del serpente di Mosè), a Nicodemo Gesù svela che la propria presenza di Gesù,
fondamentale, è il dono di Dio, Padre del Figlio unigenito, capace di portare
la garanzia di una universalità. E' l'iniziativa unica e gratuita del Padre
"che ama il mondo" (l'umanità nella creazione e la creazione stessa). "Dio ha
tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in
lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (v3,16). Questa è l'intuizione
più sconvolgente e più profonda di tutta la fede cristiana. Accogliendo
questa consapevolezza, si scopre veramente la novità assoluta, tutto l'amore
disarmante di Dio, tutta la pienezza e lo splendore di cui ci ha investito
l'iniziativa del Signore. Dio è Amore, sintetizza Giovanni in una sua lettera
(cfr 1Gv 4,8-16). La scelta fondamentale dell'uomo è accettare o rifiutare
l'amore del Padre che si è rivelato in Cristo. Questo amore non giudica e non
condanna il mondo, ma lo salva: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per
giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (v.17).
Il giudizio è un fatto attuale: avviene nel momento in cui l'uomo si incontra
con Cristo. Chi crede, aderendo a Gesù, non è giudicato; chi lo rigetta è già
giudicato e condannato, per il rifiuto che ha formulato. È come per la vita.
Chi desidera vivere deve ovviamente respirare. Chi decide di non respirare
più si autodistrugge perché rifiuta volontariamente la vita. Chi accetta Gesù
evita la perdizione e ottiene la vita, chi invece lo rifiuta è già
condannato, perché si autoesclude dalla salvezza eterna. Così Gesù è la luce.
Ma davanti alla luce si possono chiudere gli occhi, si possono preferire le
tenebre e quindi il risultato è una operosità malvagia (3,19). Il giudizio di
condanna avviene nel momento in cui gli uomini rifiutano la luce, preferendo
le tenebre. Questo giudizio presente non esclude però il giudizio finale
nell'ultimo giorno. E qui ci viene incontro la riflessione di Matteo che
parla di giudizio finale e di Gesù che interpella tutta l'umanità,
misurandola su quanto ciascuno ha offerto al povero che aveva fame, sete,
bisogno di alloggio e di vestiti, che era in carcere o malato. "Venite,
benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin
dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare....., Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o
nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e
siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico:
tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me». Il giudizio si compie ogni giorno in incognito, alla
presenza di Gesù. (Matteo 25,31ss). Giovanni, nella sua sensibilità,
approfondisce il nostro rapporto con Gesù: "Operare la verità fa venire alla
luce" (v 21). Ed operare nella verità è prima di tutto e fondamentalmente
porre la scelta di Gesù, i suoi criteri, la sua indispensabilità nel mondo,
la sua unicità come linea di ricerca dell'orizzonte di Dio. Matteo declina
nei nostri rapporti quotidiani il significato della scelta di Gesù e il
significato della fede in Dio: ogni persona va accolta per i bisogni
essenziali che ha, affinché si senta amata e viva con fiducia la propria
esistenza, consapevole della Provvidenza di Dio. Questo secondo testo ci
richiama un rapporto di attenzione ad una carità laica, aperta a tutti. E
infatti tutti si chiederanno il dove di tanti incontri di Gesù: "Quando mai
ti abbiamo visto Signore?" (Mt25,37). E Gesù svelerà a ciascuno gli
appuntamenti anonimi, a credenti e non credenti, a chi ha avuto il coraggio
di tenere gli occhi aperti alla luce e a coloro che li avranno tenuti chiusi.
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