
DOMENICA VII DOPO PENTECOSTE
23 luglio 2017
Riferimenti : Giosuè. 4, 1-9 - Salmo 77 - Lettera ai
Romani. 3, 29-31 |
| Nel giorno della mia angoscia io cerco il
Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano;
l'anima mia rifiuta di calmarsi. Mi ricordo di Dio e gemo,
medito e viene meno il mio spirito. Tu trattieni dal sonno i
miei occhi, sono turbato e incapace di parlare. Ripenso ai
giorni passati, ricordo gli anni lontani.Un canto nella notte mi
ritorna nel cuore: medito e il mio spirito si va interrogando. |
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Giosuè. 4, 1-9 Quando tutta
la gente ebbe finito di attraversare il
Giordano, il Signore disse a Giosuè:
"Sceglietevi dal popolo dodici uomini, un uomo
per ogni tribù, e comandate loro: Prendetevi
dodici pietre da qui, in mezzo al Giordano, dal
luogo dove stanno immobili i piedi dei
sacerdoti; trasportatele con voi e deponetele
nel luogo, dove vi accamperete questa notte".
Allora Giosuè convocò i dodici uomini, che aveva
designati tra gli Israeliti, un uomo per ogni
tribù, e disse loro: "Passate davanti all'arca
del Signore vostro Dio in mezzo al Giordano e
caricatevi sulle spalle ciascuno una pietra,
secondo il numero delle tribù degli Israeliti,
perché diventino un segno in mezzo a voi. Quando
domani i vostri figli vi chiederanno: Che
significano per voi queste pietre? risponderete
loro: Perché si divisero le acque del Giordano
dinanzi all'arca dell'alleanza del Signore;
mentre essa attraversava il Giordano, le acque
del Giordano si divisero e queste pietre
dovranno essere un memoriale per gli Israeliti,
per sempre". Fecero dunque gli Israeliti come
aveva comandato Giosuè, presero dodici pietre in
mezzo al Giordano, secondo quanto aveva
comandato il Signore a Giosuè, in base al numero
delle tribù degli Israeliti, le trasportarono
con sé verso l'accampamento e le deposero in
quel luogo. Giosuè fece collocare altre dodici
pietre in mezzo al Giordano, nel luogo dove
poggiavano i piedi dei sacerdoti che portavano
l'arca dell'alleanza: esse si trovano là fino ad
oggi. Il popolo
d'Israele ha ormai completato il suo itinerario
nel deserto ed è alle soglie della terra
promessa. Mosé è morto. Egli aveva sviluppato
fino alla fine della sua vita il suo compito, e
aveva intravisto la terra promessa da lontano,
dal monte Nebo. Ora il popolo ha bisogno di un
nuovo mediatore che conosca bene la fedeltà
verso Dio, il ruolo di mediazione come l'ha
saputo sviluppare Mosé, il compito di reggere le
tribù che debbono affrontare situazioni
completamente nuove. L'ingresso nella terra
promessa è segnata dallo stesso miracolo che gli
ebrei hanno intravisto nel passaggio del Mar
Rosso: ciò che poteva fare sbarramento, per la
forza di Dio, diventa strada per sviluppare i
progetti e la liberazione di Dio. Così Iahvé
ordina a Giosuè di scegliere 12 uomini, uno per
tribù, perché portassero 12 pietre tolte dal
Giordano per costituire insieme, sull'altra
riva, un altare e offrire un sacrificio di lode
e di ringraziamento al Signore. Un secondo
comando viene dato sempre ai 12: portare le
pietre nel letto del Giordano perché siano
visibili, resistendo all'impeto della corrente.
Anche qui, come in altre situazioni, c'è la
preoccupazione di individuare la possibilità di
compiere una catechesi per le nuove generazioni:
così le pietre diventano occasione di
interrogativi. E' dall'interrogativo che nasce
l'occasione di una memoria che renda ogni volta
il senso della vita attuale come opera di Dio.
Tale opera è avvenuta nel proprio passato, ma
continua attraverso la fede ancora oggi. Le
pietre sono come il memoriale di una salvezza e
conservano una propria validità perenne, allo
stesso modo di una celebrazione liturgica. Il
testo sottolinea la continuità di un progetto,
fatto per il popolo, indipendentemente dagli
attori che, di volta in volta, sentono la
colpevolezza della mediazione. È molto chiaro
qui il valore dell'ubbidienza, della
responsabilità, della liberazione. Il testo
riprende anche la preoccupazione educativa verso
le nuove generazioni e dà dei suggerimenti
interessanti: bisogna porre segni, fare segnali,
provocare gesti che facciano nascere domande. Se
c'è la domanda, esiste anche la possibilità di
penetrare nella coscienza di ciascuno, ponendovi
il significato religioso. In questo caso
l'azione di liberazione che Dio ha compiuto per
questo popolo diventa un'azione consapevole di
grazia, di dono, di riconoscimento, di coesione
di popolo. |
Lettera ai Romani. 3, 29-31
Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani?
Certo, anche dei pagani! Poiché non c'è che un solo Dio,
il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo
della fede anche i non circoncisi. Togliamo dunque ogni valore
alla legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi confermiamo la
legge.
Una grande consapevolezza ed una quotidiana esperienza di Paolo
nella propria vita è la coscienza di non poter pensare la legge
come fonte di giustificazione. Paolo non toglie il valore
obiettivo della fedeltà ai comandamenti, ma diventa critico
sull'atteggiamento soggettivo di autosufficienza dell'osservante
della legge. Non è la legge che salva, ma è la fede in Gesù che
porta il dono di grazia di Dio. È Dio che libera in una pienezza
di accoglienza e non è l'uomo che diventa fonte di salvezza di
se stesso. Non è l'atteggiamento di vanto per le opere compiute
della legge che merita una salvezza, mentre ci si appoggia su di
loro; né è possibile realizzare il proprio destino raggiungendo
Dio con le proprie forze. Solo nella fede l'uomo attesta la
propria radicale insufficienza e quindi, mettendosi nelle mani
di Dio, riceve il suo dono. In questo caso la fede apre gli
occhi sulle esigenze dell'amore e incoraggia ad operare per
mezzo della carità (Galati 5,6), producendo una operosità
secondo lo Spirito (8,2), esso stesso dono di grazia. L'unico
Dio che è di tutti, offre a tutti la strada di novità e di
accoglienza al di fuori della legge mosaica. "Giudei e Greci
sono tutti sotto il dominio del peccato": è la coscienza che
Paolo ribadisce nei primi due capitoli della "Lettera ai
romani". Ma il fatto di essere consapevoli non significa perciò
essere capaci di potersi liberare dal male. E' la giustizia di
Dio che ci salva, e Dio la compie attraverso un nuovo strumento
di espiazione" (3,25: viene ricordato che l'arca, segno della
presenza di Dio, aveva un coperchio d'oro ("propiziatorio") che
il sommo sacerdote, nel giorno dell'espiazione, aspergeva con il
sangue delle vittime sacrificate per ristabilire l'alleanza con
Israele). In Gesù c'è una nuova presenza di Dio e il sangue di
Gesù, offerto con amore sulla croce, è lo strumento di perdono
per la riconciliazione con Dio. La croce di Gesù ci apre
orizzonti inimmaginabili di accoglienza che Dio fa per tutti e
la fede in Gesù porta a questa speranza di amore che Gesù ha per
tutti gli uomini. Sono allargati fino all'inverosimile gli
orizzonti del paradiso per cui incontriamo un'umanità passata e
presente che non ha conosciuto Dio attraverso Gesù, ma lo ha
atteso, cercato, sperato. Il Signore, con sorpresa di tutti,
anche nostra, apre al mondo la pienezza della sua gioia.

Tiberiade vista dalla collina - città fondata da Erode
Antipa - Pare che Gesù non sia mai entrato in Tiberiade-
Gesà attraversava città e villaggi andando verso Nazaret |
Luca.
13, 22-30 Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso
Gerusalemme. Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si
salvano?". Rispose: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché
molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il
padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a
bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi
conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e
bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli
dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti
operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete
Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati
fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e
siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi
che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi". Gesù, dice l'evangelista Luca, sta svolgendo il suo compito
educativo attraverso la predicazione mentre ha come meta Gerusalemme:
"Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso
Gerusalemme" (v 22). La domanda che gli viene rivolta da uno sconosciuto
"Sono pochi quelli che si salvano?", è suggestiva ed ha già ricevuto alcune
risposte negli scritti giudaici dell'epoca. Avrebbe aperto un'infinita
discussione teologica anche nel gruppo dei discepoli. Alla fine, però,
sarebbe diventata inutile e irrilevante. Gesù non si presta a questi
interrogativi curiosi e, addirittura, statistici, ma rimanda alla serietà del
problema della salvezza, filtrato tuttavia nel modo di affrontare, da parte
di ciascuno, le proprie scelte. Questo testo è molto più somigliante a brani
riportati da Matteo che parla facilmente di fuoco della Geènna, di
separazioni tra pecore e capri, di pianto e stridore di denti. Luca, invece,
presenta un Gesù molto più comprensivo e indulgente, misericordioso e
paziente. Ma questa volta Gesù profila minacce e condanne. Si parla di una
porta stretta da attraversare e quindi, all'improvviso, i ritardatari o
coloro che hanno la presunzione di biglietti personali di invito si sentono
respinti perché il padrone ha sbarrato l'entrata. Probabilmente Luca si rende
conto che molti cristiani stanno annacquando il messaggio di Gesù, nelle
comunità che lui conosce, e che stanno fidandosi troppo della propria
conoscenza, dimenticando la responsabilità dell'essere cristiani nel mondo.
"Sforzarsi di entrare per la porta stretta" significa perdere le proprie
supponenze, la presunzione di avere strade privilegiate, la garanzia di
essere accettati da Dio. Solo colui che è piccolo, e che sa di non meritare
nulla, si preoccupa della misericordia di Dio e si sforza di entrare nella
prospettiva che il Signore gli apre. - "Sforzatevi". In questo caso, però,
il problema non si pone più su quanto il Signore è disponibile a salvare. Il
problema si pone su quanto ciascuno di noi è disposto ad impegnarsi fino in
fondo. Collegato con l'insegnamento che Gesù sta sviluppando nel suo cammino
mentre sale a Gerusalemme, lo "sforzatevi" rimanda non tanto ad un
allenamento sportivo, ma ad un impegno verso mete attese e conquistate.
L'alternativa si gioca nel non essere "operatori di iniquità". - La
parabola del banchetto, a cui però si accede per una porta stretta, e che può
essere improvvisamente chiusa, pone infiniti e angosciosi interrogativi.
Quelli che sono entrati sono tanti, da tutto il mondo (c'è il richiamo ai
quattro punti cardinali), probabilmente neppure conoscitori di Gesù che pure
è al centro del banchetto. Eppure tutti questi, consapevoli o meno, si sono
impegnati e si sono sforzati di cercare la strada del Signore. Quelli che
sono rimasti fuori si direbbero conoscenti, ascoltatori e amici di Gesù,
alcuni curiosi, alcuni diffidenti, probabilmente, però, molti simpatizzanti
del messaggio che Gesù propone. Questi bussano con violenza, insistono e, per
quello che dicono, pretendono che la porta si apra per loro. Chi sono coloro
a cui Gesù si rivolge? Certamente, Gesù fa riferimento ai suoi contemporanei
che lo hanno ascoltato, ma non hanno accettato né le scelte che ha suggerito
e né l'insegnamento come traduzione della volontà di Dio nell'oggi. Ma i
riferimenti sono anche rivolti ai cristiani che Luca ha davanti, mentre
scrive, e a cui ha proposto il messaggio di Gesù. E i riferimenti sono
rivolti alla Chiesa di oggi, costituita anche da credenti che non accettano
di impegnarsi nella linea della giustizia e della responsabilità. Certamente
Luca, nel rileggere la proposta di Gesù, non dimentica di passare attraverso
la misericordia di Gesù che continua ad essere accogliente, ma che sta dalla
parte dei poveri e vuole loro portare speranza. Luca continua a raccontare
l'abbraccio del Padre con il "figliol prodigo che torna". Ma questo non
significa che allora il messaggio di Gesù sia insignificante, superficiale,
generico, banale. Nell'impegno dello "sforzarsi" ci sono la ricerca di un
cambiamento, il coraggio di sgretolare le incrostazioni, la fiducia nel
ritrovare il senso più profondo della parola che Gesù insegna, la sua
passione ("Gesù cammina verso Gerusalemme"), il superamento della delusione e
della disperazione attraverso la risurrezione di Gesù e nostra. Alla fine
Gesù, alla domanda iniziale, risponde. Sono infiniti coloro che si salvano, e
i loro volti saranno una sorpresa perché verranno da tutte le nazioni. Ma
ciascuno saprà di avere avuto un rapporto unico con il Signore, personale,
legato alle esperienze di vita, alla parola di Gesù maturata e macerata nella
fatica, magari senza saperlo, nel proprio "sforzarsi di passare per la porta
stretta."
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