IV DOM DI PASQUA
7 MAGGIO 2017
Gv 10,11-18
Rferimenti : Atti degli Apostoli. 6, 1-7 - salmo 134 - Romani. 10, 11-15
Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore; voi che state nella casa del Signore durante le notti. Alzate le mani verso il tempio e benedite il Signore. Da Sion ti benedica il Signore, che ha fatto cielo e terra.

Atti degli Apostoli. 6, 1-7
In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani. Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.
Negli Atti degli Apostoli il cap. 6 segna l'inizio della rapida espansione del Vangelo in Israele fino ad Antiochia, mentre nei primi 5 capitoli sono state descritte la formazione e l'attività della Comunità cristiana a Gerusalemme. L'istituzione dei "sette" rappresenta un punto fondamentale che favorirà l'iniziò della missione della Chiesa. C'è un conflitto tra gli "ellenisti" (giudeo-cristiani provenienti dall'impero e dimoranti a Gerusalemme: parlano greco e leggono la bibbia in greco) e gli "ebrei"(giudeo-cristiani, originari della Palestina, che leggono la bibbia in ebraico). Gli Apostoli, infatti, sono chiamati ad una verifica per la denuncia di alcuni disagi, causati da disattenzione verso i bisogni delle minoranze, costituite, in prevalenza, da giudeo-cristiani ellenisti. Così gli Apostoli riconoscono la situazione di difficoltà e decidono di sviluppare, diversificando, ruoli e compiti. L'elezione dei "sette", tutti di origine greca (lo si vede dal nome), identifica la scelta coraggiosa di riconoscere alla minoranza dei cristiani ellenisti la responsabilizzare della gestione delle mense, oltre al lavoro pastorale nella comunità degli ellenisti stessi. In altri termini chi si lamenta diventa il responsabile nuovo della gestione. Tra i "sette" almeno due, Stefano e Filippo, svolgono anche un prezioso lavoro di predicazione aperto ai pagani e una riflessione biblica nuova: interpretare il Vecchio Testamento alla luce dei fatti e delle parole di Gesù. Il numero 7 può derivare dai sette popoli pagani abitanti in Canaan (Atti 13,12), oppure dai consigli e gruppi amministrativi greci e romani, oppure ancora, più semplicemente, può derivare dall'azione di coordinamento che viene fatto in sette giorni, ciascuno in un giorno, poiché sono tutte persone volontarie e quindi debbono provvedere anche al proprio lavoro nel resto della settimana.

 

 

Romani. 10, 11-15
 Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!
In questo capitolo (10,1-21) Paolo parla del fallimento di Israele che non ha saputo accogliere la presenza di Gesù:
vv 1-3: Israele ha ignorato la giustizia di Dio ed ha preteso di salvarsi secondo le proprie forze;
vv 4-13: Gesù è la via nuova che porta la giustizia e dona la salvezza a coloro che gli credono;
vv 14 21: Israele è disobbediente, incredulo e responsabile del rifiuto della giustizia di Dio.
E' pur vero, dice Paolo, che Mosé aveva dato alcuni suggerimenti per individuare la presenza di Gesù e la sua Parola. Ma Gesù non è stato accolto. Accogliere Gesù non è facile anzi, non è possibile ad una persona se non è aiutato dallo Spirito: "Nessuno può dire Gesù è il Signore se non nello Spirito Santo" (1Cor 12,3). Accogliere Gesù richiede un profondo e coraggioso atto di fede per cui con la bocca e con il cuore crediamo e accettiamo che Gesù è il Signore, vissuto tra noi, crocifisso e risorto. La bocca e il cuore sono due vie importanti per esprimere la fede (10,8). Il cuore è il luogo delle scelte, delle decisioni, delle appartenenze. In questo caso il cuore proclama la signoria di Gesù sulla nostra vita e quindi la sua unicità e il suo valore per poterci unire in pienezza. La bocca esprime ciò che il cuore accoglie. "Con la bocca si esprime ciò che si ha nel cuore", dice Gesù (Luca 6,45). Dire: "Gesù è il Signore" significa manifestare con consapevolezza, all'interno di una comunità dove si vive e ci si confronta, la scelta fondamentale di Gesù. Con questa scelta, comunque, compiamo una professione di fede che porta il dono di Dio. È questo l'elemento che unifica, al di là delle differenze somatiche o culturali: "Non c'è distinzione fra giudeo e greco" (v 12). Il mondo della fede abbatte le barriere di differenze razziali, di culture diverse, di condizioni sociali ed economiche, di temperamenti, di caratteri. Gli ultimi due versetti percorrono l'itinerario per giungere alla fede piena. Sempre alla ricerca del motivo per cui Israele non ha invocato Gesù, viene ricostruito il cammino della evangelizzazione. Per invocare bisogna credere. Per credere bisogna aver sentito parlare. Per sentire l'annuncio bisogna che qualcuno lo faccia. L'annuncio viene fatto da chi è stato inviato. Paolo può permettersi di dire che ci sono state molte occasioni di annuncio tanto che stupisce e crea meraviglia l'abbondanza di questa parola: "Per tutta la terra è corsa la loro voce e fino ai confini del mondo le loro parole" (v 18). Per ciò crea gioia e sempre sorpresa ciò che dice Isaia (52,7): "Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!". Ma allora diventano splendidi i passi di chi ti raggiunge, di chi ti corre incontro, di chi ti cerca. Sono i passi che richiamano quelli di Gesù, missionario itinerante nella terra d'Israele. Sono i passi premurosi di chi sa conoscere la sofferenza e soccorre e quindi sono i passi dei discepoli che inondano di annunci gioiosi il mondo.
Gv 10,11-18

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

La IV domenica di Pasqua ci presenta come ogni anno il testo evangelico del Buon Pastore (Gv 10,1-21) e si svolge nel clima della giornata di preghiera per le vocazioni che quest'anno ha come tema "Rispondere all'amore si può". Il testo giovanneo viene suddiviso in tre parti: nell'ano in corso (ciclo B) il testo è quello centrale (Gv 10,11-18) dove Gesù stesso spiega il significato dell'immagine del buon pastore . La pericope si divide in tre parti: vv. 11-13 l'identità del buon pastore; vv. 13-16 la conoscenza esistente tra il pastore e il suo gregge ed infine vv. 17-18 il dono della vita. E' evidente il legame pasquale con questo capitolo 10 giovanneo, dove sotto l'allegoria del pastore e della porta si parla dell'unico mediatore che Dio ha inviato per salvare il suo popolo (con riferimenti pure all'Esodo), mediatore che offre la sua vita.  Il capitolo 10 si apre con una formula solenne e con la seguente affermazione: 1 "In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore . La mancanza di un'introduzione qualsiasi tradisce il legame con il capitolo precedente e le sue tematiche, in particolare l'espulsione del cieco risanato a causa della sua fede in Gesù Cristo. L'affermazione di Gesù è dunque rivolta a quanti sono citati al capitolo 9 e cerca di spiegare la situazione. Si tratta di una forma letteraria, quella utilizzata nel capitolo 10, che non è propriamente una parabola, né un'allegoria, ma un insegnamento simbolico, segreto, misterioso, che prepara ed esige una rivelazione aperta, esplicita (I. de la Potterie). Un discorso enigmatico con un forte contenuto messianico, circa l'opera di Gesù e la sua identità. Infatti l'apertura (al v. 1 con la formula solenne: in verità, in verità io vi dico) richiama l'attenzione a qualcosa di fondamentale e importante. I testi scritturistici abbinati al vangelo di questa domenica, oltre al salmo pasquale (sal 117) sono un brano della prima lettera di san Giovanni (1Gv 3,1-2) dove ritroviamo il tema della conoscenza vitale tra Gesù / Dio Padre e noi suoi figli e il testo di Atti (At 4,8-12) in cui Pietro afferma che solo nel nome di Gesù c'è salvezza. La centralità dell'opera di Cristo Gesù nel piano di salvezza di Dio Padre appare così in piena luce, mostrando che essa si compie nel dare la vita; un modello a cui i discepoli sono invitati a guardare e in cui ogni vocazione nella Chiesa prende forma e può sussistere.