DOMENICA DI ABRAMO
III di
Quaresima
19.03.2017
Giovanni 8,
31-59
Riferimenti : Esodo 34, 1-10 - SALMO 105 - Gàlati 3, 6-14 |
Abbiamo peccato con i nostri padri, delitti e
malvagità abbiamo commesso. I nostri padri, in Egitto, non
compresero le tue meraviglie, non si ricordarono della grandezza
del tuo amore. Molte volte li aveva liberati, eppure si
ostinarono nei loro progetti. Ma egli vide la loro angustia,
quando udì il loro grido.Si ricordò della sua alleanza con loro
e si mosse a compassione. |
Esodo 34, 1-10 In quei giorni. Il
Signore disse a Mosè: «Taglia due tavole di
pietra come le prime. Io scriverò su queste
tavole le parole che erano sulle tavole di
prima, che hai spezzato. Tieniti pronto per
domani mattina: domani mattina salirai sul monte
Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte.
Nessuno salga con te e non si veda nessuno su
tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano
a pascolare davanti a questo monte». Mosè tagliò
due tavole di pietra come le prime; si alzò di
buon mattino e salì sul monte Sinai, come il
Signore gli aveva comandato, con le due tavole
di pietra in mano. Allora il Signore scese nella
nube, si fermò là presso di lui e proclamò il
nome del Signore. Il Signore passò davanti a
lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio
misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco
di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore
per mille generazioni, che perdona la colpa, la
trasgressione e il peccato, ma non lascia senza
punizione, che castiga la colpa dei padri nei
figli e nei figli dei figli fino alla terza e
alla quarta generazione». Mosè si curvò in
fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho
trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il
Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo
di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e
il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».
Il Signore disse: «Ecco, io stabilisco
un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo
io farò meraviglie, quali non furono mai
compiute in nessuna terra e in nessuna nazione:
tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà
l’opera del Signore, perché terribile è quanto
io sto per fare con te».
Mosè sale sul Sinai una seconda volta. La prima
volta ha ricevuto da Dio le tavole
dell'alleanza, le "dieci parole" che debbono
definire completamente l'adesione, la fedeltà e
la conferma della preferenza di Dio per questo
popolo. Ma il ritorno è stato disastroso. Mosè
ha scoperto il tradimento del suo popolo,
l'idolo: il vitello d'oro, fabbricato con l'oro
di famiglia portato dall'Egitto, il totale
abbandono del Dio del Sinai e della liberazione.
E' vero che il Signore stesso dice a Mosè mentre
è sul monte: «Ho osservato questo popolo: ecco,
è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che
la mia ira si accenda contro di loro e li
divori. Di te invece farò una grande nazione».
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio,
rifiutando di tradire il suo popolo. E il
Signore ha desistito. Così Mosè è ancora
invitato da Dio (Es. 34,4-10) a ritornare sul
monte. Dio ancora accetta di scrivere una
seconda volta la legge, ma le nuove tavole di
pietra debbono essere preparate da Mosè stesso:
la legge nasce e si propone in collaborazione.
Qui avviene la rivelazione sorprendente di Dio.
Dio non è astratto, non è un oggetto ma è una
persona in relazione con Mosé e quindi con il
popolo. Qui Dio si esprime con cinque aggettivi,
cinque nomi che si possono sintetizzare così:
"Compassionevole, clemente, paziente,
misericordioso e fedele". Dio esprime la sua
bontà e la sua tenerezza verso coloro che
chiama. È un Dio che si svela come accogliente e
misericordioso e desidera essere conosciuto,
capito, accolto così, con fiducia, nella propria
vita. Poiché è Compassionevole, si lascia
coinvolgere nell'intimo dalla vicenda umana,
poiché Clemente è disposto a chinarsi sull'uomo,
poiché è Paziente sa attendere e non è facile
all'ira, ama ogni persona in modo sovrabbondante
e non viene mai meno. L'ebreo osservante recita
ogni giorno i versetti 6-7, definiti "i 13
attributi di misericordia". I rabbini
garantiscono che questa preghiera avrebbe
portato nel cuore dei fedeli il perdono per i
peccati da parte di Dio. E se pur ci deve essere
un rapporto tra misericordia e giustizia, il
perdono sta come 1000 a 4. Rincuorato, Mosè
riprende la sua preghiera di intercessione: "Il
Signore cammini in mezzo a noi, che perdoni la
nostra colpa e ci faccia sua eredità ". Mosè si
sente mediatore fino in fondo e sceglie la
solidarietà del suo popolo, a somiglianza di
Gesù che ha preso sulle sue spalle il peccato
del mondo. |
Gàlati 3, 6-14 Fratelli, come
Abramo «ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia»,
riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono
dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe
giustificato i pagani per la fede, preannunciò ad Abramo: «In te
saranno benedette tutte le nazioni». Di conseguenza, quelli che
vengono dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo, che
credette. Quelli invece che si richiamano alle opere della Legge
stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: «Maledetto
chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro
della Legge per metterle in pratica». E che nessuno sia
giustificato davanti a Dio per la Legge risulta dal fatto che
«il giusto per fede vivrà». Ma la Legge non si basa sulla fede;
al contrario dice: «Chi metterà in pratica queste cose, vivrà
grazie ad esse». Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della
Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta
scritto: «Maledetto chi è appeso al legno», perché in Cristo
Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante
la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito.
Paolo rivendica la sua qualità di evangelizzatore perché,
al pari degli apostoli, è stato lui stesso chiamato dal risorto
ad annunciare il Vangelo. Purtroppo, dice Paolo, da parte di
battezzati provenienti dal giudaismo e quindi molto legati alla
fede mosaica, si insiste che un vero cristiano, per ottenere la
salvezza, deve osservare ancora la legge mosaica. Paolo si
preoccupa, invece, e deve sforzarsi molto per convincere i
cristiani che sono sufficienti la grazia e la legge che vengono
da Gesù: questa è la sua fede. Paolo predica il Vangelo di Gesù
il quale solo può dare garanzia di salvezza perché si appoggia
alla fede nel Figlio di Dio. Ci si salva mediante la fede e non
attraverso le opere. Abramo ebbe fede e gli fu accreditato come
giustizia (Gen 15,6). Perciò tutti i credenti, i pagani
compresi, che abbiano accettato Gesù sono liberi dalla legge e
accolgono nella fede la liberazione. Il linguaggio di Paolo è
particolarmente ricco di citazioni e, come ogni buon rabbino,
utilizza la Scrittura per dimostrare ciò che sta affermando.
Infatti da una parte si rende conto dell'impossibilità di
obbedire strettamente alla legge e dall'altra parte si ritrova
come una condanna: "Chi non fa tutto quello che è prescritto nel
libro della legge incorre nella maledizione" (Deut. 27,26). Chi
ci salva è Gesù, mandato del Padre per strapparci dalla
maledizione della morte. Solo Gesù, inviato dal Padre, può
salvare e solo Gesù, il redentore dei maledetti. Si è fatto egli
stesso maledetto poiché è stato confitto in croce (nella
sensibilità ebraica i crocifissi sono maledetti). "Cristo ci ha
riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso
maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso
al legno (Deut. 21,23)". Gesù, morto e risorto, recupera ogni
benedizione per tutti poiché in lui, maledetto, si è consumata
la morte. La risurrezione è il nuovo mondo in cui Dio esprime le
promesse, lo Spirito, la fede.
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Giovanni 8, 31-59 In quel tempo. Il Signore Gesù disse a
quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete
davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi
di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In
verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del
peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta
per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che
siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia
parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il
Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli
di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me,
un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha
fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non
siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù:
«Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo;
non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non
comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia
parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre
vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità,
perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo,
perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete,
perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la
verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per
questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei:
«Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un
indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio,
ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e
giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non
vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei
indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva
la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del
nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di
essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe
nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”,
e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco,
sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola.
Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide
e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora
cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità
io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre
per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Il testo di Giovanni è molto complesso poiché risente delle grandi polemiche,
delle perplessità e dei drammi che portano allo scoperto la responsabilità
dei puri e dei colti, l'ambiguità della loro fede, l'ideologia dominante dei
perfetti, il rifiuto di mettersi in discussione. Si appoggia su un confronto
terribilmente alto: tra Gesù ed Abramo (che qui è ricordato 8 volte). Il
testo, così come viene presentato, offre alcune difficoltà interpretative.
Tutta la polemica, ad esempio, non coinvolge «quei Giudei che gli avevano
creduto» (8, 31). Ma la violenta requisitoria che segue, fino alla fine del
capitolo, si rivolge alle autorità giudaiche, ostili a Gesù. E' un dialogo
terribile tra la rabbia degli interlocutori che si sentono sbugiardati e
totalmente in balia della menzogna e Gesù che li affronta a viso aperto. Egli
afferma persino che Abramo ha visto il suo tempo e se n'è rallegrato. Deve
essere suonata come pazzia pura ma anche lucida e blasfema. Il primo tema è
la verità e quindi la libertà che passa attraverso la verità. Conoscere la
verità significa conoscere la volontà di Dio sull'uomo, così come ci è stata
trasmessa da Cristo. Conoscere, per gli ebrei, è accoglierla in modo che
dimori stabilmente in ciascuno di noi. E' il principio di vita morale: noi
«camminiamo» (= viviamo) secondo le sue direttive, noi «facciamo la verità».
La nostra identità è quella di essere a immagine di Dio e quella di vedere
nel volto dell'altro la stessa nostra dignità: e insieme siamo chiamati a
ricercare, operare, costruire, pur faticosamente e spesso confusamente,
eppure sempre alla ricerca dei segni e della pienezza di Dio. Dalla verità,
in controluce, si gioca la libertà e la schiavitù. E' un tasto drammatico
poiché Dio stesso ha amato la libertà per il suo popolo. Parlare di schiavitù
agli ebrei significa non essere più nel popolo salvato, essere decaduti e
traditi dalle proprie mani. Gesù il Figlio, in comunione con il Padre e
perfettamente libero, è Lui che ora può rendere liberi uomini, fatti schiavi
dal male e dal peccato. Ma essi debbono credere in Lui ed essere fedeli alla
sua Parola. Non solo coloro che gli si oppongono non assomigliano ad Abramo e
non sono suoi figli, ma sono figli di prostituta. I profeti hanno
rimproverato il popolo di Dio di infedeltà. (cf.Os 1,2) e i suoi
interlocutori hanno capito benissimo. "Non siamo nati da prostituzione"
poiché protestano la loro fedeltà al Dio dell'alleanza. Tutto il brano
risente di ingiurie. L'ultima ingiuria che scagliano contro Gesù è quella di
essere samaritano cioè eretico e di essere indemoniato. Gesù afferma: "In
verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la
morte in eterno». (8, 51). E questa affermazione fa giungere al parossismo. E
tuttavia Gesù rivendica la sua conoscenza del Padre: "Ma io lo conosco e
osservo la sua parola" (8, 55). Nella esasperazione c'è la domanda ovvia: "Ma
tu chi credi di essere?" (8,53). La risposta che conclude questa polemica
arroventata pone una risposta assolutamente assurda per loro: «In verità, in
verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». (8, 58) Gesù afferma di
non essere solo il Messia, ma di essere il vero Figlio di Dio che esiste
ancor prima di Abramo, eterno come il Padre. "Io sono" nel Primo Testamento è
il nome di Dio e significa che Egli è sempre vicino al suo popolo con una
presenza misteriosa e salvatrice. Egli è entrato nella storia per salvare gli
uomini. E questo si rivelerà soprattutto nel momento della massima
umiliazione perché è la prova di aver amato fino alla morte. E' la prova che
Dio ama ogni persona fino all'assurdo, nella morte del Figlio davanti a cui
Dio non reagisce e non si vendica. A questa mancanza di accoglienza che
disorienta corrisponde la volontà di voler la morte di Gesù. Gesù ha
scacciato dal tempio la gente perché profana la casa del Padre (2,15). Adesso
il Padre non è più nel tempio che è occupato da assassini e bugiardi e perciò
Gesù esce dal tempio.
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