
IV di Quaresima
DOMENICA DEL CIECO 26.03.2017
Giovanni 9, 1-38b Riferimentri : Esodo 34, 27 -
35, 1 - SALMO 35 - Seconda lettera ai Corinzi 3, 7-18 |
Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua
fedeltà fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte
montagne, il tuo giudizio come l’abisso profondo: uomini e
bestie tu salvi, Signore. Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,si saziano
dell’abbondanza della tua casa:tu li disseti al torrente delle
tue delizie. |
Esodo 34, 27 - 35, 1 In quei
giorni. Il Signore disse a Mosè: «Scrivi queste
parole, perché sulla base di queste parole io ho
stabilito un’alleanza con te e con Israele».
Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e
quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere
acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole
dell’alleanza, le dieci parole. Quando Mosè
scese dal monte Sinai – le due tavole della
Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè
mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che
la pelle del suo viso era diventata raggiante,
poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e
tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del
suo viso era raggiante, ebbero timore di
avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e
Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò
da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo
di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse
loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul
monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare
a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava
davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si
toglieva il velo, fin quando non fosse uscito.
Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò
che gli era stato ordinato. Gli Israeliti,
guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle
del suo viso era raggiante. Poi egli si
rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse
di nuovo entrato a parlare con il Signore. Mosè
radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse
loro: «Queste sono le cose che il Signore ha
comandato di fare». Nella
tragedia del tradimento il popolo, che ha
abbandonato il Dio misterioso che lo ha
liberato, costruendosi un vitello d'oro, ha
identificato Dio con un idolo visibile. In
questa operazione, è stato coinvolto anche
Aronne che ha ricevuto " i pendenti delle
orecchie delle donne e figlie ebree". E' il
bottino prezioso che gli egiziani hanno dato
agli ebrei perché se ne andassero dalla loro
terra, facendo finire i castighi del loro Dio:
"(Aronne) li ricevette dalle loro mani, li fece
fondere in una forma e ne modellò un vitello di
metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio,
o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla
terra d'Egitto!» (Es 32,4). Mosè resta
sconcertato, disperato e deluso. Ma quando ormai
è convinto del fallimento totale, viene
richiamato sul monte dal Signore dopo la
sconfitta dell'idolatria nel suo popolo alle
falde del monte e la distruzione del vitello
d'oro. Il Signore lo rincuora. Così la scoperta
e la verifica dell'amicizia di Dio hanno
suscitato in Mosè, ancora una volta, il coraggio
della mediazione: è tornato così il dialogo per
il popolo che avrebbe finalmente ricevuto la
Legge. Il v 27 non fa riferimento alla seconda
edizione delle 10 parole ma all'Alleanza a ed
alle clausole che il Signore ha dettato a Mosè e
che Mosè deve scrivere (il testo inizia al v.
34,10 e termina al v. 27). Al v.28 riprende
invece il racconto della seconda consegna della
Legge e il soggetto è sempre il Signore (Egli
scrisse...). Nel mondo antico spesso gli dei
sono garanti delle leggi e delle consuetudini,
ma agli dei non è mai attribuita la paternità
delle leggi stesse. In Israele invece Jahve è
insieme il legislatore e lo scrittore di ciò che
è essenziale nella Legge. Con la Legge del
Signore anche la persona acquista uno splendore
di cui non è neppure consapevole ma gli altri
intravedono una nuova luminosità ed uno
splendore che possono venire solo dalla bellezza
di Dio e dai suoi doni. E il dono, che Mosè
porta, è la Legge: la sapienza del Signore che
imposta la vita e le azioni quotidiane di
conoscenza e di bellezza. Ma la sapienza non
è mai capita una volta per sempre. La conoscenza
di Dio va maturata giorno per giorno. Per questo
Mosè, spesso, ritorna al popolo ad incoraggiare,
a parlare, ad insegnare. Il velo, che
continuamente mette e smette, ci ricorda che
vanno rispettate la fragilità e la debolezza
degli altri. Non per questo si deve
abbandonarli, anzi vanno sostenuti mentre Mosè è
continuamente in rapporto con il Signore nella
tenda del convegno.
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Seconda lettera ai Corinzi 3, 7-18
Fratelli, se il ministero della morte, inciso in lettere su
pietre, fu avvolto di gloria al punto che i figli d’Israele non
potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore
effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero
dello Spirito? Se già il ministero che porta alla condanna fu
glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta
alla giustizia. Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto,
non lo è più, a causa di questa gloria incomparabile. Se dunque
ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è
duraturo. Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta
franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo
volto, perché i figli d’Israele non vedessero la fine di ciò che
era solo effimero. Ma le loro menti furono indurite; infatti
fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si
legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene
eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso
sul loro cuore; «ma quando vi sarà la conversione al Signore, il
velo sarà tolto». Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito
del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto,
riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo
trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria,
secondo l’azione dello Spirito del Signore.
Paolo, con questo brano, non vuole disprezzare la Prima Alleanza
perché essa ha avuto un grande valore educativo per il suo
popolo e continua ad avere un rapporto particolare con il
Signore del Patto. Tuttavia, da apostolo fedele, è sconcertato
della resistenza che il suo popolo oppone a Gesù, inviato dal
Padre. Da buon rabbino, utilizza un esempio interessante di
"midrash", composizione ebraica di studiosi che interpretano
liberamente, attualizzando in chiave cristiana, un testo biblico
su Mosé: egli rappresenta una immagine anticipatoria dello
splendore del volto di Gesù come del volto dei cristiani. La
lettura della Prima Alleanza non conduce alla vita, dice Paolo,
ma alla morte perché la Legge non offre la salvezza ma solo la
coscienza del male. E' Gesù che restituisce la salvezza a coloro
che credono. E tuttavia anche il ministero di Mosé è un
ministero glorioso. Ancor più, dice Paolo, sarà glorioso il
ministero dello Spirito. Paolo utilizza la parola "gloria"
che può essere, in pienezza, rivolta solo a Dio e tuttavia dice
che negli anni del Primo Testamento il ministero di Mosé è
circondato dalla gloria di Dio. Quanto più c'è, dunque,
ricchezza di gloria nei nuovi ministri di Gesù. A questo testo
fa eco un brano del Vangelo di Giovanni (pronunciato da Gesù
nell'ultima cena come preghiera finale al Padre): "E la gloria
che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola
cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché
siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai
mandato e che li hai amati come hai amato me". (vv 17,22-23). La
gloria di Gesù, che i credenti vedono nella fede, può
incoraggiare gli apostoli e i cristiani a comportarsi con
franchezza e a viso aperto. Questo testo ci aiuta a ripensare al
compito della evangelizzazione così come ci viene proposta nella
nostra vita e che ci viene indicata nella enciclica di Papa
Francesco: "Evangelii Gaudium". Tutti noi abbiamo la vocazione
di diventare "Evangelizzatori con Spirito". "Evangelizzatori con
Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura
all'azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa
uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori
delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere
nella propria lingua. Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la
forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia
(parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche
controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera,
senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e
l'annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole
evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le
parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza
di Dio"(259). |
 Piscina di siloe |
Giovanni
9, 1-38b In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla
nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i
suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i
suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna
che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi
viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la
luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva,
spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella
piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che
ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un
mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere
l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che
gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che
modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama
Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe
e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli
dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello
che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del
fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di
nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del
fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei
dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri
invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E
c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici
di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che
avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che
aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio,
che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui
risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come
ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo
sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i
suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a
lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero:
«Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello
rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché
volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo
insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove
sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori,
ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è
mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco
nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli
replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono
fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed
egli disse: «Credo, Signore!».
Il miracolo del cieco
dalla nascita, nella riflessione di Giovanni, diventa un prezioso itinerario
per identificare il cammino che ogni persona compie, quando, illuminata da
Gesù, accetta di diventare suo discepola e credente in lui. Il testo fa
riferimento alla Festa delle Capanne (Gv 7,2): una festa popolare molto
importante, dove si uniscono insieme grandi esplosioni di gioia con le
liturgie dell'acqua e della luce. In questa festa Gesù dice: "Se qualcuno ha
sete venga a me, e beva chi crede in me (Gv 7,37). E sempre in questa festa
Gesù pronuncia apertamente: "Io sono la luce del mondo; chi segue me non
cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita" (Gv 8,12). Di fronte
all'incontro di un cieco dalla nascita, che suscita sempre compassione e
disagio, nasce nei discepoli la domanda: "Perché è nato cieco?". E la normale
teologia di tutti i tempi risponde: " Dio ha voluto così"; il mondo ebraico
aggiunge: "Perché quest'uomo ha peccato". Ma Gesù garantisce: non c'è castigo
e non c'è peccato. Il problema, quando ci si trova di fronte al male, non è
chiedersi di chi è la colpa, ma impegnarsi per eliminare il male dalla
persona, come ha fatto Gesù. In fondo il cieco non chiede niente perché non
sa che cosa è la luce. Ma Gesù sa che per lui è importante poter vedere
poiché cambierà totalmente la sua vita. C'è una specie di liturgia in cui ci
si immagina che la saliva sia un insieme di alito, di spirito e di potere di
una persona. In fondo c'è il richiamo alla creazione (Gen 2,7): l'alito, lo
spirito di Gesù, il fango. Ma il cieco, per vedere, ha bisogno anche di
lavarsi nell'acqua dell'Inviato: questo è il nome della piscina di Siloe. Qui
il cieco scopre la luce e qui comincia l'interrogatorio. Il cieco, che si è
così trasformato da non riuscire più a riconoscerlo con sicurezza: "E' lui o
non è lui?", sta iniziando il cammino verso la luce, come ogni credente:
cambia stile, diventa un uomo nuovo. Quando gli chiedono: "Come mai vedi?",
risponde che l'uomo Gesù ha fatto questo ma: "Non lo conosco e non so dov'è".
E quando intervengono le autorità, hanno già idee precise di condanna, e
quindi non si preoccupano di capire ciò che è accaduto: la loro autorità
oscura l'intelligenza e crea persone di pregiudizio. Ritengono di essere nel
giusto, ritengono di capire tutto, ritengono di essere sicuri dei loro
giudizi. Ma il cieco, guarito, incomincia a ripensare con profondità: "E' un
profeta" (v 17). Nuovo interrogatorio con i genitori perché l'autorità spera
di trovare delle persone impaurite o delle persone conniventi con la
menzogna. I genitori si sottraggono al giudizio, seriamente preoccupati di
ciò che potrebbe avvenire e restano silenziosi. A questo punto il nuovo
vedente mostra il suo cammino di persona libera, coraggiosa, sincera,
semplice, preoccupato di capire, in ricerca, superiore alle pressioni perché
non vuole rinunciare né al mondo nuovo che gli si prospetta davanti né alla
grandezza di colui che lo ha amato e salvato. Alla fine ritorna Gesù, che lo
ha lasciato solo, ma lo ha accompagnato con lo Spirito di sapienza. Ora Gesù
compie il dono più grande che è la sua rivelazione.
Infatti, durante il suo cammino, colui che finalmente vede ha intravisto
Gesù come "un uomo", quindi come " un profeta", "un uomo di Dio", ma ora
conclude con "Gesù Signore": "Credi tu?" "Credi nel Figlio dell'uomo?"
"Credo, Signore" e si prostrò". Nelle mani di Giovanni quest'episodio delinea
il cammino di ogni credente che raggiunge la luce vera sul mondo e la luce
piena su Gesù.
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