II DOMENICA DI AVVENTO
I figli del Regno
20.11.2016
Luca 3, 1-18
Riferimenti : profeta Baruc 4, 36 - 5, 9 - SALMO 99 -  Lettera ai Romani 15, 1-13
Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza. Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. Varcate le sue porte con inni di grazie,i suoi atri con canti di lode,lodatelo, benedite il suo nome.

Lettura del profeta Baruc 4, 36 - 5, 9
Così dice il Signore Dio: / «Guarda a oriente, Gerusalemme, / osserva la gioia che ti viene da Dio. / Ecco, ritornano i figli che hai visto partire, / ritornano insieme riuniti, / dal sorgere del sole al suo tramonto, / alla parola del Santo, esultanti per la gloria di Dio. / Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, / rivèstiti dello splendore della gloria / che ti viene da Dio per sempre. / Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, / metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno, / perché Dio mostrerà il tuo splendore / a ogni creatura sotto il cielo. / Sarai chiamata da Dio per sempre: / “Pace di giustizia” e “Gloria di pietà”. / Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura / e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, / dal tramonto del sole fino al suo sorgere, / alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. / Si sono allontanati da te a piedi, / incalzati dai nemici; / ora Dio te li riconduce / in trionfo, come sopra un trono regale. / Poiché Dio ha deciso di spianare / ogni alta montagna e le rupi perenni, / di colmare le valli livellando il terreno, / perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. / Anche le selve e ogni albero odoroso / hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. / Perché Dio ricondurrà Israele con gioia / alla luce della sua gloria, / con la misericordia e la giustizia / che vengono da lui».


Baruc è stato il segretario del profeta Geremia, uno scriba pio e discreto, dedito al servizio della Parola di Dio, che svolge la sua opera durante l'esilio babilonese. Nell'introduzione, si ricorda che Baruc ha scritto questo libro a Babilonia, dopo la deportazione e che poi è tornato a Gerusalemme per leggerlo nelle assemblee liturgiche. Tuttavia si ritiene che tale testo risalga agli anni 50 a.C, in un'epoca, comunque, di occupazione da parte dei Romani, come motivo di speranza per un Messia liberatore. Il profeta Baruc si rivolge a Gerusalemme per invitarla a terminare il lutto per la deportazione a Babilonia. Occorre cambiare abito, da quello del lutto a quello della gloria del Signore, al manto della sua giustizia e alla corona di gloria, perché finalmente Gerusalemme potrà, di nuovo, essere mostrata alle nazioni come esempio di giustizia, di pace e di pietà. La Gerusalemme di allora riconosce una popolazione residente in Palestina ma anche una larga popolazione dispersa tra i popoli che però mantengono riferimenti nella propria nostalgia alla città santa. Invitata a guardare ad oriente dove sono riuniti i suoi figli, nella notte, deve poter credere che la Parola del Signore si compie; ed essi ritorneranno e splenderanno come il sole che sorge. Gli ebrei sono partiti a piedi, inseguiti dai nemici. Ora è il Signore stesso che li riconduce come un sovrano vittorioso, e li porta con sé nella sfilata del trionfo, non come prigionieri di guerra, ma come figli liberati. L'immagine del v. 7, verrà ripresa nel vangelo odierno, per indicare che la via del ritorno è una via facile, senza impedimenti, senza salite e discese, così che il cammino del ritorno si possa compiere con sicurezza e senza fatica. La natura stessa si adegua al comando di Dio per fare ombra a Israele e dargli sollievo per il caldo che normalmente accompagna i viaggiatori nel Medio Oriente. Il Signore riconduce Israele con gioia. Dio non si mostra rancoroso per il peccato commesso dal suo popolo, ma è pieno di gioia perché Israele ha riconosciuto il suo peccato, a motivo dell'esperienza che ha fatto della misericordia e della giustizia di Dio.

Lettera ai Romani 15, 1-13
Fratelli, noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: «Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me». Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti loderò fra le genti / e canterò inni al tuo nome». / E ancora: / «Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo». / E di nuovo: / «Genti tutte, lodate il Signore; / i popoli tutti lo esaltino». / E a sua volta Isaia dice: / «Spunterà il rampollo di Iesse, / colui che sorgerà a governare le nazioni: / in lui le nazioni spereranno». Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo


Nella comunità cristiana, allora come oggi, sorgono problemi di convivenza tra "forti e deboli". Paolo si preoccupa di mettere armonia e concordia nella comunità e offre dei suggerimenti per un equilibrio nelle tensioni tra cristiani, causate anche, probabilmente, nelle diverse provenienze religiose: pagani ed ebrei convertiti alla Parola di Gesù. Paolo sa riconoscere "che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l'un l'altro (v 14)" poiché già precedentemente evangelizzati, e tuttavia: "io ho scritto con un po' di audacia (v 15) "perché le genti divengano un'offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo" (v 16). Nella prospettiva dell'evangelizzazione, ricorre continuamente il richiamo al "culto spirituale" che dimensiona la santità quotidiana attraverso il rapporto profondo di mediazione con il Padre tramite Gesù. Gesù è l'esempio fondamentale: non ha scelto ciò che gli piaceva, ma ha accettato umiliazioni e insulti per amore dell'uomo. E questa è la norma vivente per il cristiano. Come riferimento per la conoscenza di Gesù è posta la Scrittura. Essa non solo prepara alla venuta del Messia. E' soprattutto indispensabile per cogliere il senso del mistero della vita e della morte di Gesù oltre che ad essere fonte di perseveranza e di consolazione. * C'è un primo problema che, tuttavia, corrisponde anche alle nostre esigenze. Senza riferimento alla Scrittura, rischiamo di costruirci un cristianesimo legato all'emotività, alla sensibilità delle nostre ideologie, ai mezzi di comunicazione sociale, alle ambiguità di comportamento che noi credenti esprimiamo nella nostra vita. * La Scrittura riporta al fondamento, alla conoscenza di Dio e quindi alla comunione tra i fratelli e le sorelle. Senza tale reciproca accoglienza non è possibile una lode unanime a Dio. * La motivazione dì questa disponibilità reciproca viene da Gesù: la legge del cristiano è Cristo. Quel "come Cristo vi accolse" significa che bisogna accogliere "come" (similitudine): "allo stesso modo di Cristo" e "perché" (causalità). "Cristo vi accolse. Cristo ha accolto te, quindi anche tu accogli gli altri". * Gesù è venuto per tutti, anche se la sua manifestazione ha diverse angolazioni. Per Lui, ai giudei, Dio ha manifestato la "veracità" ossia la fedeltà alle promesse ed all'Alleanza. Per Lui, ai pagani, è stata manifestata la sua misericordia per cui anche questi lo conoscono e lo lodano. Da qui la citazione di tre brani riferiti ai pagani ed alle nazioni: Deut 32,43; Is11,10; Salmo 117,1. * Questo testo fa pensare ad un'assemblea che si raccoglie nella celebrazione: la Scrittura, la comunione, la lode unanime. La conclusione (v. 13) sintetizza il messaggio di Paolo: La pace e la gioia nascono dalla fede e quindi, nella potenza e nella forza dello Spirito, ci viene arricchita ed alimentata la speranza. Il più è fatto. A noi spetta continuare il miracolo dell'unità che Gesù ha compiuto.

Luca 3, 1-18
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:«Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno diritte / e quelle impervie, spianate. / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Nella nostra contemplazione del Signore Veniente, anche questa domenica incontriamo la testimonianza di Giovanni il Battezzatore: con la sua predicazione egli prepara la strada a Gesù, chiedendo la conversione, cioè un concreto mutamento di comportamento (cf. Lc 3,8), a quanti si recano da lui nel deserto per interrogarlo. Che cosa fare per essere credenti autentici?": ecco la domanda che ancora oggi noi ci poniamo, così come la ponevano a Giovanni le folle, i pubblicani e i soldati. Siamo infatti consapevoli che "non basta portare il nome di cristiani, ma occorre esserlo in verità", secondo le parole di un antico padre della chiesa, Ignazio di Antiochia. In questo sforzo di unificazione ci viene in aiuto Giovanni, il quale proclama alle tre categorie di persone che si rivolgono a lui le esigenze fondamentali per ogni autentico cammino di conversione. Il Battezzatore chiede innanzitutto la condivisione di ciò che si ha, chiede cioè di non possedere i beni in modo egoistico, senza gli altri o addirittura contro gli altri. Chi realmente vuole convertirsi è chiamato a vedere il bisogno di cui soffre l'altro e a esserne mosso a compassione, fino a condividere con lui ciò che possiede. L'altro uomo è infatti un fratello, figlio dello stesso Padre, Dio (cf. Mt 23,8), e dunque occorre vivere con lui una relazione di giustizia e di amore. E nella vita cristiana ciò che va condiviso non è solo quello che si possiede, ma anche ciò che si è, perché Gesù ha chiesto di spendere la vita per i fratelli, fino a donarla anche al prezzo estremo della propria morte (cf. Gv 15,13), come lui stesso ha fatto... Giovanni invita poi a non pretendere, il che significa non esigere dagli altri ciò che essi non possono o non devono darci. Si pensi alla nostra esperienza quotidiana: quanto spesso nelle relazioni di ogni giorno noi esigiamo, abbiamo pretese, ci comportiamo come se gli altri ci "dovessero" qualcosa, e, nel contempo, vogliamo esercitare su di loro la nostra brama di potere, li strumentalizziamo in modi più o meno raffinati! No, l'unico debito esistente tra gli uomini, un debito per così dire "costituzionale", è quello del rispetto per l'alterità e dell'amore reciproco (cf. Rm 13,8).