
V
DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
1 ottobre 2017
Matteo 22, 34-40
Riferimenti : Deuteronomio 6, 4-12 -
Salmo 17 - Gàlati 5, 1-14 |
Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi
rifugio;mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo. Signore,
tu dai luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie
tenebre. Con te mi getterò nella mischia,con il mio Dio
scavalcherò le mura. |
LettEra del libro del Deuteronomio 6, 4-12
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: il
Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il
Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con
tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi
nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti
troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti
coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un
segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai
sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte. Quando il
Signore, tuo Dio, ti avrà fatto entrare nella terra che ai tuoi
padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti, con
città grandi e belle che tu non hai edificato, case piene di
ogni bene che tu non hai riempito, cisterne scavate ma non da
te, vigne e oliveti che tu non hai piantato, quando avrai
mangiato e ti sarai saziato, guàrdati dal dimenticare il
Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla
condizione servile».
Mosè si è avvicinato a Dio per ascoltare quello
che il suo popolo deve capire e praticare
all'inizio della sua esistenza liberata ed
autonoma, avendo avuto il dono della
emancipazione dalla schiavitù, per una scelta
privilegiata da parte di Dio a preferenza degli
altri popoli. E' Mosè che ascolta e comunica ed
è stato il popolo stesso, intimorito dalla
presenza potente di Dio sul Sinai, a delegare
Mosè come ambasciatore e quindi come messaggero
di Dio con loro: "Avvicinati tu - ha detto il
popolo - e ascolta quanto il Signore nostro Dio
dirà e poi ci riferirai quanto ti avrà detto e
noi lo ascolteremo e lo faremo" (5, 23-27). Tre
verbi si sviluppano e si rincorrono dando,
ciascuno all'altro, sfumature proprie e
raccogliendo insieme ricchezze diverse: "Temi,
ascolta, ama". «Temi il Signore Dio tuo» (6,2):
è un'espressione tipica della fedeltà
all'Alleanza. Il timore (Es 20,20) comporta
simultaneamente un amore che corrisponde a
quello che Dio ha avuto con i padri, la loro
discendenza e loro stessi (4,37) e impegna in
un'obbedienza assoluta a quanto Dio comanda
(6,2-5;10,12-15; cf.Gen 22,12). Il contenuto
religioso e morale di questo timore andrà sempre
più affinandosi (Gs 24,14; 1Re 18,3.12; 2Re 4,1;
Pr 1,7; Is 11,2; Ger 32,39; ecc.). «Ascolta,
Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il
Signore» (v4). E' l'atto fondamentale di fede
del popolo d'Israele nella sua storia. «Tu
amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore,
con tutta l'anima e con tutte le forze» (v 5).
Preceduto dall'esperienza del dono di Dio,
l'amore non è proposto come scelta, ma come
comando. Questo amore di Dio si affinerà, è
soggetto a pericoli ed a distorsioni, equivoci e
supponenze. Sarà presentissimo nei libri
profetici, soprattutto in Osea, in Geremia, e
nei Salmi. Gesù, richiamandosi a Dt 6,5,
presenterà come il più grande comando l'amore di
Dio (Mt 22,37p), un amore che si unisce al
timore filiale, ma esclude quello servile (1Gv
4,18). Matteo, tuttavia aggiungerà: "con tutta
la tua mente": l'amore ha bisogno di profondità
ed ha bisogno di lucidità e chiarezza. L'amore a
Dio non va identificato con la pratica dei
doveri religiosi, con la partecipazione agli
atti di culto. Per ingraziarsi gli dèi, i popoli
dell'antico Medio Oriente offrivano olocausti di
animali e le primizie dei raccolti, convinti
che, se il soave odore delle vittime non fosse
regolarmente salito al cielo, gli dèi si
sarebbero adirati e avrebbero inviato
pestilenze, siccità e carestie. Anche Israele,
per lungo tempo, concepisce il suo rapporto con
il Signore in termini cultuali. Ritiene di poter
ottenere i favori del suo Dio offrendogli, come
i pagani, sacrifici e olocausti. Non è così che
il Signore vuole che gli si manifesti amore. I
profeti sono durissimi contro il ritualismo
religioso: «Che m'importa dei vostri sacrifici
senza numero? - dice il Signore - Smettete di
presentare offerte inutili, l'incenso è un
abominio per me; noviluni, sabati, assemblee
sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
Anche se moltiplicate le preghiere, io non
ascolto. Imparate a fare il bene, ricercate la
giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete
giustizia all'orfano, difendete la causa della
vedova» (Is 1,10-20; Am 5,21-25). Ma anche noi
abbiamo lo stesso problema. L'amore che Dio
chiede non è un fugace sentimento, un'emozione
momentanea, una dichiarazione di affetto fatta
con le labbra, un compimento di gesti, magari
settimanalmente con una messa per esaurire il
tutto in una nicchia. Chiede l'adesione totale a
Lui nell'adempimento di ciò che gli è gradito.
Con tutto il cuore: suppone il controllo di
tutte le scelte e di tutti i sentimenti: non ci
sia spazio per gli idoli, per la bramosia del
denaro, dei capricci, delle ambizioni. Con tutta
l'anima: l'anima nella Bibbia equivale alla vita
e quindi nessun istante può essere trascorso in
disaccordo con il progetto del Signore. Con
tutta la forza: impiegare tutte le proprie
energie e capacità nella realizzazione dei
disegni del Signore, insieme con i propri beni
materiali. Questo amore deve coinvolgere il
popolo in cui si vive e il popolo che verrà, il
cui equilibrio e la cui saggezza dipenderanno
dalla nostra attenzione, insegnamento ed
educazione. E se il brano conclude che la
ricchezza ed il benessere sono il dono di nozze
offerto da Dio Alleato, la continuità del
benessere dipenderà da come verrà mantenuta dal
popolo, che c'è e che verrà, la centralità di
questo amore. Questa è la sintesi da
memorizzare, da ripetere, da maturare e da
diffondere come la radice della vera sapienza. E
infatti queste sono le parole della preghiera
che un buon ebreo recitava e recita ancor oggi
tre volte il giorno.
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Lettera ai Gàlati 5, 1-14
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà!
State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo
della schiavitù. Ecco, io, Paolo, vi dico: se vi fate
circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. E dichiaro ancora
una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad
osservare tutta quanta la Legge. Non avete più nulla a che fare
con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge; siete
decaduti dalla grazia. Quanto a noi, per lo Spirito, in forza
della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché
in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non
circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della
carità. Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada, voi
che non obbedite più alla verità? Questa persuasione non viene
sicuramente da colui che vi chiama! Un po’ di lievito fa
fermentare tutta la pasta. Io sono fiducioso per voi, nel
Signore, che non penserete diversamente; ma chi vi turba subirà
la condanna, chiunque egli sia. Quanto a me, fratelli, se
predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora
perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo scandalo della
croce. Farebbero meglio a farsi mutilare quelli che vi gettano
nello scompiglio! Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a
libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la
carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli
altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo
precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
Paolo scrive ai Galati con grande determinazione, cercando di
passare, da questo brano, dal piano teologico alle scelte ed ai
comportamenti morali. E' molto fiducioso di questi cristiani a
cui scrive e con cui si è trovato molto d'accordo e che valuta
sinceri e generosi. Per questo, tuttavia, pur sentendosi
fiducioso, è preoccupato per alcune loro deformazioni. Sembra
che si siano mostrati ingenui e si siano lasciati raggirare da
alcuni fanatici. Non vengono riportate percentuali di deviazioni
o di persone che hanno accettato i nuovi annunciatori. Ma questi
hanno distolto i credenti dalla fede genuina di Gesù per
ritornare alle linee morali precedenti. Paolo si lamenta che si
siano affrettati ad alterare la loro fede, equivocando. E' un
impedimento che Paolo continua ad incontrare nella sua
predicazione, soprattutto perché il suo inizio avviene sempre
con le comunità di Ebrei, disseminate nell'impero. D'altra parte
è anche comprensibile che si lascino riprendere dalla nostalgia
e dalle abitudini molto resistenti e capillari che costellano
fatti normali e situazioni quotidiane. Paolo si preoccupa perché
la fedeltà alle tradizioni farisaiche condiziona la novità che
Gesù porta; ricorda che tutto questo fa dimenticare quell'unico
e fondamentale comandamento che è l'amore del prossimo,
comandamento che è la sintesi di tutta la legge (vv 13-14). Per
questo Paolo scrive con chiarezza: solo Gesù ci ha liberati per
costituirci liberi. "Perché in Cristo Gesù non è la
circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si
rende operosa per mezzo della carità" (v 6). La libertà è la
grande conquista che Paolo scopre nel conoscere Cristo poiché,
prima di tutto, Gesù stesso ha vissuto fino in fondo questa
libertà, ponendo alla base delle sue scelte e del suo
insegnamento l'amore verso la volontà di Dio e l'amore verso
tutti gli uomini e donne del suo tempo che hanno bisogno di
misericordia. Su questo tema fondamentale della libertà noi
credenti dovremmo ripensare molto e approfondire le scelte e
l'impegno nel mondo delle relazioni, della giustizia, delle
istituzioni, della Chiesa e della società. Certamente, si
equivoca molto facilmente la libertà, scambiandola con
l'anarchia, gli interessi di parte, la presunzione di lucidità e
di chiarezza, il rifiuto della legalità o di legami. E la si
sottopone alla emotività del nostro essere come unico criterio
assoluto di giudizio. Non va dimenticato che da Paolo vengono
ricordati qui due modelli di vita, che riconduce alla "carne" e
allo "Spirito". La "carne" è principio di peccato. Il
comportamento carnale è esemplificato da un "catalogo di vizi"
(19-21). E' la libertà senza giudizio di Dio che si proclama
come diritto. Ma la libertà di Gesù si misura su grandi valori,
si valuta e si confronta sulla comunione, sull'attenzione verso
le persone più fragili, sulle Parole di Gesù a cui siamo tutti
chiamati, nel rispetto di ciascuno, ad esserne interpreti. E'
vero che si ha molta paura a parlare di libertà, perché ci si
immagina che l'ubbidienza, la sottomissione, l'accettare tutto
quello che ci viene imposto sia il meglio, non crea problemi, ci
lascia tranquilli. Eppure nella Chiesa, per secoli, ed ancor
oggi nei paesi dove i cristiani sono minoranza, si insiste nel
coraggio, nel ricercare la parola di Gesù, nel ritrovare la
fiducia e l'accoglienza verso tutti. Non è questo il vero
esercizio di libertà cristiana?
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Matteo
22, 34-40 In quel tempo. I farisei, avendo udito
che il Signore Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e
uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai
il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta
la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è
simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due
comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Anche a noi piace discutere su vari problemi, pur scottanti, così come
avviene nel cap.22 di Matteo, dove si vuole mettere alla prova ("tentare")
Gesù su temi che allora erano di attualità (ma ancor oggi lo sono). Qui
addirittura un dottore della Legge interpella Gesù su qualcosa che un
credente ebreo dovrebbe aver ben chiaro: il grande comandamento. E Gesù
difatti risponde correttamente, ma, ad evitare fraintendimenti e distinzioni,
unisce all'amore di Dio quello del prossimo; anzi, in un certo senso, lo
identifica: è il cuore della Legge, è il cuore della fede. Questa domanda
viene posta a Gesù dopo che i farisei si erano ‘radunati insieme', perché si
rendono conto della fondamentale importanza della domanda. E' come dire
oggi': che cosa credi riguardo a Gesù e riguardo a Dio? Il mettere insieme i
due comandamenti, identificandoli, è ciò che fa la differenza tra una fede
abitudinaria e superficiale (chi non conosce questo comandamento?) e il
significato della risposta di Gesù: non vale un culto devoto e teorico, non
valgono i pensieri su Dio se non sono intrisi da un reale e provato amore del
prossimo, cioè di chi ti sta o si fa vicino. Le misure, poi, sono
totalizzanti: con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la
mente, come te stesso, cioè facendo spazio reale nella tua interiorità e
nella tua vita all'altro che in questo momento ti sollecita o ti
infastidisce. Spazio d'affetti, di pensiero, di condivisione. L'amore a Dio è
un atteggiamento che trae la sua forza d'essere nella tua umanità e nel tuo
farti umano con gli altri per amore. Per questo è il grande comandamento,
potremmo dire anche l'unico, quello su cui sei provato e che ti mette in
crisi, perché non sei mai all'altezza, ma slitti via. Certo, le cose le sai,
ma si fa quel che si può. Così il nostro incontro con il Signore rischia di
banalizzarsi. Ed è anche per questo che viene usato il futuro "amerai".
Perché non si dà mai un risultato raggiunto, ma è sempre una tensione, un
desiderio, una conversione. Una richiesta di perdono. Perché occorre l'umiltà
di chi si fida e di chi si presenta con la convinzione che solo con il suo
aiuto e con la consapevolezza di riflettere solo una scintilla del suo amore
se totalmente ti rimetterai a lui, potrai cominciare a capire qualcosa di
questo - grande comandamento.
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