 II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE
29 10 2017 Matteo 13, 47-52
Riferimenti : Isaia 45, 20-23 - Salmo21 - Filippesi 3, 13b – 4,
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Da te la mia lode nella grande assemblea;
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri
mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo
cercano; il vostro cuore viva per sempre! Ricorderanno e
torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te
si prostreranno tutte le famiglie dei popoli. |
Isaia 45, 20-23 Così dice il
Signore Dio: / «Radunatevi e venite, /
avvicinatevi tutti insieme, / superstiti delle
nazioni! / Non comprendono quelli che portano /
un loro idolo di legno / e pregano un dio / che
non può salvare. / Raccontate, presentate le
prove, / consigliatevi pure insieme! / Chi ha
fatto sentire ciò da molto tempo / e chi l’ha
raccontato fin da allora? / Non sono forse io,
il Signore? / Fuori di me non c’è altro dio; /
un dio giusto e salvatore / non c’è all’infuori
di me. / Volgetevi a me e sarete salvi, / voi
tutti confini della terra, / perché io sono Dio,
non ce n’è altri. / Lo giuro su me stesso, /
dalla mia bocca esce la giustizia, / una parola
che non torna indietro: / davanti a me si
piegherà ogni ginocchio, / per me giurerà ogni
lingua
Tutto il capitolo 45 è una riflessione teologica
su ciò che è avvenuto al popolo d'Israele in
esilio. Stiamo infatti parlando di fatti
avvenuti nel secolo VI a.C. a Babilonia.
Finalmente Dio ha mantenuto la sua promessa e ha
suscitato un suo Messia: Ciro, re dei Medi e dei
Persiani, il quale trionfa sui Babilonesi e
diventa l'esecutore della giustizia di Dio nel
suo popolo. Eletto e protetto da Dio, egli è
stato sostenuto unicamente per realizzare il
piano di Dio verso il suo popolo ed è diventato
così, anche se non lo sa, portatore
dell'onnipotenza di Dio a scapito delle varie
pretese degli idoli: questa è la lettura che il
popolo d'Israele ha maturato a proposito della
vittoria di Ciro. Il testo che leggiamo oggi, a
ben guardare, appartiene nel suo linguaggio ad
una specie di discussione giudiziaria. Sono
invitati "i superstiti delle nazioni" cioè i
popoli sopravvissuti tra quelli liberati e
richiamati ad una verifica: "Raccontate,
presentate le prove, consigliatevi pure insieme"
(21). Tutti gli idoli, che essi pregano, non
hanno fatto nulla per tenerli in vita e
liberarli. L'unico, che è potente ed ha operato
veramente, è il Dio degli ebrei, Giusto e
Salvatore. Qui, perciò, non si chiede tanto la
conversione quanto il "Rivolgetevi a me e sarete
salvi". Dio chiede che ci si orienti verso di
lui in modo libero e personale e che si accetti
di rileggere la storia secondo le linee che
questo Dio ha tracciato. Egli garantisce di
offrire la verità e, poiché tutti la dovranno
riconoscere, saranno costretti a piegare il
ginocchio e a ritenerla come punto di
riferimento fondamentale, stabile e garantito
per ogni giuramento.
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Filippesi 3, 13b – 4, 1 Fratelli,
so soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e
proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al
premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.Tutti
noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in
qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su
questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme
procediamo. Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate
quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi.
Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime
agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce
di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è
il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e
non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza
infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore
Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per
conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli
ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei
carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete
in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Paolo sta scrivendo alla comunità cristiana di
Filippi che ricorda con molta fiducia e molta simpatia. Questa
lettera, probabilmente, è scritta attorno agli anni 57 d.C. da
Efeso e il contesto, che si intravede, è quello del carcere.
Gesù è al centro della ricerca dell'apostolo e, in questa
lettera, si scorgono spunti per due autobiografie. Il testo, che
leggiamo oggi, fa parte della seconda autobiografia e riflette
le tensioni e le lotte che, nella stessa comunità cristiana, si
stanno costituendo e che lui, per primo, ha dovuto affrontare.
Paolo parla dei nemici di Gesù e li qualifica come coloro che
"hanno il ventre come il loro Dio e si vantano di ciò di cui
dovrebbero vergognarsi". La nostra immediata reazione è di
immaginare che questi siano rimproverati per il loro
comportamento sessuale. Pare invece che la loro inimicizia verso
il Signore Gesù sia costituita dal voler tornare alle antiche
usanze ebraiche della circoncisione e delle pratiche
tradizionali: selezione del cibo riproposto in puro e impuro,
digiuni, relazioni esterne consentite o aborrite. Si potrebbe
vedere qui il richiamo al "ventre": è tutto ciò che Paolo stesso
ha abbandonato, considerandolo spazzatura. Infatti, proprio lui,
così zelante anche nel perseguitare i cristiani, ha ritenuto di
dover lasciare tutte le osservanze e la legge, che lo
identificavano come ebreo, per afferrarsi e stringersi solo a
Cristo e alla sua giustizia. Paolo arriva a considerarle
spazzatura in confronto con Cristo, anche se, in sé, tali non
sono, perché sono state la sua vita fino ad allora. E se ogni
osservanza è spazzatura, quando viene accostata alle proposte di
Cristo, per sé potrebbero costituire un aiuto ed un primo passo
per giungere alla comunione con Gesù. Senza pretendere di voler
fare un elogio di sé, Paolo si definisce un corridore "verso la
meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù
in Cristo Gesù." Si risente il gusto dell'entusiasmo per le
Olimpiadi a cui i greci sono affezionati: così questa
esaltazione rende il paragone molto più vivace. Paolo ricorda
che i cristiani sono "perfetti", ma questo non vale in senso
morale, quanto in una lettura vocazionale: cioè i cristiani sono
chiamati alla perfezione di Dio nella pienezza di Gesù. Perciò,
mantenendo l'immagine ricordata precedentemente, Paolo, se ha
parlato inizialmente di correre con gli occhi fissi alla meta
che è Gesù (v 14), poi incoraggia i cristiani a camminare,
continuando sulla stessa sua linea e, come i corridori fanno,
tenendo d'occhio colui che li precede (v 17). In tal modo
possono misurarsi, misurare lo sforzo e non sbagliare. Così ogni
cristiano deve tenere d'occhio Paolo e coloro che si comportano
secondo l'esempio di Paolo stesso. Quando pensiamo ai nemici,
richiamati come in questo caso, normalmente pensiamo a coloro
che non credono. Paolo invece ricorda che i nemici sono nella
comunità stessa, quando coscientemente non si sforzano di
seguire le linee di Gesù e pretendono di imporre la propria
volontà e le proprie prospettive agli altri, legando sé e tutti
"alle cose della terra". Poiché Paolo parla ai cristiani di
Filippi, non va dimenticato che la città mantiene un particolare
richiamo all'imperatore di Roma per le vicende di alcuni decenni
prima, portate a termine da Cesare Augusto. Così egli è stato
chiamato Salvatore. Paolo dice, senza fare nessun espresso
riferimento all'impero, che il vero Liberatore e Salvatore è il
Signore Gesù Cristo.
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Matteo 13, 47-52 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi
discepoli: «Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che
raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva,
si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i
cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i
cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e
stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».
Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei
cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e
cose antiche». Con questo brano Matteo chiude il terzo dei
cinque discorsi di Gesù, riportati nel suo Vangelo e il numero cinque
rispecchia, probabilmente, il suggerimento che le parole di Gesù siano
la"nuova legge" (per gli ebrei cinque sono i libri della legge antica).
Questo terzo discorso, impostato sul Regno e riletto attraverso 7 parabole,
prevalentemente di stile agricolo, conduce, dalla esperienza della vita
quotidiana, a ripensare alle caratteristiche misteriose del cammino della
Comunità cristiana nella ricerca del Padre e dei suoi criteri di vita.
Leggiamo qui l'ultima delle sette parabola e alcune raccomandazioni che Gesù
fa ai discepoli. La pesca è una delle attività importanti, soprattutto al
nord, nella Galilea, in rapporto con il lago e i mestieri di molti dei 12
apostoli. Probabilmente, con le reti a strascico, vengono raccolti molti
pesci senza poterli selezionare all'inizio, ovviamente. La rete è la comunità
dei credenti che strappa dal maligno (il mare è il luogo della morte e del
male per gli ebrei). La pesca porta lontano dalla voragine e in piena luce.
Finalmente l'umanità è salvata e non è più soggetta al maligno. È evidente il
parallelismo con la parabola della gramigna o zizzania (13,24-30). In tutte e
due le situazioni si ricorda la mescolanza inevitabile tra pesci buoni e
cattivi, tra grano e zizzania, nel momento in cui la rete viene tirata su
dall'acqua, o nel tempo della semina, della crescita del grano e della
gramigna, del raccolto. Possiamo sentirci autorizzati ad attribuire anche
questa narrazione alla situazione di impazienza messianica provocata da
Cristo. Nel frattempo Gesù vuole insegnare che la sua presenza non segna
ancora il momento della separazione e, quindi, del giudizio finale. E
tuttavia Matteo insiste molto sulla conclusione: egli utilizza immagini
drammatiche di fornaci e di fuoco poiché sono i parametri, usati dagli scribi
nell'identificare il rifiuto di Dio: quello dell'uomo che si allontana da Dio
e la conseguenza di questa scelta. Le immagini terribili che il Vangelo pone
nel giudizio e nella condanna sono avvertimento ai cristiani ed hanno il
compito di custodire la fatica e la speranza, nonostante le difficoltà e le
incomprensioni. Questi richiami intendono mantenere la fedeltà dei credenti
in un comportamento di grande valore etico. Alla fine delle sette parabole
Gesù pone una domanda conclusiva su tutte e chiede la condivisione ai
discepoli. Gli rispondono che le hanno capite. Allora Gesù delinea il compito
di ogni credente. Bisogna fare sintesi tra il patrimonio di valori che si
sono maturati, la Parola di Dio ricevuta, le proposte dei Profeti che si sono
ereditate, (Gesù parla ad ebrei) e tutto quello che la presenza di Gesù nel
mondo ha svelato, proponendo una sapienza nuova, progetti e criteri
impensati, che però sono stati rivelati e mostrati. E ad ogni scriba, che si
fa discepolo, il padrone di casa affida un compito preciso: aprire la porta
della casa e accogliere gli ospiti, offrendo loro in dono cose nuove e cose
antiche. Ogni scriba diventa così un nuovo maestro perché discepolo di Gesù e
quindi partecipe della rivoluzione ultima del Padre.
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