
II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
10 settembre 2017
Giovanni 5, 19-24
Riferimenti : Isaia 60, 16b-22 - Salmo 88 - Prima lettera ai
Corinzi 15, 17-28 |
Tu hai un braccio potente, forte è la tua mano,
alta la tua destra. Giustizia e diritto sono la base del tuo
trono, amore e fedeltà precedono il tuo volto. Beato il popolo
che ti sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo
volto; esulta tutto il giorno nel tuo nome, si esalta nella tua
giustizia. |
Isaia 60, 16b-22 Così dice il
Signore Dio: / «Saprai che io sono il Signore,
il tuo salvatore / e il tuo redentore, il
Potente di Giacobbe. / Farò venire oro anziché
bronzo, / farò venire argento anziché ferro, /
bronzo anziché legno, / ferro anziché pietre. /
Costituirò tuo sovrano la pace, / tuo
governatore la giustizia. / Non si sentirà più
parlare di prepotenza nella tua terra, / di
devastazione e di distruzione entro i tuoi
confini. / Tu chiamerai salvezza le tue mura / e
gloria le tue porte. / Il sole non sarà più la
tua luce di giorno, / né ti illuminerà più / lo
splendore della luna. / Ma il Signore sarà per
te luce eterna, / il tuo Dio sarà il tuo
splendore. / Il tuo sole non tramonterà più / né
la tua luna si dileguerà, / perché il Signore
sarà per te luce eterna; / saranno finiti i
giorni del tuo lutto. / Il tuo popolo sarà tutto
di giusti, / per sempre avranno in eredità la
terra, / germogli delle piantagioni del Signore,
/ lavoro delle sue mani per mostrare la sua
gloria. / Il più piccolo diventerà un migliaio,
/ il più insignificante un’immensa nazione; / io
sono il Signore: / a suo tempo, lo farò
rapidamente». Stiamo leggendo
un testo di Isaia, tratto dai suoi ultimi dieci
capitoli (cc 56-66), in cui sono descritti il
ritorno del popolo liberato e la ricostituzione
di Gerusalemme dopo l'esilio di Babilonia
(587-538 a.C.). È attribuito ad uno o più
profeti che gli studiosi chiamano Terzo Isaia,
vissuto durante la ricostruzione del Tempio di
Gerusalemme e negli anni successivi (dal 520
a.C. in poi). Tutto il capitolo 60 è un canto di
speranza per Gerusalemme e un sogno sul futuro.
Inizia con: "Alzati, Gerusalemme, rivestiti di
luce perché viene la tua luce..." (v. 1) e apre
l'orizzonte della ricchezza che si riversa
attraverso i popoli che arrivano al tempio. Nel
tempio ricostruito, infatti, affluiscono le
ricchezze. La pace regna nella città e la gloria
di Dio si irradia nel benessere. Gerusalemme
diventa un riferimento fondamentale di speranza
non solo per il popolo, ma anche per tutto
l'universo. Gli elementi culturali propri di una
realtà povera, e spesso sconfitta, si giocano
sulla sicurezza (le porte spalancate e,
l'abbondanza del commercio esprimono finalmente
il superamento della paura, della povertà e
della fame); l'abbondanza del legname (v 13) ci
restituisce la bellezza e l'abbondanza del tempo
di Salomone che, prima, aveva utilizzato il
legno delle foreste del Libano per il tempio ed
ora lo stesso legname può essere utilizzato per
la città. I popoli oppressori si prostreranno al
Santo di Gerusalemme e la città acquisterà tale
splendore da diventare "l'orgoglio dei secoli,
la gioia di tutte le generazioni" (v 15). Le
importazioni abbondano in metalli preziosi,
utili per le costruzioni e per lo sfarzo: oro,
argento, bronzo e ferro. Gerusalemme è
sorretta, allora, da due valori essenziali: la
pace (identificata nel suo benessere totale) e
la giustizia, il segno pieno della salvezza di
Dio. I versetti dal 10 al 18 richiamano e
inglobano questa immagine di sicurezza, nelle
mura ricostruite che Dio protegge. Viene
utilizzato il genere apocalittico, nella linea
della conclusione della storia umana (e infatti
la stessa immagine è utilizzata in Apocalisse
21,23): il sorgere della luna e il sorgere del
sole non sono più considerati portatori di luce.
Si fa riferimento qui, probabilmente, alle
credenze di Canaan in cui si pensava che il sole
e la luna fossero divinità. In questo caso,
nella Gerusalemme rinnovata, il popolo, "tutto
di giusti" (v 21), sarà completamente liberato
dall'idolatria e perciò non porrà più la propria
sicurezza negli astri divinizzati, perché il
Signore stesso sarà luce eterna, perenne per
Sion. La terra d'Israele è ricordata come terra
di Dio, lavorata dalle sue mani, perciò
abbondante e ricca. I "germogli delle
piantagioni del Signore". C'è la eco di Davide,
il "Germoglio della radice di Iesse" che
diventa, finalmente "un popolo immenso".
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Prima lettera ai Corinzi 15, 17-28
Fratelli, se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi
siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono
morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in
Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di
tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti,
primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un
uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la
risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono,
così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo
posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta,
quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli
consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla
ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che
egli regni finché «non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi
piedi». L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte,
perché «ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi». Però, quando
dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve
eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto
gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso
a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in
tutti. Paolo, scrivendo ai Corinzi, continua la
riflessione sulla resurrezione dei morti, fondamento della
speranza cristiana, messa in dubbio da alcuni della comunità
stessa. Paolo non si rifà ad una esperienza personale ma alla
essenza della predicazione a loro proclamata e che, a sua volta,
per fedeltà alla tradizione, egli stesso l'ha ricevuta. Volendo
sintetizzare, Paolo afferma che tale fede è costituita da 4
verbi: Gesù morì, fu sepolto, risuscitò, apparve. E nei primi 11
versetti (1 Cor 15,1-11) Paolo ha elencato le apparizioni che,
ufficialmente, venivano ricordate alla comunità cristiana. La
risurrezione di Gesù è il centro della vita cristiana e della
lieta notizia che, finalmente, fa pulizia di tutte le morti e le
paure. Perciò questa risurrezione sta alla base della nostra
risurrezione ed è garanzia di vita nuova. Se cade l'una, cade
anche la lieta notizia di Gesù e tutta la fede sarebbe vana.
Cadrebbero la speranza, il perdono dei peccati, il senso
dell'esistenza e della fedeltà. Ritorneremmo a vivere nella
disperazione del male, ci ritroveremmo in una frustrazione
terribile di inutilità e di paura Crollerebbero tutte le novità
e tutte le aspettative. Paolo sviluppa questa convinzione con
due immagini tratte dall'Antico Testaménto: quello della
primizia e quella del re vincitore. - "Cristo risorto,
primizia di coloro che sono morti" (v 20), è come il primo
covone (fascio di grano mietuto e legato insieme) che viene
offerto a Dio come segno e garanzia di tutto il raccolto. Egli
è, qui, primizia di coloro che dormono, capostipite della nuova
umanità. Secondo il rituale ebraico l'offerta delle primizie era
un segno propiziatorio per ottenere un raccolto più abbondante
- Gesù è il Messia, re trionfatore che vince tutti i poteri e le
potenze ostili, e "li riduce al nulla". Egli lotta fino a porre,
secondo il costume antico, i nemici come sgabello sotto i suoi
piedi. Con la risurrezione finale anche la morte sarà vinta.
Così, dice Paolo, Cristo è nemico della morte e, alla, fine,
sconfitti finalmente gli avversari di Dio e dell'uomo,
sottometterà tutto al Padre che sarà "tutto in tutti" e
comunicherà totalmente la sua gloria Paolo non discute ma
afferma che la risurrezione dei credenti, a somiglianza di
quella di Gesù, esprime una concezione globale della vita
cristiana. Cristo è contrapposto ad Adamo, il primo uomo, che
aveva aperto la strada della morte. Gesù apre la strada della
vita. Nel linguaggio apocalittico che viene usato nei
racconti che riguardano la conclusione della storia, Cristo
appare come colui che "consegnerà il regno a Dio Padre, dopo
aver ridotto al nulla ogni principato e potestà e potenza".
Gesù, in tal caso, si mostra Signore e Re, capace di vincere i
nemici terribili di Dio e dell'uomo, dominatore della storia.
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Giovanni
5, 19-24 In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare e disse: «In
verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se
non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa
allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello
che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne
siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche
il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno,
ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come
onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha
mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a
colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma
è passato dalla morte alla vita». Il testo che leggiamo fa
parte di una complessa vicenda scaturita dalle discussioni dell'osservanza
del sabato e che Gesù, indirettamente, aveva provocato per un miracolo ad un
paralitico. Un tale, che andava in giro, in un giorno di sabato, con un
lettino/ branda/ giaciglio sulle spalle, era stato guarito da Gesù "alla
piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2) da
una paralisi che lo teneva nel letto, incapace di camminare da 38 anni (nel
Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione della vita (2,14) e
quindi in procinto di morire senza speranza (5,5). Portare un peso in giorno
di sabato è un grave scandalo, suscitato dalla disobbedienza della legge,
chiara sul sabato, e dalla sua tradizionale osservanza. Tale fatto suscita
rimproveri autorevoli e minacciosi: "Chi si può permettere di violare la
legge del sabato?" Il paralitico, frastornato dal fatto della guarigione, ha
ritenuto che l'ubbidienza al comando di questo sconosciuto guaritore fosse
doverosa. Così, molto semplicemente e ingenuamente, riporta il comando di
Gesù. Ma poiché gli chiedono l'identità di questo strano benefattore, il
paralitico guarito, sconcertato, risponde di non conoscerlo e quindi di non
sapere chi fosse. Da qui nasce l'interrogativo che percorre tutto il capitolo
quinto: chi è Gesù? Gesù stesso cerca la persona guarita e la incoraggia:
"Ecco, sei guarito. Non peccare più" (v 14). Gesù si fa individuare non solo
come guaritore, ma anche come liberatore dal male morale. Così incomincia il
confronto con lui. Sullo sfondo di un processo immaginario tra Gesù e i
Giudei, Gesù, l'accusato, - dapprima difende il suo operato (vv 19-30,
autodifesa) - quindi riporta le testimonianze a suo favore (vv 31-40),
- infine attacca gli avversari divenendo a sua volta accusatore, invertendo
così le parti (vv 41-47). Il primo problema, non marginale in quel
contesto, è il richiamo al riposo del sabato. "I Giudei cominciarono a
perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato" (5,16). Ma già
dall'inizio la giustificazione, da parte di Gesù, si pone in un linguaggio
che sembra blasfemo: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero". Gesù,
infatti, giustifica la sua violazione del sabato, affermando che Dio non
smette mai di agire nei confronti del creato. In questo modo però contraddice
alla tradizione sacerdotale del libro della Genesi, ove si parla di 6 giorni
di lavoro e 1 di riposo. Quello che scandalizza gli ebrei dotti che lo
accusano non è che Gesù chiami Dio Padre perché Israele ha sempre considerato
Dio come suo Padre; ma Gesù si pone come colui che assolve da grandi peccati
e si pone al centro anche del sabato. In tal modo si è fatto uguale al Padre.
E' chiaro che qui il testo riporta una confessione di fede nella comunità
post-Pasquale, poiché era praticamente impossibile che i discepoli
riuscissero a capire qualcosa in coerenza. Gesù sviluppa due temi
essenziali:: - di fronte al primo rifiuto nei confronti della sua persona,
Gesù ribadisce la sua autorità di Figlio e chiama a testimoni Giovanni
Battista (vv33-35), il Padre (5,36), le Scritture (vv 39-40 e Mosé (vv
45-47). - L'autorità del Figlio, ricevuta dal Padre, implica il potere di
giudicare, di dare la vita, di resuscitare i morti e di salvare i credenti.
Certo Gesù, con l'evangelista che scrive, pretende senza mezzi termini una
enorme fiducia verso la sua parola. Gesù insiste in questa
dipendenza-figliolanza unica dal Padre. Anzi, nel progetto di Dio, aggiunge
Gesù, ci sono opere di risurrezione che il Padre opera, "ripromettendosi di
meravigliare" (v 20) e garantisce che sarà data al Figlio la capacità di
offrire la vita, di aprire il giudizio e di ricevere lo stesso onore che Dio
esige per sé (vv 21-23). Gesù dà una grande testimonianza all'opera del
Padre, affermando che tutto ciò che è, viene da lui. "Da me io non posso fare
nulla" (v 30). Tutto questo discorso di cui noi, oggi, leggiamo solo in
parte, è fondamentale perché esprime una pienezza di disponibilità di Gesù
verso il Padre poiché, per un certo verso, si presenta come un apprendista
che impara con grande fedeltà davanti al maestro che insegna (v.19). L'agire
di Gesù si fonda su un rapporto di amore senza riserve del Padre verso il
Figlio e tutto il Vangelo, in particolare quello di Giovanni, vorrà
dimostrare questa fedeltà totale di ascolto da parte di Gesù che sviluppa e
matura la volontà di Dio nel tempo. In fondo ciò che Gesù si ripromette è
drammatico e sconcertante: egli propone nella vita, nel rapporto con sé e con
gli altri, l'azione concreta che Dio vuole e che svilupperebbe Lui stesso
qualora il Dio d'Israele, avesse preso carne e si fosse reso visibile e
operante tra i suoi. Gesù si rende profondamente conto che questa è una
situazione paradossale e che nessuno lo può capire perché è Dio che opera e
noi invece continuiamo, ovviamente, a valutare e a pensare la realtà secondo
i nostri criteri e i nostri giudizi.
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