 III DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL
PRECURSORE
17 settembre 2017
Luca 9, 18-22
Riferimenti : Isaia 11, 10-16 - Salmo 131 - Prima lettera
Timòteo 1, 12-17 |
Salmo 131 Il Signore ha giurato a Davide,
promessa da cui non torna indietro: «Il frutto delle tue viscere
io metterò sul tuo trono!». Sì, il Signore ha scelto Sion, l’ha
voluta per sua residenza: «Questo sarà il luogo del mio riposo
per sempre: qui risiederò, perché l’ho voluto. |
Isaia 11, 10-16 In quel tempo.
Isaia parlò, dicendo: / «In quel giorno avverrà
/ che la radice di Iesse sarà un vessillo per i
popoli. / Le nazioni la cercheranno con ansia. /
La sua dimora sarà gloriosa. / In quel giorno
avverrà / che il Signore stenderà di nuovo la
sua mano / per riscattare il resto del suo
popolo, / superstite dall’Assiria e dall’Egitto,
/ da Patros, dall’Etiopia e dall’Elam, / da
Sinar e da Camat e dalle isole del mare. / Egli
alzerà un vessillo tra le nazioni / e
raccoglierà gli espulsi d’Israele; / radunerà i
dispersi di Giuda / dai quattro angoli della
terra. / Cesserà la gelosia di Èfraim / e gli
avversari di Giuda saranno sterminati; / Èfraim
non invidierà più Giuda / e Giuda non sarà più
ostile a Èfraim. / Voleranno verso occidente
contro i Filistei, / insieme deprederanno i
figli dell’oriente, / stenderanno le mani su
Edom e su Moab / e i figli di Ammon saranno loro
sudditi. / Il Signore prosciugherà il golfo del
mare d’Egitto / e stenderà la mano contro il
Fiume. / Con la potenza del suo soffio / lo
dividerà in sette bracci, / così che si possa
attraversare con i sandali. / Si formerà una
strada per il resto del suo popolo / che sarà
superstite dall’Assiria, / come ce ne fu una per
Israele / quando uscì dalla terra d’Egitto».
Il capitolo 11, uno dei più celebri testi di
Isaia, comprende due parti: - nella prima
parte si celebra la figura ideale del sovrano,
con riferimenti storici per cui il nuovo re sarà
un discendente di Davide, figlio di Iesse (re
dell'Israele riunificato, vissuto attorno
all'anno 1000 a.C); - nella seconda parte (è
il testo che leggiamo oggi) il centro non è più
esclusivamente il Re-messia ma la comunità di
Gerusalemme che diventa un polo di attrazione e
di unità. Il Re-messia è come "un germoglio
cresciuto dal tronco inaridito di Iesse" per il
male e la infedeltà della dinastia di Davide
stesso. Il germoglio è segno della gratuità e
della vita che Dio è capace di dare al suo
popolo nel momento della desolazione e
dell'aridità.. Nasce così una splendida
rappresentazione del Messia futuro, carico dello
Spirito del Signore che si posa con i suoi doni
preziosi (ne sono elencati sei a cui si
aggiungerà un settimo e si chiameranno, nella
tradizione cristiana, i "doni dello Spirito
Santo"): sono i doni della regalità, della
sapienza, della introspezione, della giustizia,
della pazienza e del coraggio, i doni per chi
vince. Il grande re sarà un uomo giusto e
coraggioso. Egli porterà la pace, che viene
splendidamente esemplificata con le immagini
dell'agnello che pascola con il lupo, della
pantera con il capretto, del vitello con il
leone, del bambino che gioca sulla tana del
serpente e che conduce tutti insieme. La
pienezza del Re-messia si distende nella storia,
e il movimento di pace e di liberazione si
allarga. La vitalità di un cammino di popoli si
indirizza verso la comunità di Gerusalemme che,
dopo l'esilio, non potrà più contare su un re
che prosegua nella discendenza da Davide, poiché
non potrà più contare su una corte e su una
propria autonomia. Il Re-messia e quindi la
comunità di Gerusalemme si rinnovano, saranno
come una bandiera, "un vessillo per i popoli",
capaci di chiamare i popoli all'abbondanza e
alla pace, permettendo così che si avverino il
sogno ed il miracolo della riunificazione dei
dispersi di Giuda dai quattro angoli della
terra. Si costituirà, anzi, un popolo di
fratelli che supererà odi, rancori e gelosie. Si
cercheranno e si riuniranno, dichiarando
superate le lacerazioni che sono avvenute tra il
regno d'Israele e il regno di Giuda. Il regno di
Israele si era stabilizzato a nord, con la
capitale Samaria, ma era stato travolto dagli
Assiri nel 721 a.C. Il regno di Giuda, più
piccolo e abbastanza discosto dalle grandi
correnti commerciali, ha resistito fino a 596
a.C. quando i Babilonesi conquistarono una prima
volta Gerusalemme. |
Prima lettera Timòteo 1, 12-17
Carissimo, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo
Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia
mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un
persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia,
perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia
del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla
carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di
essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per
salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per
questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in
me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io
fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere
la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e
unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Questa è la prima di tre lettere dette "lettere
pastorali", attribuite a San Paolo che egli indirizza a Timoteo
(due lettere) e a Tito (una lettera). Timoteo è a capo della
Chiesa di Efeso, Tito nell'isola di Creta. Timoteo si era
aggregato all'èquipe apostolica di Paolo nel suo secondo viaggio
missionario (At 16,1-3) ed era rimasto tra i suoi discepoli più
fedeli. La lettera perciò potrebbe essere stata scritta, da
Paolo, alla fine del suo primo periodo di prigionia a Roma (At
28,16) oppure è stata scritta da qualche discepolo di Paolo,
dopo la morte di questi, sviluppando riflessioni ricevute in
eredità dalla scuola di Paolo e adattandole alla situazione
dell'organizzazione delle chiese che si stanno sviluppando.
L'esperienza personale di Paolo, prima nemico e persecutore
della Chiesa e poi fedele convinto, dimostra l'assoluta gratuità
della chiamata di Dio. E' una verità racchiusa nella frase:
"Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori". La
conversione, per Paolo, è stata veramente una esperienza di
salvezza poiché rischiava di perdere totalmente il senso della
sua vita. Così il ringraziamento a Dio è per la fede in Gesù e
per il ministero che lo ha portato a svolgere un "servizio a
Cristo" nella comunità cristiana. Egli, dice, agiva da
miscredente perché: "non sapevo quello che facevo". Non è una
scusa, per Paolo, dotto maestro di Israele e finissimo esegeta
della Scrittura, ma testimonianza che la sua fede può essere
solo un dono di Dio che gli ha capovolto pensieri e cultura.
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 Luca 9, 18-22 In quel tempo. Il Signore Gesù si trovava in
un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro
questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni
il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è
risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro
rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad
alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato
dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e
risorgere il terzo giorno». Luca, con questo testo, vuole
aiutare la sua comunità a ripensare seriamente a Gesù, nella concretezza e
nelle scelte. La fede, infatti, non è una formula o un pacchetto di verità da
ricordare, ma è la scelta di Gesù così come si presenta. Egli è profondamente
diverso dalle aspettative, alternativo, sconcertante e, tuttavia, sempre in
comunione con il Padre e mai nella prospettiva capricciosa di voler fare,
dimostrare, conquistare per esibire. Gesù non gioca con i nostri sentimenti e
le nostre fragilità. Egli sa che sta ponendo anche ai suoi un'alternativa che
li avrebbe sconcertati. Ma Gesù vuole svelare loro il segreto della sua vita.
Infatti non li vuole ingannare né li vuol manipolare, giocando
sull'emotività. Sa di avere davanti persone affezionate, fiduciose e però
cariche di quelle stesse speranze che tutta la storia d'Israele aveva
alimentato. Dopo qualche breve parentesi di gloria .che si è mostrata
visibile nel regno di Davide, re vittorioso e di suo figlio Salomone, re
saggio, non si poteva contare su grandi dignità, degne di quella regalità
altissima che veniva da Dio nella millenaria storia del popolo di Dio.
Così l'attesa si preannuncia inimmaginabile, carica delle promesse di Dio. E,
nello stesso tempo, in questo periodo di vita di Gesù, si sono
particolarmente sviluppate delle aspettative sempre più spasmodiche e sempre
più politiche. La stessa predicazione di Giovanni Battista, per quanto breve,
aveva suscitato moltissime attese. Gesù sente che è giunto il momento per
incominciare a svelare il significato della sua missione. Luca racconta il
dialogo, molto scarno sulla identità di Gesù, senza collocarlo, come fanno
gli altri evangelisti, a Cesarea di Filippo. Probabilmente l'evangelista
vuole che il testo diventi un riferimento preciso per ogni interlocutore
credente. Luca, come spesso fa', introduce i momenti essenziali della vita di
Gesù ricordando la sua preghiera: è indicativa che qui sta avvenendo qualcosa
di particolarmente significativo. Giocano, insieme, l'esigenza di comunione e
di sostegno personale richiesti da Gesù e la sua strategia di educare i
discepoli perché trovino, nella preghiera, la forma più alta di sincerità, di
disponibilità e di comunione con il Padre. Così avviene per alcune altre
grandi scelte di Gesù: al battesimo (3,21), prima di chiamare i 12 apostoli
(6,12), nella Trasfigurazione (9,29), prima di insegnare a pregare (11,1),
nell'orto degli ulivi (22,39-46), dall'alto della croce (23,34-46). Gesù
entra in dialogo con i suoi e bisogna lasciarsi interpellare da Lui. Egli
conduce via via a scoprire che cosa si aspetta da loro. Una prima domanda,
probabilmente, lascia sconcertati gli apostoli: "Chi sono io secondo la
gente?". In fondo il maestro non si è mai interessato di sapere che cosa la
gente dicesse di lui. Tuttavia rispondono con grande onestà. Tutti pensano,
più o meno, che egli sia un precursore, cioè colui che ha, come vocazione,
quello di indicare il Messia che viene. La risposta significa almeno per
due cose: - La gente riconosce in Gesù un altissimo spessore morale e, a
seconda dei personaggi richiamati, a cui ognuno fa riferimento, collegano
Gesù, in un rapporto privilegiato con il Dio d'Israele che si serve di Lui
per annunciare la novità che presto apparirà all'orizzonte e che sarà il
vero, grande Messia; - Ma Gesù non può essere Messia, essi pensano, poiché
non dimostra di avere una progettualità di liberazione dal potere politico e
di contrapposizione alle forze imperanti pagane e straniere. I suoi miracoli,
al massimo, garantiscono che Dio accetta Gesù come suo messaggero. Qui ci
sono tutta la dialettica e l'ambiguità della classe dirigente ebraica che
pone a Gesù la richiesta:: "Dacci un segno", "Ma voi che cosa dite?". Gesù
prende atto di ciò che hanno manifestato e li interpella sul significato che
essi danno sulla sua persona. Sorge l'obbligo di confessare la vera identità
di Gesù. Pietro lo fa', anche a nome degli altri, e si contrappone alla
mentalità corrente, accettando di vedere in Gesù la nuova messianicità.
Essi però continuano a sperare, mantenendo come tutti, le attese di un Messia
glorioso, pur accettando che sia Gesù a trovare i tempi e i modi per
manifestarsi. Pietro e i discepoli convivono con la propria ambiguità
interpretativa e sono incapaci di cogliere l'identità più profonda di Gesù e
la sua messianicità; Nel loro cuore continuano a tenere insieme la
prospettiva del tempo del cambiamento e del tempo della rivoluzione. Perciò
Gesù obbliga severamente di non divulgare la sua messianicità: essa, infatti,
sarebbe stata intesa in modo distorto. - A questo punto, però, Gesù
propone un "mini-vangelo della passione, morte e risurrezione" (v' 22): la
croce è un itinerario che va dalla vita alla vita passando attraverso la
sofferenza, la crisi, il giudizio, la morte. Il Figlio dell'uomo deve
soffrire e tutto ciò che avverrà non saranno un destino o un incidente ma una
misteriosa strada attraverso cui si manifesterà la volontà del Padre che
vuole salvi tutti noi. E Gesù, docile, accetta e chiede alla sua comunità di
essere solidali con lui. A questo sono chiamati tutti. Certamente ci si sente
spiazzati poiché, piaccia o no, anche a noi interessano il vincere, il
dimostrare di essere, il conquistare le masse, avere forze di sostegno alle
spalle. Sono i criteri del gioco politico e della conquista del potere che
poi si spera sia gestito con responsabilità e moralità. E le leggi dovrebbero
aiutare a ridimensionare le tentazioni. Stiamo scoprendo le tentazioni di
tutti, anche della Chiesa. Ma nella Chiesa Gesù ha sviluppato altre logiche:
esse non passano attraverso le dimostrazioni della sua risurrezione ai sommi
sacerdoti o a Pilato. Se c'è una vittoria, questa è nella serenità dei primi
cristiani che professano la fede, e che nei tribunali mostrano ossequio e
libertà, e insieme formulano l'obiezione di coscienza, quasi a scusarsi,
senza supponenza, ma continuando ad essere fermi e fiduciosi (At 4,19-20: "Ma
Pietro e Giovanni risposero loro: «Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio,
ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle
cose che abbiamo viste e udite»"). La morte e la risurrezione di Gesù ha
sconcertato la prima comunità cristiana e, nel suo significato essenziale,
continua a sconcertare anche noi.
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