 IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
24 settembre 2017 Giovanni 6, 24-35
Riferimenti : Isaia 63, 19b – 64, 10 -
Salmo 76 - Lettera agli Ebrei 9, 1-12 |
Nel giorno della mia angoscia io cerco il
Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano;
l’anima mia rifiuta di calmarsi. Mi ricordo di Dio e gemo,
medito e viene meno il mio spirito. Ripenso ai giorni passati,
ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel
cuore: medito e il mio spirito si va interrogando |
Isaia 63, 19b – 64, 10 In quei
giorni. Isaia pregò il Signore, dicendo: / «Se
tu squarciassi i cieli e scendessi! / Davanti a
te sussulterebbero i monti, / come il fuoco
incendia le stoppie / e fa bollire l’acqua, /
perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici,
/ e le genti tremino davanti a te. / Quando tu
compivi cose terribili che non attendevamo, / tu
scendesti e davanti a te sussultarono i monti. /
Mai si udì parlare da tempi lontani, / orecchio
non ha sentito, / occhio non ha visto / che un
Dio, fuori di te, / abbia fatto tanto per chi
confida in lui. / Tu vai incontro a quelli che
praticano con gioia la giustizia / e si
ricordano delle tue vie. / Ecco, tu sei adirato
perché abbiamo peccato / contro di te da lungo
tempo e siamo stati ribelli. / Siamo divenuti
tutti come una cosa impura, / e come panno
immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; /
tutti siamo avvizziti come foglie, / le nostre
iniquità ci hanno portato via come il vento. /
Nessuno invocava il tuo nome, / nessuno si
risvegliava per stringersi a te; / perché tu
avevi nascosto da noi il tuo volto, / ci avevi
messo in balìa della nostra iniquità. / Ma,
Signore, tu sei nostro padre; / noi siamo
argilla e tu colui che ci plasma, / tutti noi
siamo opera delle tue mani. / Signore, non
adirarti fino all’estremo, / non ricordarti per
sempre dell’iniquità. / Ecco, guarda: tutti
siamo tuo popolo. / Le tue città sante sono un
deserto, / un deserto è diventata Sion, /
Gerusalemme una desolazione. / Il nostro tempio,
santo e magnifico, / dove i nostri padri ti
hanno lodato, / è divenuto preda del fuoco; /
tutte le nostre cose preziose sono distrutte».
Questo testo è una preghiera
liturgica-penitenziale ricca di riflessione e
splendida nella sua poesia. E' una supplica
collettiva di un popolo che ha alle spalle lo
splendore di una salvezza ottenuta dalla
misericordia e dalla libertà di un Dio che lo ha
sostenuto quando era povero e disarmato, e nelle
sue traversie storiche lo ha condotto. Gli
esuli, che stanno tentando di restaurare il
nuovo rapporto di popolo con Dio, continuano ad
avere davanti agli occhi una Gerusalemme
distrutta, la discordia nel popolo tornato e
quello trovato sul posto. Non c'è pace nella
lacerazione e nella diffidenza reciproca. Pochi
versetti sopra, la preghiera si rivolge a Dio
come Padre: "Tu sei nostro padre, poiché Abramo
non ci riconosce e Israele non si ricorda di
noi. Tu, Signore, sei nostro Padre, da sempre ti
chiami nostro Redentore". "Solo tu sei il nostro
Padre" perché non ci sono più padri a cui
rivolgersi. "Abramo non ci riconosce e Israele
(Giacobbe) non si ricorda di noi" (v 16). Solo
Dio è Padre. E questa è la prima volta che si
applica a Dio questo attributo nella Scrittura.
Gli ebrei erano restii a chiamare Dio Padre
come, spesso, i popoli pagani chiamavano i loro
dei. Un tale linguaggio avrebbe facilmente
equivocato su ipotetici matrimoni con "le figlie
degli uomini", come la mitologia pagana, invece,
ricordava facilmente. I progenitori del popolo,
Abramo e Giacobbe, giacciono nella sceol
(gl'inferi: il luogo dei morti) e non sono in
grado di soccorrere i vivi. Il vero aiuto può
venire solo da Dio che si è mostrato Padre
quando ha liberato il popolo dall'Egitto. Ma Dio
è anche Redentore come il parente stretto che
riusciva a raccogliere una somma sufficiente per
liberare lo schiavo, proprio parente, o
addirittura accettava di sostituire lo schiavo
per liberarlo e prendere il suo posto. Ora,
purtroppo, pensa il popolo pentito, non ci sono
padri e non ci sono possibili redentori: resta
solo Dio che è l'unica speranza nuova. Il testo
riassume la memoria riconquistata della potenza
di Dio liberante, del proprio abbandono, e
rilegge la desolazione della città deserta e del
Tempio distrutto come prova del male avvenuto e
quindi come prova del castigo di Dio. "Se tu
scendessi..." La speranza porta il popolo a
sperare una nuova manifestazione di Dio mentre
riconosce i propri peccati e i propri
tradimenti. Il testo, che ci accompagna, apre
anche ai grandi interrogativi della vita, spesso
inquietanti. Perché il dolore, perché il male,
perché le distruzioni, perché la morte, perché
una sofferenza così drammatica a un popolo, se
Dio gli è Padre ed unico Redentore?
L'interrogativo fondamentale tocca anche noi
tutti, e prospetta il mistero della libertà
dell'uomo: Dio continua ad essere attento e
misericordioso, ma si è autolimitato nella sua
potenza. Si scontra, nella storia, con la
tragedia che il male provoca nel cuore e nel
mondo. Nell'oscurità della nostra storia, e nel
dramma della nostra vita è necessario che
continuiamo a fidarci di Dio e a chiamarlo Padre
come Gesù sulla sua croce.

Sinagoga di Cafarnao, ove Gesù tenne il celebre
discorso sul "Pane della vita" |
Lettera agli Ebrei 9, 1-12
Fratelli, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un
santuario terreno. Fu costruita infatti una tenda, la prima,
nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani
dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo
velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con l’altare
d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta
d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la
manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole
dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria,
che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose
non è necessario ora parlare nei particolari. Disposte in tal
modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per
celebrare il culto; nella seconda invece entra solamente il
sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del
sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal
popolo per ignoranza. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare
che non era stata ancora manifestata la via del santuario,
finché restava la prima tenda. Essa infatti è figura del tempo
presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non
possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre:
si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni,
tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui
sarebbero state riformate. Cristo, invece, è venuto come
sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande
e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non
appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre
nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma
in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione
eterna.
ll Figlio è il sommo sacerdote.
Così il cap.8 ci presenta Gesù: "Noi abbiamo un sommo sacerdote
così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà
nei cieli, 2ministro del santuario e della vera tenda, che il
Signore, e non un uomo, ha costruito". E quindi, oggi, leggiamo
il confronto tra la liturgia del sommo sacerdote della Prima
Alleanza e quella di Gesù, confronto tra la purificazione del
popolo d'Israele e quella unica e completa, portata da Gesù per
tutta l'umanità. Ora, nel capitolo successivo, ritornano a
delinearsi, con molta attenzione e molti particolari, le
prescrizioni che legavano l'Alleanza al culto del Tempio. La
particolareggiata e minuziosa descrizione fa memoria delle
prescrizioni dell'Esodo (capp 25; 36) e manifesta la competenza
e l'esperienza ebraica sacerdotale. Si parla di una prima tenda
e ed una seconda tenda (il Santo dei Santi) e il richiamo è per
il santuario del deserto. L'essenziale della riflessione non è
stato il culto dei sacerdoti ma il servizio compiuto, in prima
persona, dal sommo sacerdote nella seconda tenda, richiamando,
insieme, il giorno del Kippur. Solo in quell'unico giorno, e in
nessun altro momento o circostanza, poteva accedere per
purificare il luogo che, per sua forza, l'impurità poteva
contaminare tutto e rendere impresentabile l'offerta, anche se
ciò avveniva inconsapevolmente. Quei riti dovevano garantire che
da quel giorno tutte le contaminazioni erano dissolte e il Santo
dei Santi veniva decontaminato in modo da poter ricevere ed
accogliere il Dio Santo, il grande ospite del Tempio d'Israele.
L'autore vuole così sottolineare l'unicità del rito annuale di
purificazione per preparare l'unico sacrificio da parte di Gesù.
E introduce il tema del sangue. Ci si rifà alle origini, al
tempo dell'uscita dall'Egitto, quando, ovviamente, non si
parlava del Tempio, anche se è continuamente sottinteso. La
tenda è espressione del tempo presente, dice l'autore, con
offerte di doni e abluzioni e il sommo sacerdote purificava con
il sangue degli animali. Valgono per il tempo dell'attesa. Ma
"lo Spirito Santo intendeva mostrare che non era ancora aperta
la via del santuario definitivo". "È Gesù colui che viene nella
tenda perfetta, non costruita da mano d'uomo, non appartenente
alla creazione, e vi entra una volta per sempre con il suo
sangue ". In tal modo ottiene una redenzione eterna. L'antico
culto provvisorio ha svolto la sua missione e funzione per il
tempo di attesa, ma solo Gesù porta "i beni futuri", la pienezza
della comunione con Dio che sono la salvezza, la vita e la
felicità eterna nella casa di Dio, ormai aperta a tutti. Non ci
sono più veli, non ci sono doni da offrire, non c'è selezione:
Gesù porta la salvezza a tutti per sempre. Il vero dono, ora, è
custodire e accogliere ciò che Dio ci dà. Per esempio, la vita,
che è il dono di Dio, non può diventare possesso di nessuno. Se
diventa possesso e proprietà, si ritiene di poterla profanare,
vendere, deturpare e uccidere, credendosi in diritto di poterlo
fare per vendetta, per sfregio, per castigo, per interesse. È il
significato delle morti, omicidi e suicidi, che ci vengono
quotidianamente annunciati dove ci si gioca anche sul
significato del figlio ucciso per vendicarsi del coniuge. La
vita è di Dio e diventa sacrilegio intaccarla o sopprimerla,
sempre. Perfino molte nazioni, fortunatamente, hanno maturato
questa dignità e sacralità in termini laici, eliminando la pena
di morte.
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Giovanni 6, 24-35 In quel tempo. Quando la folla vide che
il Signore Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche
e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là
dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro:
«In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei
segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da
fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita
eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha
messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per
fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che
crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu
compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno
mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un
pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è
Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane
dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo
e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo
pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non
avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!». Oggi,
generalmente, nel nostro mondo occidentale anche nell'ambito del pane vi sono
molte sofisticazioni; addirittura si sostituisce spesso e volentieri il pane
con qualcosa di più solleticante e ricercato. Si è perso il senso del pane
come cibo necessario per l'esistenza, come elemento primario per la fame di
tutti. Qui, nel vangelo di questa domenica, viene proposto l'equivoco: siamo
nel contesto della condivisione del pane con la folla del giorno prima,
quando tutti poterono sfamarsi a sazietà e gratuitamente. Un personaggio così
non è da lasciar perdere. Naturalmente non hanno capito niente e Gesù spiega:
bisogna darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane
per la vita eterna. Il Pane vero è quello disceso dal cielo, cioè Lui, e la
caratteristica di questo pane è di dare la vita al mondo. Torna il discorso
del vero senso del segno del pane: la condivisione. Ma è una condivisione che
passa attraverso il Signore con una finalità precisa: dare la vita. Dire e
ascoltare queste parole con serietà implica una trasformazione di mentalità:
non si tratta, in effetti e necessariamente, di offrirsi per la morte (Dio è
il Dio dei viventi), ma di spendere la propria vita e il proprio pane con gli
altri; non gli altri lontani, ma quelli che hai vicino e di cui faresti, a
volte, volentieri a meno. Ecco perché bisogna purificare il nostro cercare
Gesù, che per lo più è di là dal mare, cioè molto lontano da come
concepiremmo noi il suo operato e le sue parole. Sempre con Gesù occorre fare
dei salti qualitativi, domandandoci, ad esempio, riguardo al vangelo di oggi
che cosa vuol dire per me sentire che Gesù è il pane della vita, in un
contesto così tenebroso per le guerre e le violenze, così gretto e chiuso per
gli egoismi degli uomini, così diffidente anche nelle disponibilità. Vuol
dire forse che devo ricredermi sull'ascolto di parole ripetute per cominciare
una buona volta a mettere in silenzio me stesso e lasciare che la "Parola -
Pane di vita disceso dal cielo per dare la vita - "lavori dentro di me,
aprendo delle brecce di preghiera e di conversione per venire veramente a Lui
per non avere più fame e affidarsi totalmente a Lui per non avere più sete.
Se lo si fa credendoci veramente, allora non potremo sottrarci a vivere la
vita ogni attimo con intensità e gratitudine. Semplicemente. Sapendo che
Lui è disceso dal cielo per tutti, e anche per me.
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