
XI Domenica dopo Pentecoste
16 agosto
Mt 10, 16-20
Riferimenti : 1Re 19, 8b-16. 18a-b - salmo 17 - 2Cor 12, 2-10b |
| Beato chi cammina alla presenza del
Signore.Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio
Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente
salvezza e mio baluardo. |
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1Re 19, 8b-16. 18a-b In quei
giorni. Elia camminò per quaranta giorni e
quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. Là
entrò in una caverna per passarvi la notte,
quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore
in questi termini: «Che cosa fai qui, Elia?».
Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il
Signore, Dio degli eserciti, poiché gli
Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza,
hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di
spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi
cercano di togliermi la vita». Gli disse: «Esci
e férmati sul monte alla presenza del Signore».
Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento
impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e
spezzare le rocce davanti al Signore, ma il
Signore non era nel vento. Dopo il vento, un
terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.
Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non
era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una
brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il
volto con il mantello, uscì e si fermò
all’ingresso della caverna. Ed ecco, venne a lui
una voce che gli diceva: «Che cosa fai qui,
Elia?». Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il
Signore, Dio degli eserciti, poiché gli
Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza,
hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di
spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi
cercano di togliermi la vita». Il Signore gli
disse: «Su, ritorna sui tuoi passi verso il
deserto di Damasco; giunto là, ungerai Cazaèl
come re su Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di
Nimsì, come re su Israele e ungerai Eliseo,
figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al
tuo posto. Io, poi, riserverò per me in Israele
settemila persone, tutti i ginocchi che non si
sono piegati a Baal».
Come vivere questa Parola? Si tratta della
celebre ‘teofania' di Dio al profeta Elia sul
monte Oreb. Essa contiene un insegnamento
fondamentale anche per noi cristiani del terzo
millennio. Come si vede dal testo citato, in
quest'incontro ravvicinato con il Trascendente,
Dio sconvolge e scombina tutti gli schemi che il
profeta s'era fatto prima su di Lui. Infatti,
dalle teofanie avute precedentemente, egli aveva
imparato a conoscere un Dio potente, violento,
il Dio del fuoco e degli sconvolgimenti
naturali. Ora però gli si rivela un Dio inedito,
nuovo, che non s'aspettava: un Dio silenzioso,
«una voce di silenzio sottile», come dice il
testo ebraico originale. Elia, dunque, deve
modificare e rompere tutti i suoi schemi del
passato, già ben fissati. Dio è sempre più in
là, oltre gli schemi e le formule: Deus semper
major! Questa lezione data dal Signore al suo
profeta è fondamentale anche per noi! Dio non è
catturabile nei nostri schemi. Egli rimane
sempre il Dio Vivente da cercare nella fede, che
ci precede e che scompiglia i nostri schemi
prefissati. Non è mai un Dio banale e scontato,
manipolabile, ma un Dio sempre nuovo e
imprevedibile! Voce di silenzio è un ossimoro
assai espressivo, proprio del linguaggio
mistico, che connette due
realtà apparentemente inconciliabili e
serve ad esprimere l'indicibile, in una specie
di cortocircuito del discorso. Infatti, quello
che Elia ode sulla montagna non è il «sussurro
di una brezza leggera» (come è scritto nella
traduzione vigente), ma una «voce di silenzio
sottile», cioè la voce di Dio che gli parla nel
silenzio. Il silenzio non è solo assenza di
rumori, è soprattutto percezione interiore di
chi ha fatto silenzio dentro di sé, e così è in
grado di ascoltare veramente Dio e non se
stesso, o le ripercussioni del proprio ego. Il
silenzio ha una sua voce. La voce di Dio è
appena un silenzio sottile e trattenuto. Qui la
teologia, l'esperienza mistica si fa apofatica
(negativa): preferisce non dire, piuttosto che
dire troppo. Proprio per questo la sua voce è di
silenzio. Concludendo, possiamo riassumere
l'esperienza di Elia, - che può diventare anche
la nostra - affermando che nell'incontro
autentico e profondo con Dio, bisogna avere il
coraggio di abitare il silenzio. |
2Cor 12, 2-10b Fratelli, so che
un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o
fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo
cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non
lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili
che non è lecito ad alcuno pronunciare. Di lui io mi vanterò! Di
me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze.
Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato: direi solo la
verità. Ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi più di
quello che vede o sente da me e per la straordinaria grandezza
delle rivelazioni. Per questo, affinché io non monti in
superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di
Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa
di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse
da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza
infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò
quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me
la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze,
negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle
angosce sofferte per Cristo.
La potenza di
Dio si dimostra perfetta nella debolezza umana e il Signore può
usarsi di te malgrado la tua debolezza, anzi è determinato a
portare a termine i Suoi obiettivi attraverso uomini che hanno
delle debolezze. Cioè incapaci, non abili per un servizio o uno
scopo, carenti, incerti, con delle lacune, (non so se ti ci
trovi nell’elenco?), aggiungo qualche altro sinonimo:
arrendevole, fragile, fiacco, incerto, malandato, precario,
stanco, carente ecc. ebbene il Signore nella nostra debolezza ci
da la forza! Paolo aveva compreso bene che nella debolezza
dimora la virtù di Cristo, accettò di buon grado la risposta
della sua preghiera. Paolo può compiacersi; in debolezze, in
ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di
Cristo; Infatti l’esperienza ha insegnato all’apostolo che
quando egli è debole a viste umane, privo di quel che il mondo
considera come forza, allora è forte d’una potenza spirituale di
fede e di amore, allora il Signore rende efficace, forte,
potente la vita di coloro che si affidano a Lui. Dio, non ha
bisogno della nostra forza per far l’opera sua, ma piuttosto
della nostra debolezza.
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Mt 10, 16-20 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi
discepoli: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque
prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini,
perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe;
e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare
testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non
preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora
ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del
Padre vostro che parla in voi». Mt 10, 16-20 Il
messaggio di Gesù in Matteo è rivolto ai dodici, ma non per questo ce ne
sentiamo esentati, quasi fosse rivolto solo a chi detiene il potere. Anche
perché in Luca il messaggio è rivolto, allargando, ai settantadue. "Vi mando
come pecore in mezzo ai lupi". Cominciamo con il dire che per Gesù non tutto
il mondo è fatto di lupi. Ha appena finito di parlare di case che
accoglieranno e di case che non accoglieranno. E dovremmo forse anche
aggiungere che una categoria di lupi Gesù l'ha fissata con precisione nel
vangeli: sono i falsi profeti, quelli che hanno facile il nome di Dio sulle
labbra e con il nome di Dio coprono i loro interessi, a volte le loro
violenze: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore,
ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete" ( Mt 7,15-16).
Vedete come la categoria dei lupi si allarga. Comunque il messaggio sembra
esplicito: i discepoli non avranno vita facile. Come il loro maestro saranno
processati in sinagoghe e tribunali. Gesù non ci ha nascosto la verità.
Dentro un futuro che conoscerà anche ombre, risuona però nel vangelo una
parola che ha il sapore di una sfida, un "ma": "Ma, quando vi consegneranno,
non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in
quell'ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo
Spirito del Padre vostro che parla in voi". Nella memoria mi si affacciano
storie di apostoli, di discepoli, storie di martiri di ieri e di oggi, storie
di donne e di uomini che hanno resistito a sevizie e torture. Ti chiedi come
abbiano potuto farlo: erano deboli, erano fragili, erano inermi, erano miti.
Lo Spirito - ecco il segreto - parlava in loro. Il libro degli Atti annota lo
stupore delle autorità religiose davanti al coraggio di Pietro e di Giovanni
e scrive: "Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto
che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti" (At 4,13). |