
IX Domenica dopo Pentecoste
2 agosto 2020
Mc 2, 1-12
Riferimenti : 2 Sam 12, 1-13 - salmo 31 - 2Cor 4, 5b-14 |
| Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il
peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui
spirito non è inganno. |
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2 Sam 12, 1-13 In quei giorni. Il
Signore mandò il profeta Natan a Davide, e Natan
andò da lui e gli disse: «Due uomini erano nella
stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il
ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran
numero, mentre il povero non aveva nulla, se non
una sola pecorella piccina, che egli aveva
comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme
con lui e con i figli, mangiando del suo pane,
bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno.
Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò
dall’uomo ricco e questi, evitando di prendere
dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da
servire al viaggiatore che era venuto da lui,
prese la pecorella di quell’uomo povero e la
servì all’uomo che era venuto da lui». Davide si
adirò contro quell’uomo e disse a Natan: «Per la
vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di
morte. Pagherà quattro volte il valore della
pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla
evitata». Allora Natan disse a Davide: «Tu sei
quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele:
“Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato
dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo
padrone e ho messo nelle tue braccia le donne
del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e
di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi
aggiungerei anche altro. Perché dunque hai
disprezzato la parola del Signore, facendo ciò
che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di
spada Uria l’Ittita, hai preso in moglie la
moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli
Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà
mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato
e hai preso in moglie la moglie di Uria
l’Ittita”. Così dice il Signore: “Ecco, io sto
per suscitare contro di te il male dalla tua
stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi
occhi per darle a un altro, che giacerà con loro
alla luce di questo sole. Poiché tu l’hai fatto
in segreto, ma io farò questo davanti a tutto
Israele e alla luce del sole”». Allora Davide
disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!».
Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso
il tuo peccato: tu non morirai».
2 Samuele. 12, 1-13 Questa pagina della
Scrittura ci sorprende per il coraggio e
l'onestà dell'autore biblico, che racconta e non
nasconde drammi e peccati terribili del popolo
di Dio ed anche di Davide ("un uomo secondo il
cuore di Dio": 1 Sam 13,14 è stato detto),
mentre, a sua volta, Natan, come profeta,
continua nella sua totale disponibilità alla
legge ed alla fedeltà di Dio. Il profeta viene
accolto con amicizia e accetta di ricondurre
Davide alla correttezza ed alla moralità, senza
risparmiare nulla della denuncia del male fatto,
scandalizzato e coraggioso lui stesso, eppure
insieme rispettoso dei disegni del Signore e
della misericordia su Davide che continua ad
essere il capostipite della dinastia del Messia.
In fondo il re ha una sua grandezza portentosa,
frutto anche della benevolenza e delle scelte
che Dio ha sviluppato con lui. Ma i doni e la
grazia che vengono da Dio stesso qualificano
ancora di più la negatività del comportamento di
Davide. Davide si sente interpellato per
risolvere una enorme ingiustizia nel suo popolo:
nel suo ruolo di re, e quindi di giudice, deve
dare un giudizio e risolvere il male. Natan deve
rimproverare il re. Saggiamente non lo fa in
modo diretto, ma raccontando una parabola, come
faceva Gesù. Davide non immagina di dover
giudicare se stesso e quindi, insieme, di dover
assumere il ruolo del giudice e di imputato. Il
peccato di Davide è gravissimo: adulterio ed
omicidio di un suo valoroso e fedele soldato. In
tutto questo Davide ha accompagnato il suo male
con il tradimento, l'ipocrisia, il cinismo e la
simulazione. Alla denuncia di Natan segue il
giudizio del re e la pena inflitta. A questo
punto si risolve l'enigma. In più, Natan ricorda
la benevolenza che il Signore ha concesso a
Davide per aiutarlo: solo così può prendere
coscienza della gravità del suo male. E
finalmente Davide si rende conto. Scopre, di
colpo, tutta la tragedia che ha provocato. Si
comporta come credente, senza giustificarsi o
trovare scuse o attenuanti. Riconosce
semplicemente la verità (v 13). Questa sola è la
via giusta. Il pentimento sincero risparmierà a
lui la morte, ma l'onda lunga del male cadrà
sulla famiglia del re. Si apre il grande
interrogativo sul male e sul castigo. Ma non è
Dio che provoca il male nella famiglia: già nel
Primo Testamento si dice che è lo stesso peccato
che castiga l'uomo. E nella famiglia di Davide,
oltre a drammi innumerevoli, moriranno di morte
violenta tre figli. E non va dimenticato che
Davide è stato anche incapace di educare i
propri figli, i quali si sono alimentati, in
particolare, dell'orgoglio e dello spirito
violento di Davide stesso.
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2Cor 4, 5b-14 Fratelli,
quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio,
che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri
cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul
volto di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di
creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza
appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo
tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non
disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non
uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di
Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro
corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati
alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si
manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la
morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito
di fede di cui sta scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato»,
anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha
risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci
porrà accanto a lui insieme con voi. 2 Cor
4,5b-14 La predicazione che Paolo compie non viene accettata
da tutti, anzi spesso è guardata con sospetto. Nella comunità
di Corinto alcuni inducono a rifiutare Paolo come apostolo,
perché dicono che non ne ha diritto. Altri lo equiparano a certi
predicatori imbroglioni o perdigiorno che si presentano alle
comunità con lettere di presentazione. Egli però si presenta
seriamente impegnato e onesto, rispettoso e fedele alla Parola
del Signore: "Abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose,
senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio,
ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a
ogni coscienza umana, al cospetto di Dio" (4,2). In più gli
rimproverano di poche conversioni perché, come oratore, vale
poco (2 Cor10,10). Paolo si difende premettendo, però che quelli
che hanno successo, tra loro, sono sleali e falsificatori del
messaggio di Gesù poiché nascondono le esigenze morali più
significative (vv 1-5). Paolo si difende e garantisce di non
aver mai falsificato il messaggio di Gesù con espedienti
meschini. Sa di essere, come apostolo "vostro servitore a causa
di Cristo"(v 5b) e questa è una splendida presentazione per chi
ha compiti pastorali nella Comunità cristiana, a cominciare dai
sacerdoti. Il loro compito è quello di far splendere, a loro
volta, la luce di Gesù nel mondo, portata dalla testimonianza
della fede di chi ha vissuto con Gesù e ha condiviso con lui il
cammino. Paolo, tuttavia, insieme, riconosce i suoi limiti.
Il Vangelo è custodito in vasi di creta, nella sua debolezza e
infermità. Ma più che riferimento al corpo (lettura greca) c'è
la consapevolezza della fragilità di tutta la persona (lettura
ebraica). Eppure il Signore preferisce gli strumenti poveri e
deboli per realizzare le sue meraviglie. Il Vangelo è un tesoro
prezioso portato in vasi di terracotta, fragile, senza valore e
sporca. Sa di essere con difetti e carenze, ma rivendica il
tesoro che porta poiché è prezioso per sé e per gli altri, amati
dal Signore, che hanno bisogno della forza di Gesù. La
consapevolezza del dono che porta fa sopportare a Paolo le
difficoltà, a volte, durissime. Ma a lui interessa che in coloro
che lo accolgono ci sia la vita piena. Sono santificati dallo
Spirito e credono nella risurrezione che pone ciascuno accanto a
Gesù nella gloria. Paolo ha garantito, poco prima, che quella
stessa loro speranza lo sostiene e non li fa abbandonare: "Forti
di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza" (3,12).

Cafanao antica. |
Mc
2, 1-12 In quel tempo. Il Signore Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo
alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non
vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la
Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro
persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla,
scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura,
calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro
fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano
seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così?
Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo? ». E subito Gesù,
conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché
pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al
paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua
barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere
di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –:
àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito
presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si
meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di
simile!». Mc 2,1-11 Questo racconto di Marco collega una
prima parte, costituita da interventi di liberazione e di guarigione e le
polemiche successive sulla presenza e l'opera di Gesù. Perciò bisogna stare
attenti al messaggio teologico che trasforma situazioni di vita in
avvenimenti paradossali. Siamo all'inizio del Vangelo di Marco. C'è, in
apertura, il "lieto annuncio" della presenza della liberazione da parte del
Signore e quindi la preparazione di un tempo nuovo. E Marco si preoccupa
subito di dare concretezza e ricorda che Gesù interviene sulle emarginazioni
del suo tempo: guarisce l'indemoniato (lotta contro l'alienazione), guarisce
una donna, la suocera di Pietro (lotta contro la discriminazione femminile) e
guarisce il lebbroso (lotta contro l'esclusione sociale). Tutti e tre sono
rimessi al centro dell'attenzione e riaccolti nella convivenza umana della
comunità (1,21-45). Il secondo capitolo, al suo inizio (che leggiamo oggi) va
alla radice: il mondo ha bisogno di essere liberato dal male, altrimenti è
incapace di lottare e di sradicarlo: ci vuole la forza del Signore. Ci
troviamo a Cafarnao, in una casa affollata, con gli scribi, attenti cultori
della legge ma incapaci di liberare dal male, cultori inermi di giudizi
morali. Gesù insegna in questa casa: rappresenta la "Casa d'Israele" entro
cui si trova e si discute. Nessuno può entrare e sembra che nessuno abbia
bisogno di liberarsi. Ma fuori c'è tensione e movimento. Quattro persone
vogliono entrare ma non senza aver introdotto un paralitico. I quattro
portatori rappresentano l'umanità (numero 4) e il paralitico rappresenta
l'impotenza a portare soluzione e a migliorare il mondo. Solo Gesù è una
speranza, ma come raggiungerlo? Bisogna sfondare le reti, le mura, "aprire le
porte" ma nessuno è disposto e nessuno è capace. L'idea geniale di calare il
paralitico dal tetto permette di fare spazio e di portare il malato davanti a
Gesù. Non sembra essere agevole, ma è più possibile di oggi per le case
palestinesi ad un solo piano, poiché hanno una scala esterna che sale sul
tetto, costruito con materiale leggero e facilmente asportabile. Ci
riescono. Quando sono davanti a Gesù, dopo un ovvio scompiglio generale di
spostamenti e di commenti, a Gesù nessuno chiede niente, neppure il
paralitico, basta che ci si trovi, faccia a faccia, con Lui perché Egli
accetti di entrare nel merito di questa povertà e va alle radici. E la radice
del male è il peccato. Ci è sforzati di combatterlo in vari modi: se è una
macchia da lavare o da espiare, ci si è impegnati da secoli con i bagni
rituali e con cerimonie dove si utilizza fuoco, sangue e animali in
sacrificio; se è una danno al prossimo bisogna almeno riconoscere il danno ed
offrire un risarcimento, per quanto possibile; se non c'è speranza da parte
nostra, Dio giudice verrà finalmente, e distruggerà i malvagi. |