
III Domenica di Pasqua
26 aprile 2020
Gv 1, 29-34
Riferimenti : At 19, 1b-7 - Salmol 106 - Eb 9, 11-15 |
Noi siamo suo popolo e gregge del suo pascolo.
Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore
è per sempre. Lo dicano quelli che il Signore ha riscattato, che
ha riscattato dalla mano dell’oppressore e ha radunato da terre
diverse. |
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At 19, 1b-7 In quei giorni
Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano,
scese a Èfeso. Qui trovò alcuni discepoli e
disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo
quando siete venuti alla fede?». Gli risposero:
«Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno
Spirito Santo». Ed egli disse: «Quale battesimo
avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni»,
risposero. Disse allora Paolo: «Giovanni
battezzò con un battesimo di conversione,
dicendo al popolo di credere in colui che
sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». Udito
questo, si fecero battezzare nel nome del
Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto
loro le mani, discese su di loro lo Spirito
Santo e si misero a parlare in lingue e a
profetare. Erano in tutto circa dodici uomini.
Atti 19, 1b-7 La missione di
Paolo si sta allargando oltre i confini della
Palestina e l'apostolo sente che il suo compito
è quello di moltiplicare gli orizzonti della
missione. Paolo è stato a Corinto per molti mesi
ed ora, per diverse circostanze, si ritrova a
Efeso. La città è bellissima e celebrata in
tutto l'impero, vasta e costituita inizialmente
da greci; ma poi è diventata meta di molte etnie
che vi si installano, anche perché ha un porto
sicuro e da Efeso partono molte strade, preziose
per i commerci e lo spostamento di popolazione.
Prendendo contatti con ebrei osservanti che però
già conoscono Giovanni Battista, Paolo si rende
conto che le migrazioni ebraiche dei suoi
compatrioti dalla Palestina, nei vari periodi,
stanno allargando le conoscenze e portano le
novità dalla madre terra. Così la predicazione
di Giovanni Battista ha scosso la rassegnazione
degli ebrei nella dispersione (diaspora), e
Paolo constata, per questi 12 uomini che trova a
Efeso, che conoscono il messaggio di Giovanni e
riconoscono quel Gesù profeta che predicava
prima della sua risurrezione. Perciò questi, che
pure sono chiamati" discepoli" (19,1), non hanno
ricevuto i doni messianici e gloriosi che si
sono manifestati dopo la risurrezione. Giovanni
infatti ricorda: "Nell'ultimo giorno, il grande
giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò:
«Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi
crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo
grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Questo
egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto
i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo
Spirito, perché Gesù non era ancora stato
glorificato" (Gv7,37-39).
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Eb 9, 11-15 Fratelli,
Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso
una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano
d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una
volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri
e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una
redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capr e dei vitelli
e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono
contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto
più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno,
offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra
coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?
Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché,
essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni
commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati
ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.
Ebrei. 9, 11-15 La "Lettera Agli Ebrei" è una
grandiosa catechesi su Gesù sommo ed eterno sacerdote, destinata
ad una comunità giudeo-cristiana che deve compiere il passaggio
dalla teologia del Sinai, legata alla mediazione di Mosè alla
teologia del Golgota-Sion, legata alla mediazione di Gesù.
"Il male del popolo provoca l'ira di Dio per cui bisogna
placarlo": questo è il pensiero delle religioni pagane e,
spesso, è la deformazione anche della nostra religiosità. Dio
vuole per noi la vita, il nostro bene, la vera felicità per cui
il male è la lacerazione della comunione con Lui che pure ci fa
grandi ed è la scoperta della propria povertà e nudità come dopo
la colpa dei primogenitori. Il Signore vuole che si
ristabiliscano i rapporti di comunione, che si ritorni ad un
cambiamento di pensieri e di azioni. Per esprimere questa
consapevolezza, in Israele, si svolge ogni anno il "giorno del
grande digiuno", Yom Kippur, che viene dedicato alla preghiera,
al digiuno, alla lettura della Parola di Dio e a riti di
espiazione. Il tutto culmina con l'aspersione del sangue di
animali uccisi sul coperchio dell'Arca dell'alleanza nel Santo
dei Santi del tempio dove solo il Sommo sacerdote entra, compie
il gesto per sé e per tutto il popolo. Il sangue è stato
sempre pensato come il luogo della vita nel mondo ebraico. In
tal modo, ristabilisce la corrente di vita tra noi e Dio.
L'Alleanza è stata proposta e sancita da Dio. Il popolo
d'Israele, come ogni popolo, nella propria fragilità, l'ha
lacerata. Con questi riti Israele riconosce la propria colpa
e ripropone la propria richiesta di perdono a Dio che continua
ad accoglierci. E poiché questa lacerazione si compie ogni
giorno con le nostre infedeltà, ogni anno viene riproposto il
rito della espiazione.
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Gv
1, 29-34 In quel tempo. Giovanni, vedendo il Signore Gesù venire verso di
lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!
Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me,
perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare
nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò
dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e
rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a
battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere
lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho
testimoniato che questi è il Figlio di Dio». Giovanni. 1,
29-34 Sembra strano questo passo del Vangelo nella sequenza dei vangeli
pasquali, ma forse è importante proprio per non indulgere sullo straordinario
degli eventi e per non dare adito al proliferare di fantasie e di cose
prodigiose Questo brano non ha lo scopo di raccontare il battesimo di Gesù
(siamo in questo contesto), ma di indicare quando e come Giovanni Battista ha
riconosciuto in Lui il Figlio di Dio. Anzitutto è un Vivente dai precisi
connotati umani che gli si fa incontro e che viene riconosciuto attraverso
l'affermazione dalle molteplici risonanze ed interpretazioni bibliche: "Ecco
l'Agnello di Dio che porta su di sé il peccato del mondo!" A noi forse
questa espressione non dice molto se non ne penetriamo lo spirito biblico.
Forse ci aiuta di più intravvedere attraverso l'esclamazione di Giovanni il
riconoscimento di Qualcuno, certo un inviato di Dio, che si prende a cuore la
situazione dell'umanità sconvolta dal male e la solleva. Anche qui c'è
qualcuno che ‘vede', vede oltre; uno che "non lo conosceva" e d'un tratto si
rende conto. Ma c'è bisogno di un incontro: di Gesù che si fa avanti e che
fa capire come i segni straordinari di Dio passino attraverso gesti semplici,
comuni, che gli uomini di fede solida riconoscono e additano. Come se
dicessero: "guardate, lì c'è la presenza di Dio, perché è solo Lui che può
ridare freschezza e limpidità al mondo deteriorato." Bisogna andar oltre
la nostra consapevolezza di "non conoscerlo" ed essere attenti a tutto ciò
che rende viventi, perché il VIVENTE è sempre fra noi e viene incontro a
tutti per essere riconosciuto e condiviso. E testimoniare è rendere noto,
indicare che c'è un Figlio di Dio in mezzo a noi, sempre pronto a farsi
incontro e a riannodare i fili delle nostre esistenze riaccendendole di vita
e di entusiasmo. |