
Penultima Domenica dopo l'Epifania
16 febbraio 2020
Gv 8, 1-11
Riferimenti : Bar 1, 15a; 2, 9-15a -
SALMO 105 - Rm 7, 1-6a |
| Rendete grazie al Signore, il suo amore è per
sempre. Abbiamo peccato con i nostri padri, delitti e malvagità
abbiamo commesso. I nostri padri, in Egitto, non compresero le
tue meraviglie. |
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Bar 1, 15a; 2, 9-15a Direte in
quei giorni: «Il Signore ha vegliato su questi
mali e li ha mandati sopra di noi, poiché egli è
giusto in tutte le opere che ci ha comandato,
mentre noi non abbiamo dato ascolto alla sua
voce, camminando secondo i decreti che aveva
posto davanti al nostro volto. Ora, Signore, Dio
d’Israele, che hai fatto uscire il tuo popolo
dall’Egitto con mano forte, con segni e prodigi,
con grande potenza e braccio possente e ti sei
fatto un nome, qual è oggi, noi abbiamo peccato,
siamo stati empi, siamo stati ingiusti, Signore,
nostro Dio, verso tutti i tuoi comandamenti.
Allontana da noi la tua collera, perché siamo
rimasti pochi in mezzo alle nazioni fra le quali
tu ci hai dispersi. Ascolta, Signore, la nostra
preghiera, la nostra supplica, liberaci per il
tuo amore e facci trovare grazia davanti a
coloro che ci hanno deportati, perché tutta la
terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio».
Baruc. 2, 9-15a Il regno di Giuda è crollato
in mano ai babilonesi. Il profeta Baruc scrive
questo testo a Babilonia, rivedendo le posizioni
e le scelte che il popolo ha compiuto,
affrontando una lunga complessa riflessione
teologica che lo porta a sondare i valori di
Dio, le scelte che egli fa', la raccomandazione
delle leggi che ha proposto, i risultati di
fronte a un comportamento irresponsabile di
rifiuto e di abbandono di Dio. Il libro è
attribuito a Baruc, noto come fedele segretario
del profeta Geremia. Il libro contiene materiali
diversi, sia per genere letterario che per epoca
di composizione. Si può pensare ad un'antologia
e il brano di oggi fa parte di una Liturgia
penitenziale (1,15b-3,8). Questo popolo disperso
e disperso, probabilmente già da quattro anni,
sembra riunito nel 582 a.C.. Sta rendendosi
conto del proprio destino e dei rivolgimenti che
sono avvenuti nella propria storia. A questo
punto si è risvegliata in ciascuno la
consapevolezza della propria empietà e della
propria ingiustizia. Ritornano in mente i
prodigi che Dio ha fatto in passato per questo
popolo, liberandolo dall'Egitto; ci si rende
conto della pazzia della propria ribellione che
si è compiuta con le proprie scelte e le proprie
mani e che si sta pagando con la propria
sofferenza. La preghiera, a questo punto, prende
coscienza della propria fragilità e della
propria pochezza: "Siamo rimasti pochi in mezzo
alle nazioni fra le quali tu ci hai dispersi" (v
13). Sorprendentemente, le richieste sono due.
Mentre si sta chiedendo al Signore, con la
supplica, la propria liberazione, si chiede al
Signore: "Facci trovare grazia davanti a coloro
che ci hanno deportati, perché tutta la terra
sappia che tu sei il Signore, nostro Dio"(v
14-15).Si chiedono, da una parte, le capacità e
il coraggio di essere sottomessi al popolo che
li ha conquistati, perché solo così questo
popolo può reggere la fatica e l'umiliazione del
castigo che si è procurato. Ma, d'altra parte,
proprio in questa vita di responsabilità e di
cambiamento, il popolo diventa capace, ancora
una volta, di essere testimone della grandezza
di Dio, del Dio che ha creato il mondo, che è il
loro Signore, che li ha educati alla
responsabilità e che essi hanno, per un certo
tempo, abbandonato.
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Rm 7, 1-6a O forse ignorate,
fratelli – parlo a gente che conosce la legge – che la legge ha
potere sull’uomo solo per il tempo in cui egli vive? La donna
sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli vive;
ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al
marito. Ella sarà dunque considerata adultera se passa a un
altro uomo mentre il marito vive; ma se il marito muore ella è
libera dalla legge, tanto che non è più adultera se passa a un
altro uomo. Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi,
mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto
alla Legge per appartenere a un altro, cioè a colui che fu
risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio.
Quando infatti eravamo nella debolezza della carne, le passioni
peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre
membra al fine di portare frutti per la morte. Ora invece, morti
a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla
Legge per servire secondo lo Spirito, che è nuovo.
Romani. 7, 1-6a Paolo, da buon ebreo, si sente impegnato a
far sempre riferimento alla legge per poter poi ricordare che
con il battesimo siamo stati liberati non solo dal peccato (cap
6), ma anche dalla legge stessa (cap 7). Per illustrare la
liberazione dalla legge viene ripreso un esempio, molto
evidente, della donna vedova, e quindi senza marito e della
donna sposata con il marito vivente. La legge regola i rapporti
solo tra i vivi. La morte li sospende come dimostra la legge
matrimoniale (vv 2-3). Quando una donna sposa un altro uomo, è
legata a lui dal dovere di fedeltà: ma se poi muore il marito,
resta libera dalla legge del marito cioè dalla legge che
riguarda ciò che dice la legge ebraica. Così il credente è
sottratto alla legge mediante il corpo di Cristo. Cristo, nel
battesimo, libera dal dominio della legge poiché fa morire il
credente con sé e quindi lo fa morire alla legge.Ora che siamo
stati liberati dalla legge siamo chiamati a servire in novità di
Spirito" (v 6). Siamo così liberati dalla legge, dalla lettura
dei codici, dalla preoccupazione dei vecchi statuti, per
l'ossessione di doverci misurare sulla lettera. Siamo chiamati a
servire secondo lo Spirito.Servire secondo lo Spirito significa
aprire orizzonti: un'obbedienza interiore attiva a cui segue la
creatività e la freschezza del dono di Dio ogni giorno. Egli
apre ad una vita fruttuosa, ad una conversione attenta di
comunione alle persone e ci fa consapevoli dell'amore del dono
di Dio, fiduciosi e ricchi di libertà. Così, noi entriamo nel
"regime nuovo dello Spirito" che non si regola più sulla norma
scritta, imposta a ciascuno dall'esterno, capace solo di
richiedere fatica e sforzi infruttuosi di adesione. Lo Spirito
anima il credente dell'interno e lo muove verso una fecondità
spontanea e gioiosa. Così servire nello Spirito è mettersi a
disposizione, essere attenti al vivere di qualcuno, scoprire le
esigenze e le possibilità e le potenzialità. E servire nello
Spirito è ricerca di creatività, di bellezza, di novità e di
valori nascosti.
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Gv
8, 1-11 In quel tempo. Il Signore Gesù si avviò verso il monte degli
Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da
lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i
farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e
gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che
ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di
accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra.
Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di
voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi
di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno,
cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo.
Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha
condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io
ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Giovanni.
8, 1-11 L'adultera Ci troviamo di fronte ad un testo che ha tutte le
caratteristiche del Vangelo di Luca, che si gioca sulla misericordiosa
credenza in Dio ma è un testo che ritroviamo in Giovanni, collocato in una
particolare situazione nel suo Vangelo. Gesù è in polemica continua con i
conoscitori della Scrittura e con i maestri d'Israele: "La mia dottrina non è
mia ma di colui che mi ha mandato" (7,16). E la discussione si sviluppa nel
capitolo 7 sulla legge di Mosé: "Chi è il vero e autentico rivelatore di
Dio?". E' Mosé che detta la legge perché sia rispettata. Certamente verrà il
Cristo, il nuovo Mosè, e Lui ci dirà. E invece: "Chi è quest'uomo? Sappiamo
di dove viene mentre del Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia"
(7,27). È un susseguirsi di provocazioni, di attenzioni, di risposte che Gesù
propone sino a quella: "Se qualcuno ha sete venga a me e beva chi crede in
me" (7,37-38). Irritati dalla forza della predicazione e convinti che Gesù
non viene da Dio, scribi e farisei organizzano una specie di tribunale
pubblico all'aperto, una sfida che ritengono insuperabile. Gesù è arrivato
nel tempio di mattina, presto. Egli siede e insegna. Gli portano una donna
sorpresa in adulterio. La pongono nel mezzo e sfidano Gesù perché dia la sua
sentenza, ricordando la legge di Mosé: "Ora Mosè, nella Legge, ci ha
comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?" (8,5).L'evangelista
parla del mattino, il tempo nuovo, il tempo della luce. E come se si dovesse
attendere il tempo nuovo della creazione, il rinnovamento di un mondo malato
che sa solo porsi col giudizio e con la condanna. E qui c'è ancora di più: si
vuole strumentalizzare il male che dicono d'aver trovato per poter accusare
anche Gesù. Gesù si china e comincia a scrivere col dito per terra. Nella
Scrittura, nel libro dell'Esodo, si ricorda che Mosé sul Sinai ha ricevuto le
due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio"
(31,18) e lo stesso si dice nel Deuteronomio (9,10). Ma se sul Sinai, Dio
scrive sulla pietra, a Gerusalemme Gesù scrive sulla terra, sul mondo in cui
viviamo, perché tutti lo possano leggere, ripensare, reinterpretare, maturare
nella coscienza la misericordia di Dio. In fondo Gesù non rifiuta la legge di
Mosé, anzi non entra neppure nel merito, ma di fronte al peccato ricorda a
coloro che accusano che lo possono denunciare e cancellare con la loro
giustizia solo se accettano di misurarsi in coscienza con la stessa legge.
Non basta rispettare alla lettera le parole di Mosé. Bisogna essere
consapevoli del peccato di tutti e bisogna aprire gli occhi e il cuore ad
ogni persona che sbaglia, concedendole un progetto nuovo per il futuro:
questo è il senso del perdono e della misericordia. A questo punto ognuno che
ha in mano una pietra e vuole giudicare e condannare, è chiamato ad una
verifica: «chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di
lei» (8,7). Per procedere nella lapidazione, in caso di sentenza pronunciata
dal giudice, è necessario che qualcuno, per primo, cominci a scagliare una
prima pietra. E' il diritto-dovere che spetta al testimone sulla cui
testimonianza si sono basati processo e condanna.
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