
ULTIMA DOMENICA DOPO EPIFANIA
23 febbraio 2020
Lc 15, 11-32
Riferimenti : Os 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18. 21-22 -Sal 102
- Rm 8, 1-4 |
| Il Signore è buono e grande nell’amore. Benedici
il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo
nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i
suoi benefici. |
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Os 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18.
21-22 Il Signore disse a Osea: «La loro madre
ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno
il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio
lino, il mio olio e le mie bevande”. Perciò
ecco, ti chiuderò la strada con spine, la
sbarrerò con barriere e non ritroverà i suoi
sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li
raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora
dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, perché
stavo meglio di adesso”. Non capì che io le davo
grano, vino nuovo e olio, e la coprivo d’argento
e d’oro, che hanno usato per Baal. Perciò, ecco,
io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò
al suo cuore. Le renderò le sue vigne e
trasformerò la valle di Acor in porta di
speranza. Là mi risponderà come nei giorni della
sua giovinezza, come quando uscì dal paese
d’Egitto. E avverrà, in quel giorno – oracolo
del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non
mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. Ti farò
mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella
giustizia e nel diritto, nell’amore e nella
benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e
tu conoscerai il Signore».
Osea. 1, 9a; 2, 7b-10. 16-18. 21-22 Osea è un
uomo innamorato e insieme tradito dalla sposa
che ha amato e continua ad amare. Osea abita nel
regno d'Israele, che si è distaccato da
Gerusalemme al tempo della morte di re Salomone.
In questa zona si è diffusa l'idolatria e ci
sono molti templi pagani, dedicati agli dei
fenici. L'idolo conosciuto è Baal, "il Signore,
il potente, il dominatore, il padrone". Esiste
una classe sacerdotale che domina il paese e
tiene nei templi le prostitute sacre,
alimentando così i profitti e la superstizione
delle popolazioni che si sono allontanate dal
Dio della liberazione. Osea ha sposato una di
queste prostitute da cui ha avuto tre figli. Ma
poi, via via, la sua sposa si è stancata della
vita matrimoniale e ha ricominciato a desiderare
l'antica abitudine del rapporto con gli idoli, i
devoti degli idoli che salgono ai templi e i
loro sacerdoti. Osea scopre che la sua vicenda
assomiglia alla disavventure della religiosità
del nord. Chi domina sfrutta, si arricchisce e
abbandona i poveri che aumentano mentre
l'immoralità dilaga. Dio è lontano ma nella sua
solitudine Osea incomincia a pensare di essere
stato abbandonato da Gomer come Dio è stato
abbandonato da Israele. Eppure egli continua a
sentire amore per questa sua moglie come Dio
continua a sentire amore a questo suo popolo che
si è allontanato. Non valgono i castighi e non
valgono i rifiuti. Il cuore di Osea è il cuore
di un innamorato che sa essere fedele. E come
Dio attraverso i suoi profeti, Osea ripensa ad
una strategia di riavvicinamento e accetta di
umiliarsi e di riaccogliere Gomer che, nel
frattempo, sta dando segni di stanchezza e di
delusione. Perciò le parole di Osea diventano le
parole del perdono di Dio.
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Rm 8, 1-4 Fratelli, non c’è
nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la
legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato
dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era
impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio
lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne
simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha
condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della
Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne
ma secondo lo Spirito. Romani 8, 1-4. Il
capitolo precedente conclude con il v 25: "Siano rese grazie a
Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la
mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la
legge del peccato". Infatti verifico che, da una parte, con la
coscienza, mi sottometto alla legge di Dio, ma a questo
atteggiamento se ne contrappone un altro: seguendo la sua
debolezza, nella carne obbedisco alla legge del peccato. E se la
legge di Mosé è, di per sé, giusta, santa, ed educa al bene, in
noi scopriamo più forte la legge del peccato che ci conduce
verso il male: "Vedo ciò che è giusto, lo voglio eppure faccio
il male che detesto" (7,15). "Chi mi libererà da questo corpo di
morte?" (7,24). Ma noi siamo nella legge dello Spirito poiché
aderiamo a Gesù e in noi non c'è più una radice di condanna. La
nostra peccaminosità e la nostra debolezza, trasferite in
Cristo, sono state distrutte con la sua morte fisica. Così Gesù,
che libera, ci fa passare al dominio di Dio e lo Spirito offre
la sua legge 8,2). Da Gesù ereditiamo nuovi stili e valori che
inglobano ancora, e insieme superano, la sapienza della Prima
Alleanza, "la giustizia della legge" (8,4). Il superamento, per
l'unione a Cristo, mediante la fede, si riassume nel
comandamento dell'amore. "La carità non fa alcun male al
prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità" (13,10).
Questa è la scelta di Gesù nella sua morte, questa è la vera
giustizia della legge, portata da Gesù risorto. E' uno stile
impegnativo, totalmente nuovo nella quotidianità e spesso
improbabile. Ma, come cristiani, siamo richiamati a vivere la
forza della presenza dello Spirito che abita ogni giorno in noi
e che stabilisce alleanza e comunione con Dio e con Gesù.
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Lc
15, 11-32 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due
figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di
patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi
giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un
paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed
egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di
uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare
i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci;
ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di
mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò
da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non
sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi
salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo
padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e
lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a
te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai
servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare,
mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed
è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far
festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino
a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa
fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha
fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli
si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma
egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai
disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far
festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha
divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello
grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che
è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello
era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”»
Luca. 15, 11-32 Il capitolo 15 di Luca è il capitolo della misericordia,
che dimostra la premura e il volto di Dio, capace solo di amare. Ma proprio
questo sconcerta coloro che ritengono di essere vicini a Dio poiché, tutto
sommato, pretendono il Dio giustiziere. Tutto il capitolo è impostato su
un'accusa a Gesù che li scandalizza: "Costui riceve i peccatori e mangia con
loro"(15,2). L'osservazione manifesta stupore e indignazione, nello stesso
tempo. Gesù risponde con tre parabole diverse nel loro sviluppo. E tuttavia
presentano alcuni aspetti comuni. La prima, per la ricerca di una pecora
smarrita, è una sfida al loro comportamento: "Chi di voi, se ha 100 pecore e
ne perde una, non lascia le 99 e va in cerca di quella perduta?" e finalmente
la trova (15,4-7). La seconda è un incidente facile in casa: " O quale donna,
se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa?".
La casa è buia in Israele, senza finestre. Bisogna accendere la lampada e
spazzare il pavimento di pietra. Finalmente trova la moneta e fa festa
(15,8-10). Il testo è comprensibile, si direbbe ovvio. Ma tre elementi
interessanti li percorrono. Si cerca finché si trova ciò che si è perso.
L'obiettivo è "trovare", verbo ripetuto nelle due parabole tre volte. La
conclusione è la festa. Questi tre elementi paradossali, a questo punto, sono
presenti nella parabola del figlio ritrovato, ma in modo assolutamente
paradossale. Disse ancora: «Un uomo aveva due figli.." (15,11-32). Gesù, nel
vangelo di Luca, racconta queste tre parabole, e, in particolare la terza,
poiché sta svelando l'amore di Dio verso "i pubblicani e i peccatori" e sta
rispondendo alle mormorazioni dei giusti: i farisei, i teologi, i cultori
della legge che rifiutano l'accoglienza e la misericordia di Gesù, così
sfacciata e così scandalosa. Perciò queste parabole non sono rivolte ai
peccatori, ma ai perfetti, ai puri: sono coloro che pretendono di conoscere
Dio e la sua giustizia. A loro Gesù parla e dice: "Ecco, con il loro rifiuto
verso chi sbaglia, i giusti e i puri mettono addirittura a rischio il loro
rapporto con Dio e ne deformano la conoscenza, come il fratello maggiore". Va
ancora ricordato che la morale giudaica suppone il perdono di Dio solo per un
peccatore pentito, come Luca riporta nell'episodio del ricco gabelliere di
Gerico, Zaccheo (19,1-18). |