 III Domenica dopo Pentecoste
21 giugno 2020
Gv 3, 16-21
Riferimenti : Gen 2, 4b-17 - Sal 103 - Rm 5, 12-17 |
| Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte
tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature. Tutti
da te aspettano che tu dia loro il cibo a tempo opportuno. Tu lo
provvedi, essi lo raccolgono; apri la tua mano, si saziano di
beni. |
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Gen 2, 4b-17 Nel giorno in cui il
Signore Dio fece la terra e il cielo nessun
cespuglio campestre era sulla terra, nessuna
erba campestre era spuntata, perché il Signore
Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non
c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla
d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il
suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un
alito di vita e l’uomo divenne un essere
vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino
in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che
aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare
dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla
vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita
in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza
del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per
irrigare il giardino, poi di lì si divideva e
formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama
Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di
Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella
regione è fino; vi si trova pure la resina
odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si
chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la
regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama
Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto
fiume è l’Eufrate. Il Signore Dio prese l’uomo e
lo pose nel giardino di Eden, perché lo
coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede
questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di
tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero
della conoscenza del bene e del male non devi
mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne
mangerai, certamente dovrai morire».
Genesi. 2, 4b-17 Dio è il creatore di tutto,
ma il credente si trova in un mondo complesso,
con responsabilità e attenzioni, governatore di
una tesoro che il Signore ha creato e gli ha
messo a disposizione. Le domande sorgono poiché
abbiamo bisogno di capire e di vivere con
giustizia. Questa coscienza ce la troviamo nel
cuore, frutto di esperienza, di saggezza, di
confronti, di discussioni e di pretese, di
alleanza e di inimicizie. La domanda allora
sorge spontanea. Il Creatore che cosa vuole da
noi? L'autore biblico, com'è usanza nel mondo
orientale, in questo caso non scrive un codice
di legge (farà anche questo, più avanti) ma
procede con un racconto. E la spiegazione cerca
di sciogliere i "perché". E' una narrazione
teologica, l'esposizione di un mito: il pensiero
di Dio si esprime attraverso fatti comuni. Così
questo testo dice a ciascuno di noi ciò che
siamo e ciò che va capito. Non è cronaca di un
avvenimento di millenni fa', all'inizio del
mondo, ma ciò che avviene ancora nell'umanità
ogni giorno. Il racconto è come un tessuto che
si tesse via via. All'inizio c'è il deserto: e
nel deserto manca la pioggia e il lavoro
dell'uomo. Perciò tutto è arido. Il Signore, che
vuole sviluppare la bellezza per l'umanità che
egli sogna nei suoi progetti, offre una sorgente
dal suolo che irriga e la presenza di un essere
umano come il lavoratore. La vita è regalata
all'umanità come primo progetto e quest'uomo
sarà capace di essere mediatore tra il mondo e
Dio poiché fatto di terra e vivificato all'alito
di Dio che lo rende "essere vivente". Perciò è,
insieme, intelligente, interlocutore, capace di
cogliere il senso della sua vita, e capace di
introspezione, di consapevolezza, di libertà. La
prima casa dell'uomo è un giardino e l'uomo
capisce di essere il proprietario, lavoratore e
custode. Egli si deve prendere cura di tutto
come di una casa in cui abiteranno la propria
famiglia e la propria discendenza. Si parla di
alberi e di 4 fiumi. Gli alberi sono il
nutrimento gratuito, e, insieme, la garanzia
della vita e la garanzia di un responsabilità
etica: l'albero della conoscenza del bene e del
male, in particolare, sarà l'indice di una
ubbidienza alla legge sapiente che Dio ha
dispensato. Violare questo semplice comando
significa capovolgere il rapporto reciproco di
fiducia e di alleanza.
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Rm 5, 12-17 Fratelli, come
a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il
peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la
morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era
il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere
imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a
Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della
trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva
venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti
per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia
di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si
sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è
come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti
viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia
invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se
per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel
solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della
grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per
mezzo del solo Gesù Cristo. Romani. 5, 12-17
Il brano della lettera ai Romani è famoso poiché, riprendendo il
racconto della Scrittura sull'Adamo, primogenitore e peccatore,
contrapposto all'uomo nuovo che è Gesù. Il primo Adamo vuole
essere il Signore del bene e del male, il conoscitore della
realtà e dei valori del mondo che pretende di manipolare secondo
la propria volontà, colui che rifiuta ogni limite morale che il
Creatore ha posto per mantenere nella creazione armonia e
rispetto di norme e leggi. Gesù, invece, riconosce la propria
dipendenza da Dio, sa che è Padre amoroso e non padrone
dispotico e invidioso dell'umanità che vuole attentare al suo
potere. Gesù resta obbediente al Padre e diventa Signore della
vita. Gesù deve affrontare un mistero drammatico e insoluto. Non
c'è nulla che purifica il mondo dal male e tutta l'umanità è
travolta, inquinata sempre di più, mentre un piccolo popolo di
fedeli al Signore deve impegnarsi per la purificazione di sé e
degli altri. Gesù è inviato nel mondo dal Padre come un giusto a
cui viene affidato un compito. "Purifica il mondo dal male". E
Gesù pone il suo cuore per la salvezza, la sua parola per
rigenerare intelligenza e aprirla ai significati di Dio. E,
insieme, compie miracoli per mostrare quali veramente sono i
desideri di Dio. Insieme, percepisce che questo mondo ha bisogno
di una disponibilità totale, di una generosità profonda, di una
creazione completa del mondo che può avvenire solo se qualcuno
contrappone al male un amore totale, a tutti i costi, in ogni
ubbidienza, in ogni prospettiva, in totale lucidità. San Paolo
ha intenzione di stabilire un parallelo tra l'umanità impoverita
e ribelle e Gesù. Seguendo le interpretazioni dei rabbini del
suo tempo, che immaginano Adamo un individuo ben preciso, nella
contrapposizione fa risaltare ciò che conta agli occhi di Dio. E
il racconto della Genesi su Adamo e l'inizio della umanità (Gen
capp 2-3), che è un racconto teologico che non ha pretese
scientifiche, e ci ricorda che ognuno di noi è come Adamo, e
ognuno, nella vita, pretende di superare i limiti della liceità
per interessi e autonomia, poco o tanto. Gesù allora ci vuole
togliere dalla esasperazione, dalla maledizione, dalla
disperazione, dalla rassegnazione e diventa il capofila che ha
accettato che l'amore gratuito, infinito sogno del cuore di
ciascuno, è possibile nonostante tutto. Lo ha scelto come
progetto di ogni giorno per sé e per tutti gli uomini che
vogliano accettare di rischiare con Lui. Gesù è la garanzia di
essere stati liberati se noi lo vogliamo, se lo desideriamo, se
operiamo nel mondo con responsabilità su veri valori, e non solo
nella fantasia, nel solo sogno, nella sola immaginazione. E se
il mondo non lo vediamo automaticamente salvato e se la morte
continua, il dono di amore contro il peccato è stato presentato
da Gesù in croce (Rom. 5,6.8.11), e a A noi il Padre chiede che
questa purificazione continui anche attraverso noi, nella nostra
libertà e nella nostra intercessione.
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Gv 3, 16-21 In quel tempo. Il Signore Gesù disse a
Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio,
infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è
condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto
nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è
venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce,
perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la
luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece
chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue
opere sono state Giovanni. 3, 16-21 Gesù suscita molti
interrogativi ed il giovane rabbi è perciò sulla bocca di tutti, nel bene e
nel male. Molti lo incontrano sulla strada o vanno ad ascoltarlo quando parla
nei posti più diversi. Ma anche in Nicodemo le notizie, che ha di Gesù e
probabilmente qualche discorso riportato, nasce curiosità e perplessità.
Nicodemo è un personaggio illustre del gran consiglio (sinedrio) di
Gerusalemme, maestro in Israele e generoso fedele di Dio che cerca di
conoscere la sua volontà e di obbedire. Ciò che sente di Gesù è nuovo e nel
suo ambiente suscita perplessità e sconcerto. Proprio per la sua onestà e
serietà nel cercare la volontà del Signore, si decide di approfondire il
significato di questa nuova predicazione che, onestamente, sente diversa e
coinvolgente. Perciò, una notte Nicodemo decide di andare a parlare con Gesù
(Gv3,2-21). Gesù lo accoglie con amicizia, lo apprezza per i suoi
interrogativi, ma apre una riflessione molto apprezzata che però si sviluppa
in una rivelazione difficile poiché apre orizzonti impensabili anche per uno
studioso della Scrittura come questo anziano che è venuto a cercarlo. Gesù
gli dà atto della sua onestà e lo richiama, come maestro d'Israele, a capire
che "bisogna rinascere dall'alto", e il fatto di dover rinascere sconcerta il
dottore d'Israele. Così, proseguendo l discorso, Gesù riprende un ricordo
biblico drammatico del deserto popolato di serpenti e di scorpioni che
diffondevano la morte nel popolo liberato da Mosè. E Gesù ricorda un
provvedimento curioso. Mosè aveva fatto innalzare un serpente di bronzo che
ancora ai tempi di Gesù si conserva nel tempio. Chi lo guardava guariva. E
Gesù conclude in una riflessione strana: "è il guardare in alto che fa
guarire". "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita
eterna" (Gv3,14-15). Non è possibile capire poiché questa riflessione si apre
e si svolge solo dopo l'esperienza terribile della morte e della risurrezione
di Gesù. Ma il testo di oggi continua, in conseguenza, la rivelazione a
Nicodemo e quindi a noi. Dio, il creatore del mondo e dell'umanità, ha amato
infinitamente questo mondo, ed ha offerto il massimo di sé: il Figlio
unigenito. E questa parola "unigenito" fa ritornare immediatamente la memoria
di Abramo che deve offrire il proprio unigenito Isacco. Il ricordo fa correre
un brivido in tutti i padri d'Israele. |