Domenica della Ss. Trinità
7 giugno 2020
Gv 16, 12-15
Riferimenti - Salmo 67 - ’Esodo 3, 1-15 - Rm 8, 14-17
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome. O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo, quando camminavi per il deserto, tremò la terra, i cieli stillarono davanti a Dio, quello del Sinai, davanti a Dio, il Dio di Israele.

’Esodo 3, 1-15
In quei giorni. Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe ». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

Esodo 3, 1-15
Mosè è fuggito dall'Egitto, avendo messo a repentaglio la sua vita. Ha infatti difeso uno schiavo ebreo da un aguzzino egiziano che, nella colluttazione con Mosè, è rimasto ucciso. Mosè non sopporta che i sottomessi siano sfruttati e maltrattati. Ha un cuore misericordioso. Ma questo impaurisce sia il Faraone che gli stessi ebrei che, per timore di conseguenze, lo rifiutano (Es 2,11-16). Così è fuggito, trovando rifugio nel deserto, in una vita tranquilla di pastore. Si è accasato ed ha dimenticato tutto e tutti, in una vita sempre uguale. Ma è il Signore che non dimentica il suo popolo in sofferenza e sente il suo grido. Non è un popolo che grida al Signore come preghiera e come speranza di intercessione. E' un popolo che grida per paura, per disperazione senza nessun riferimento e attesa. E Dio ascolta questo grido. Il Signore ricorda l'alleanza compiuta con i patriarchi, misura la sofferenza del suo popolo come indegna: "Ho osservato, ho udito, conosco, sono sceso". Il Signore è presente, sente la disperazione e il suo cuore è scosso. Bisogna preparare un futuro, attraverso la liberazione del popolo dalla schiavitù, facendolo salire in un paese totalmente nuovo, ricco e fertile. Nel libro dell'Esodo si utilizza il verbo "uscire" (usato 94 volte) per esprimere il significato di una liberazione-salvezza. Esso fa parte del nucleo fondamentale della fede ebraica: "Il Signore ci ha fatto uscire dall'Egitto". La condizione di speranza non è togliere l'ostacolo o far morire il violento, come noi vorremmo. Ma, come spesse volte verifichiamo nella Bibbia e questo ci lascia sconcertati, bisogna uscire dalla situazione. E questo, gli ebrei lo sperimenteranno. Non sarà una uscita facile ma richiederà fatica, sofferenza, fiducia e coraggio.  Tutto sarà così faticoso e la libertà costerà così tanto che arriveranno a desiderare la schiavitù passata, nel tempo della sottomissione in Egitto (Es 16,3). Il dialogo iniziale con Mosè nasce da una sua istintiva curiosità: il roveto ardente, che non si consuma, svela, da parte di Mosè, un interesse ai significati del mondo, ai perché della realtà in cui viviamo e degli avvenimenti che dobbiamo affrontare. E' così che si inizia a cercare il Signore. E' un suggerimento da offrire agli adulti quando parlano con i giovani. Vanno incoraggiati a cercare il perché dei fatti e a non accontentarsi delle risposte ovvie o più facili.

Rm 8, 14-17
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Romani. 8, 14-17
San Paolo ci allarga gli orizzonti del mondo di Dio poiché ci garantisce di far parte della famiglia di Dio di cui noi tutti, battezzati, facciamo parte. Non esisteva, nel mondo ebraico, l'adozione. Era fondamentalmente un istituto del mondo greco-romano. Questa rilettura dei rapporti familiari che faceva salire il figlio adottivo alla stessa dignità dei figli naturali, con la stessa eredità e con lo stesso rapporto parentale, aiuta molto a intravvedere il significato di ogni cristiano battezzato nei rapporti con Gesù e con il Padre. Gesù è l'Unigenito, nato nella pienezza del Padre il quale ci coinvolge tutti nella stessa fraternità. Gesù ne è consapevole e sa che questo è il progetto di Dio. Ma la trasformazione interiore è sviluppata nello Spirito. Lo stesso Spirito è all'interno della Trinità ed è lo stesso Spirito che anima Gesù nel suo cammino nel mondo. E' lo stesso Spirito che vivifica le nostre scelte e il nostro cammino, è lo Spirito che ci rincuora, è lo Spirito che ci permette, con gioia e in pienezza, di poter chiamare Dio: "nostro Padre, nostro Papà".
Se il primo brano, tratto dall'Esodo, ci parla dell'attenzione di Dio che opera una liberazione per averci scelti, questo testo parla del cammino della nostra vita che si è sviluppata, che deve aver bisogno di una coscienza nuova, a somiglianza di quella di Gesù che lo Spirito ha offerto a lui ed offre a noi. Ma a questo punto, nel dirci "coeredi di Cristo", ci parla anche di prendere parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria". Con questo non siamo invitati a salire sulla croce e a ricevere una flagellazione quali Gesù ha sopportato. Le sofferenze fondamentali di Gesù erano quelle di voler bene, nonostante i rifiuti e le ritrosie che incontrava. Partecipare alle sofferenze di Gesù significa rigenerare in questo mondo la consapevolezza di un amore profondo che va ricercato, vissuto in libertà, proposto come prospettiva di pace. Perciò "figli di Dio e non schiavi". Ed anche gli schiavi hanno la stessa dignità e pienezza dei figli di Dio.


 Gv 16, 12-15
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà»

Giovanni 16, 12-15
Nei "discorsi di addio", raccolti nei capitoli 13-17, Giovanni ci comunica che, nelle promesse e nelle garanzie di Gesù, ha una parte fondamentale il dono dello Spirito. In quell'ultima sera del Giovedì santo, Gesù si preoccupa di approfondire l'offerta che offre ai suoi e ne indica il ruolo, come garante della verità. Ci troviamo di fronte ad un futuro drammatico di cui, probabilmente, gli apostoli non si rendono conto, nonostante le prospettive e i preannunci di Gesù. Ormai si sono abituati alle polemiche con le autorità religiose, davanti alle quali Gesù oppone fermezza e libertà. Pensano, perciò, che il futuro è garantito come una faticosa ma fruttifica raccolta di coinvolgimenti e di successi. Eppure l'ultima cena, raccontata da Giovanni, apre orizzonti nuovi dove addirittura Gesù scompare dietro la presenza dello Spirito. Infatti sarà dato un altro Paràclito (Gv 14,16): "io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre". Eppure subito dopo aleggia una parola impronunciabile: la prospettiva di diventare orfani. "Non vi lascerò orfani. Verrò da voi" (14,18) Siamo al primo dei cinque testi che riguardano lo Spirito (Paràclito, Spirito di verità, Spirito Santo). E la parola è detta. Essere orfani, per il momento, non crea confusione perché non capiscono. Ma poi resterà come un marchio di angoscia. Lo Spirito aiuterà a vivere il cammino con fiducia. Dovranno raggiungere Gesù nella fede, nello Spirito che incoraggia ma non l'avranno più sotto mano. Capiranno via via. Inviato dal Padre (e da Cristo), dopo la partenza di Gesù (16,7;7,39;At 2,33), lo Spirito, mandato dal Padre e da Gesù, dimorerà per sempre presso i discepoli (14,15-17), per ricordare e completare l'insegnamento di Gesù stesso (14,25-26). Condurrà i discepoli in cammini di verità (8,32), e spiegherà loro il senso degli avvenimenti futuri (16,12-15). Glorificherà Cristo (16,14): infatti testimonierà (15,26-27;1Gv 5,6-7) che la sua missione è venuta veramente da Dio e che il mondo, ingannato dal suo principe, il «padre della menzogna» (8,44), ha avuto torto nel non credere in lui (16,7-11). Ce ne sarà bisogno di questa presenza poiché il piano di Dio, svolto da Gesù, risulterà assolutamente inimmaginabile e assurdo. Va contro ogni logica ed ogni attesa umana, proprio perché viene dallo splendore e dalla munificenza di Dio. Il dramma che si scatenerà su Gesù, il giusto, diventerà il vero e solo appello e la vera garanzia di salvezza. Proprio da quel male che ha cancellato Gesù nascerà la pienezza, ma questo può essere colto, ed insegnato e garantito solo dallo Spirito. Non ci sono giustificazioni umane.