VI domenica dopo pentecoste

12 luglio 2010
Luca 6:20-31
Riferiemntti : Esodo 33:18-34:101 _ salmo - Corinzi 3:5-11
 

Esodo 33:18-34:10
Mosè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!» Il SIGNORE gli rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, proclamerò il nome del SIGNORE davanti a te; farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà». Disse ancora: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere». E il SIGNORE disse: «Ecco qui un luogo vicino a me; tu starai su quel masso; mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la mia mano finché io sia passato; poi ritirerò la mano e mi vedrai da dietro; ma il mio volto non si può vedere». Il SIGNORE disse a Mosè: «Taglia due tavole di pietra come le prime; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime due tavole che hai spezzato. Sii pronto domani mattina, e sali, al mattino, sul monte Sinai e presèntati a me sulla vetta del monte. Nessuno salga con te, e non si veda alcuno su tutto il monte; greggi e armenti non pascolino nei pressi di questo monte». Mosè, dunque, tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò la mattina di buon'ora, salì sul monte Sinai come il SIGNORE gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra. Il SIGNORE discese nella nuvola, si fermò con lui e proclamò il nome del SIGNORE. Il SIGNORE passò davanti a lui, e gridò: «Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l'iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l'iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!» Mosè subito s'inchinò fino a terra e adorò. Poi disse: «Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità, il nostro peccato e prendici come tua eredità». Il SIGNORE rispose: «Ecco, io faccio un patto: farò davanti a tutto il tuo popolo meraviglie, quali non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l'opera del SIGNORE, perché tremendo è quello che io sto per fare per mezzo di te.
Es 33, 18 – 34, 10
Quando Mosè sale sul Sinai, per ricevere la legge e sancire l'Alleanza, c'è piena sintonia con la volontà del Signore e grande attesa. I comandamenti erano già stati proclamati (Es 20) e Mosè, per popolo, sul monte, è rimasto un tempo enorme (40 giorni e 40 notti nella turbolenza sulla cima del Sinai e nella tempesta). Il popolo però, vedendo che Mosè tarda a scendere dal monte, prima si preoccupa, poi si spaventa e quindi teme di essere abbandonato. Così fa ressa intorno ad Aronne e gli dice: «Fa per noi un Dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell'uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto»" (Es32,1). Ci vuole un idolo, qualcosa di concreto su cui appoggiare il proprio cammino. La parola di Dio e i fatti di liberazione non sono più sufficienti. Avviene la tragedia della ribellione. Quando Mosè torna, sente l'angoscia del tradimento contro Dio e contro la propria fedeltà, insieme con il rischio del totale ripudio del popolo da parte di Dio. Mosè è rimasto fedele e lotta contro gli idolatri. Ma poi non sa il suo futuro. Il cuore di Mosè è in tumulto, convinto del rifiuto di Dio e della lacerazione di un'alleanza prefigurata. E' convinto di doversi preparare ad un destino di abbandono e di morte nel deserto. Ma il Signore lo chiama una seconda volta sul Sinai (Es. 34,4-10). Mosè, rincuorato, torna fedele mediatore, ponendosi, lui fedele, dalla parte del popolo che vuole salvare ad ogni costo. Anche il Signore vuole salvarlo perché è misericordioso. Ma il Signore ha bisogno proprio di un mediatore misericordioso. Dio vuole rifare una copia della prima legge che è andata distrutta nella disperazione di un tempo senza futuro. E se le prime tavole sono state opera di Dio, scritte da Dio e donate (32,16), anche qui Dio non recede e accetta di scrivere, ancora una seconda volta, la legge. La legge infatti ha una sua santità e un suo altissimo valore. Non può che uscire dalle mani e dal progetto di Dio che ci conosce e sa qual è il nostro bene. Ma questa volta le nuove tavole di pietra debbono essere preparate da Mosè stesso: la legge nasce e si propone in collaborazione.

1Corinzi 3:5-11
Che cos'è dunque Apollo? E che cos'è Paolo? Sono servitori, per mezzo dei quali voi avete creduto; e lo sono nel modo che il Signore ha dato a ciascuno di loro. Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma Dio ha fatto crescere; quindi colui che pianta e colui che annaffia non sono nulla: Dio fa crescere! Ora, colui che pianta e colui che annaffia sono una medesima cosa, ma ciascuno riceverà il proprio premio secondo la propria fatica.Noi siamo infatti collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra; 11 poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù.

1 Corinzi. 3, 5-11
Paolo deve affrontare i problemi di una comunità. Essa, come tutte, tende a fratturarsi in gruppi di appartenenza o simpatia. Si giocano all'interno gusti, interessi, normali simpatie o antipatie, e quindi confronti, valutazioni, partigianerie e disprezzo conseguente. La Comunità di Corinto è vivace e carica di tensioni. Paolo la conosce bene e, quando scrive, lontano da questa comunità, si preoccupa di riprendere la storia della loro maturazione che ha vissuto insieme. Il capitolo precedente di questa lettera si è soffermato sulla sapienza. La sapienza deve applicarsi al lavoro di ogni giorno, e deve farlo fruttificare. Il campo di operosità, aperto a tutti, è costituito dall'agricoltura e dall'edilizia. In questi due orizzonti Paolo ricostruisce esempi di ruoli e di responsabilità. Quello di cui bisogna preoccuparsi è cogliere i frutti che saranno un dono per tutti e costruire la casa che diventa il luogo della intimità in cui il Signore è presente". Coloro che aiutano a maturare, ad operare, a scegliere, coloro che sono identificati come capi e di cui ci si fida, sono "servitori" che hanno aiutato a venire alla fede. "Il progetto in loro e in voi è altro. "Siamo collaboratori di Dio e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio" (3,8). Il Signore fa crescere, utilizzando ovviamente il lavoro di chi pianta e di chi irriga. Ma, nel campo, determinante è Dio che fa crescere ciò che è stato seminato, e non gli annunciatori o i catechisti (Paolo, Apollo, Cefa). Se c'è divisione, la comunità non porta crescita anche se si sviluppano opere e si lavora a gloria di Dio. E' il problema di ogni comunità cristiana che istintivamente si spezzetta in diversi gruppi, chiusi e spesso in competizione. Tutto questo è un grave danno per la Chiesa poiché il campo diventa sterile e si appannano lo splendore di Gesù e il suo valore. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).Perciò una Comunità cristiana ha il compito delicatissimo di sentirsi in comunione, superare gli antagonismi, sapersi accettare con amore. Quando ci si preoccupa di alcune forme di aggregazioni pericolose, bisogna saper analizzare. La gente si sente coinvolta, capita e quindi accolta. Gesù lo sapeva e ci ha suggerito il vero stile di testimonianza. Paolo ricorda che chi fa crescere è Dio e chi fa da fondamento alla Chiesa è Cristo.


Luca 6:20-31
Egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno, e quando vi scacceranno da loro, e vi insulteranno e metteranno al bando il vostro nome come malvagio, a motivo del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno e saltate di gioia, perché, ecco, il vostro premio è grande nei cieli; perché i padri loro facevano lo stesso ai profeti.Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro facevano lo stesso con i falsi profeti.Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; 28 benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano. 29 A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l'altra; e a chi ti toglie il mantello non impedire di prenderti anche la tunica. 30 Da' a chiunque ti chiede; e a chi ti toglie il tuo, non glielo ridomandare. 31 E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro.

lLuca. 6, 20-31
Luca deve aver avuto tra mano una tradizione diversa da quella di Matteo, in questo testo, poiché ambedue scrivono le "Beatitudini", ma con alcune sottolineature diverse. Il richiamo di Luca è il "discorso della. pianura" in parallelo al "discorso della montagna" di Matteo (cc 5-7). Se la collocazione ha, certo, un significato, ma probabilmente molto marginale, tutti e due dicono prospettive e proposte fatte solo ai discepoli, e non alle folle. Di fatto tutto questo, allora come oggi, non può essere capito se non si ha come garanzia Gesù, il rivelatore del pensiero di Dio, e non si crede in Lui. Nel mondo, tuttavia, la sua rivelazione non è stata offerta come pensierini dei baci Perugina, ma come criteri di vita e scelte credenti. Da qui nasce la testimonianza e lo stupore di valori nuovi, depositati nella memoria di noi, suo popolo. La parola "beati" è anche un complimento che Gesù fa ad alcuni: "Mi congratulo con te, sono felice per te, sono sorpreso della tua scelta". I rabbini usano proporre valori positivi con: "Beati" e usano dissuadere da azioni malvagie con "Maledetto" o "Guai a". In questo caso anche Gesù usa spesso questi richiami "Beati i servi che attendono il padrone " (Lc 12,37), "Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno" (Gv 20,29); "beato chi non si scandalizza di me " (Mt11,6) ecc. Matteo ne riporta otto, (Mt5) mentre Luca ne riporta quattro, facendole seguire da quattro maledizioni antitetiche. Il discorso è rivolto direttamente agli uditori, nella seconda persona plurale: "Beati voi", "guai a voi...". Il linguaggio di Luca è immediato ed efficace. mentre Matteo, rivolgendosi in terza persona, dà al testo un sapore più astratto (salvo l'ultima delle 8 beatitudini): "Beati i poveri, beati quelli che piangono, ecc", e aggiunge qualche parola, dando al testo un significato più spirituale: "Beati i poveri in spirito, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia...". Così Matteo, inserendo le beatitudini in una catechesi ecclesiale, ha prospettive morali-esistenziali. Luca, invece, non vuole tanto svelare precetti nuovi, ma proclamare un bene, un nuovo modo di essere, la novità assoluta che piace a Dio e che per noi è inedita.c 6,20-31