
VI Domenica di Pasqua
17 maggio 2020
Gv 14, 25-29
Riferimenti : At 4, 8-14 - Sal 117 - 1Cor 2, 12-16 |
| La pietra scartata dai costruttori ora è pietra
angolare. Il Signore mi ha castigato duramente, ma non mi ha
consegnato alla morte. Apritemi le porte della giustizia: vi
entrerò per ringraziare il Signore. |
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At 4, 8-14 In quei giorni.
Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:
«Capi del popolo e anziani, visto che oggi
veniamo interrogati sul beneficio recato a un
uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia
stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il
popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il
Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha
risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi
risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata
scartata da voi, costruttori, e che è diventata
la pietra d’angolo. In nessun altro c’è
salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo,
altro nome dato agli uomini, nel quale è
stabilito che noi siamo salvati». Vedendo la
franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi
conto che erano persone semplici e senza
istruzione, rimanevano stupiti e li
riconoscevano come quelli che erano stati con
Gesù. Vedendo poi in piedi, vicino a loro,
l’uomo che era stato guarito, non sapevano che
cosa replicare. Atti degli
Apostoli. 4, 8-14 Il testo di oggi, ripreso
molte volte nelle liturgie settimanali del tempo
pasquale, fa riferimento ad un segno particolare
che è avvenuto a Gerusalemme alla porta "bella"
del tempio. Un uomo, zoppo fin dalla nascita,
trasportato ogni giorno presso il tempio per
chiedere l'elemosina, da Pietro che con Giovanni
sale al tempio per pregare, si sente rispondere
quando chiede l'elemosina: "Oro e argento non ho
ma quello che possiedo te lo do: nel nome di
Gesù Cristo il Nazareno, cammina" (At 3,1-6).
Il fatto ha suscitato meraviglia, stupore,
assembramenti di persone, anche perché lo
storpio guarito, da tutti conosciuto, continua a
gridare la sua meraviglia e a ringraziare.
Quando i responsabili del tempio decidono di
intervenire per mettere fine al disordine e far
tacere Pietro che spiega il fatto come un
intervento di Gesù risorto, concludono di
incarcerare gli apostoli. Il giorno dopo si
riuniscono i capi dei Giudei, gli anziani e gli
scribi (4,5-6) e, insieme, Luca fa l'elenco dei
personaggi più importanti del tempio di
Gerusalemme, tutte persone coinvolte nel
processo di Gesù. Viene posta la domanda: "Con
quale potere e in nome di chi avete fatto
questo?" (v 7). Anche a Gesù, dopo la cacciata
dei venditori dal tempio (Luca 20,2. 8), si pone
una domanda simile. A Gesù si chiede con quale
autorità ha operato. Agli apostoli si chiede
invece l'origine di quel potere di guarigione e,
quindi, in nome di chi hanno compiuto tutto
questo. La risposta è data con piena
consapevolezza da Pietro, pieno di Spirito
Santo. Luca ricorda spesso questo rapporto tra
la Parola e lo Spirito: è il dono di Dio
attraverso Gesù. Pietro si sente testimone
davanti ad Israele e davanti al mondo. La
guarigione è avvenuta attraverso Gesù, "che voi
avete ucciso e che Dio ha risuscitato dai
morti". - Pietro si rende conto che sta
manifestando, agli esperti della legge e dei
profeti, il valore della presenza di Gesù: Egli
è venuto a liberare e ad inaugurare i tempi
messianici, annunciati da Isaia (Luca 4,17 ss )
ed ora questi tempi continuano attraverso i
credenti in Gesù, e quindi attraverso la sua
comunità che lo celebra vivo e amato da Dio
pienamente.
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1Cor 2, 12-16 Fratelli, noi non
abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per
conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo,
con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate
dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali.
Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello
Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di
intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello
Spirito. L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa,
senza poter essere giudicato da nessuno. Infatti «chi mai ha
conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo
consigliare?». Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.
1 Corinzi. 2, 12-16 Paolo sente la fatica della
predicazione poiché scopre che nel mondo greco, dove si è
avventurato, la sapienza, nata nella cultura ebraica e maturata
nei fatti e nella parola di Gesù, sapienza di Dio tra noi, è
stata profondamente rifiutata. Infatti, all'inizio di questo
capitolo, Paolo fa riferimento alla delusione sofferta nella sua
prima esperienza di predicazione ad Atene. Il fallimento in
Atene, la città dei filosofi, ha fatto comprendere
l'insignificanza della cultura umana su cui egli aveva puntato
molto per farsi accettare. La delusione è diventata
consapevolezza e così si esprime alla sua comunità di Corinto a
cui scrive dopo essersi fermato molti mesi. "Anch'io,
fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi
il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della
sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi
se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi
nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola
e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di
sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua
potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza
umana, ma sulla potenza di Dio" (1 Cor 2, 1-5). Al principio
egli impiega i suoi giorni feriali nel lavoro manuale,
fabbricando tende nella casa di Aquila e Priscilla, una coppia
di cristiani scacciati dall'imperatore Claudio da Roma per
tensioni e scontri tra ebrei (probabilmente sono tensioni tra
nuclei di cristiani e residenti di cultura ebraica tradizionale)
Questa coppia accoglie in casa l'apostolo, inizialmente come
lavoratore; dopo qualche tempo, Paolo si dedicherà, a tempo
pieno, alla predicazione (At 18,1-11). Paolo ha sempre
apprezzato la cultura ebraica, e pensando al mondo occidentale,
ha apprezzato la cultura greca e la sua filosofia. Ma
l'esperienza gli ha fatto capire che sono due realtà che non
possono mescolarsi. Ciò che egli porta è la sapienza di Dio
attraverso Gesù e questa sapienza non può essere offerta se non
dallo Spirito che è il principio rivelatore. E' lo Spirito di
Dio che ci permette di conoscere i doni che ci sono stati
elargiti. E si chiamano spirituali perché vengono dallo Spirito.

Il cenacolo |
Gv
14, 25-29 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Vi ho detto
queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito
Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi
ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e
non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi
amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande
di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi
crediate». Gv14,25-29 Come sono consolanti le parole di
Gesù: Vi lascio la pace. Vi do la mia pace. Ci sembra quasi, in mezzo ai
tumulti quotidiani, di respirare una tregua, di assaporare qualcosa che
veramente ci aiuterebbe a recuperare la calma del cuore e l'agitarsi dei
turbamenti dell'animo. Eppure, c'è una chiave, una paroletta quasi
insignificante, che definisce e in un certo senso delimita le parole di Gesù:
è quell'aggettivo "mia". Ma come? Ci possono essere modi diversi di
interpretare la pace? Si, è vero, oggi -ma è così da sempre- si è portati ad
usare le parole con disinvoltura, addirittura con significati opposti e
divergenti, quindi anche qui si potrebbe non andare troppo per il sottile.
Infatti, quando si dice ‘pace', si pensa a qualcosa di tranquillo, ad un
rispetto di parole e di gesti, al macero di tutte le armi, ad un afflosciarsi
delle violenze, ad una comprensione e ad una possibilità di soluzione dei
problemi, per gravi che siano. Si pensa e si desidera qualcosa di bello, di
sicuro, di dolce, di contentezza per un desiderio ottenuto, per un progetto
raggiunto, per un piacere di vivere, per un affetto appagante. Ma Gesù sembra
voler scindere: la pace è qualcosa di più delle nostre normali attese. E'la
MIA pace. E la pace di Gesù non è mai un riposo, perché implica il desiderio
di Dio di un'umanità che si vuole bene, che apre le porte, che condivide, che
si china ad accarezzare, a togliere un ostacolo. A me sembra di capire che la
pace di Gesù sia soprattutto il coraggio di vivere secondo un senso, secondo
appunto quel Suo Spirito Vivente che ci ha trasfuso perché possiamo fare
memoria di che cosa sia l'amore vero, la volontà di trasformare ogni affetto
ed ogni rapporto in una relazione vera. E mi sembra allora che possiamo
pregare il Signore di continuare a richiamarci alla Sua pace - e lo si fa
ogni giorno nella Messa- e non limitarci alle nostre piccole egoistiche
‘paci' e tranquillità, bensì alla possibilità, che è poi un suo dono, di
coinvolgerci in questo coraggio incredibile di non lasciare il mondo così
com'è, anche se le nostre forze sono limitate e piccoli sono gli ambiti del
nostro vivere quotidiano. Perché è Lui che respira in noi con la sua forza e
pace viventi. |