
IV Domenica di Pasqua
3 maggio 2020
Gv 10, 11-18
Riferimenti : At 6, 1-7 - Sal 134 - Rm 10, 11-15 |
| Lodate il nome del Signore, lodatelo,
servi del Signore, voi che state nella casa del Signore, negli
atri della casa del nostro Dio. Il Signore si è scelto Giacobbe,
Israele come sua proprietà. |
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At 6, 1-7 In quei giorni,
aumentando il numero dei discepoli, quelli di
lingua greca mormorarono contro quelli di lingua
ebraica perché, nell’assistenza quotidiana,
venivano trascurate le loro vedove. Allora i
Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e
dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte
la parola di Dio per servire alle mense. Dunque,
fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona
reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai
quali affideremo questo incarico. Noi, invece,
ci dedicheremo alla preghiera e al servizio
della Parola». Piacque questa proposta a tutto
il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede
e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore,
Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di
Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo
aver pregato, imposero loro le mani. E la parola
di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a
Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche
una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla
fede.
Atti degli Apostoli.
6, 1-7 Negli Atti degli Apostoli il cap. 6
segna l'inizio della rapida espansione del
Vangelo in Israele fino ad Antiochia, mentre nei
primi 5 capitoli sono state descritte la
formazione e l'attività della Comunità cristiana
a Gerusalemme. L'istituzione dei "sette"
rappresenta un punto fondamentale che favorirà
l'iniziò della missione della Chiesa. C'è un
conflitto tra gli "ellenisti" (giudeo-cristiani
provenienti dall'impero e dimoranti a
Gerusalemme: parlano greco e leggono la bibbia
in greco) e gli "ebrei"(giudeo-cristiani,
originari della Palestina, che leggono la bibbia
in ebraico). Gli Apostoli, infatti, sono
chiamati ad una verifica per la denuncia di
alcuni disagi, causati da disattenzione verso i
bisogni delle minoranze, costituite, in
prevalenza, da giudeo-cristiani ellenisti. Così
gli Apostoli riconoscono la situazione di
difficoltà e decidono di sviluppare,
diversificando, ruoli e compiti. L'elezione dei
"sette", tutti di origine greca (lo si vede dal
nome), identifica la scelta coraggiosa di
riconoscere alla minoranza dei cristiani
ellenisti la responsabilizzare della gestione
delle mense, oltre al lavoro pastorale nella
comunità degli ellenisti stessi. In altri
termini chi si lamenta diventa il responsabile
nuovo della gestione. Tra i "sette" almeno
due, Stefano e Filippo, svolgono anche un
prezioso lavoro di predicazione aperto ai pagani
e una riflessione biblica nuova: interpretare il
Vecchio Testamento alla luce dei fatti e delle
parole di Gesù. Il numero 7 può derivare dai
sette popoli pagani abitanti in Canaan (Atti
13,12), oppure dai consigli e gruppi
amministrativi greci e romani, oppure ancora,
più semplicemente, può derivare dall'azione di
coordinamento che viene fatto in sette giorni,
ciascuno in un giorno, poiché sono tutte persone
volontarie e quindi debbono provvedere anche al
proprio lavoro nel resto della settimana.
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Rm 10, 11-15
Fratelli, dice la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà
deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che
lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che
lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore
sarà salvato». Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno
creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito
parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo
annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come
sta scritto: «Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un
lieto annuncio di bene!». Romani. 10, 11-15
In questo capitolo (10,1-21) Paolo parla del fallimento di
Israele che non ha saputo accogliere la presenza di Gesù: vv
1-3: Israele ha ignorato la giustizia di Dio ed ha preteso di
salvarsi secondo le proprie forze; vv 4-13: Gesù è la via
nuova che porta la giustizia e dona la salvezza a coloro che gli
credono; vv 14 21: Israele è disobbediente, incredulo e
responsabile del rifiuto della giustizia di Dio. E' pur vero,
dice Paolo, che Mosé aveva dato alcuni suggerimenti per
individuare la presenza di Gesù e la sua Parola. Ma Gesù non è
stato accolto. Accogliere Gesù non è facile anzi, non è
possibile ad una persona se non è aiutato dallo Spirito:
"Nessuno può dire Gesù è il Signore se non nello Spirito Santo"
(1Cor 12,3). Accogliere Gesù richiede un profondo e
coraggioso atto di fede per cui con la bocca e con il cuore
crediamo e accettiamo che Gesù è il Signore, vissuto tra noi,
crocifisso e risorto. La bocca e il cuore sono due vie
importanti per esprimere la fede (10,8). Il cuore è il luogo
delle scelte, delle decisioni, delle appartenenze. In questo
caso il cuore proclama la signoria di Gesù sulla nostra vita e
quindi la sua unicità e il suo valore per poterci unire in
pienezza. La bocca esprime ciò che il cuore accoglie. "Con la
bocca si esprime ciò che si ha nel cuore", dice Gesù (Luca
6,45). Dire: "Gesù è il Signore" significa manifestare con
consapevolezza, all'interno di una comunità dove si vive e ci si
confronta, la scelta fondamentale di Gesù. Con questa scelta,
comunque, compiamo una professione di fede che porta il dono di
Dio. È questo l'elemento che unifica, al di là delle
differenze somatiche o culturali: "Non c'è distinzione fra
giudeo e greco" (v 12). Il mondo della fede abbatte le barriere
di differenze razziali, di culture diverse, di condizioni
sociali ed economiche, di temperamenti, di caratteri. Gli
ultimi due versetti percorrono l'itinerario per giungere alla
fede piena.
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Gv
10, 11-18 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il
buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario
– che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il
lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché
è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre
conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre
pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare.
Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per
questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di
nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e
il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal
Padre mio». Gv 10,11-18 Io sono il Pastore buono è il
titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure
questa immagine, così amata e rassicurante, non è solo consolatoria, non ha
nulla di romantico: Gesù è il pastore autentico, il vero, forte e combattivo,
che non fugge a differenza dei mercenari, che ha il coraggio per lottare e
difendere dai lupi il suo gregge. Io sono il Pastore bello dice
letteralmente il testo evangelico, e noi capiamo che la bellezza del pastore
non sta nel suo aspetto esteriore, ma che il suo fascino e la sua forza di
attrazione vengono dal suo coraggio e dalla sua generosità. La
bellezza sta in un gesto ribadito cinque volte oggi nel Vangelo: io offro! Io
non domando, io dono. Io non pretendo, io regalo. Ma non per avere in cambio
qualcosa, non per un mio vantaggio. Bello è ogni atto d'amore. Io
offro la vita è molto di più che il semplice prendersi cura del gregge. Siamo
davanti al filo d'oro che lega insieme tutta intera l'opera di Dio, il lavoro
di Dio è da sempre e per sempre offrire vita. E non so immaginare per noi
avventura migliore: Gesù non è venuto a portare un sistema di pensiero o di
regole, ma a portare più vita (Gv 10,10); a offrire incremento,
accrescimento, fioritura della vita in tutte le sue forme. Cerchiamo
di capire di più. Con le parole Io offro la vita Gesù non intende il suo
morire, quel venerdì, per tutti. Lui continuamente, incessantemente dona
vita; è l'attività propria e perenne di un Dio inteso al modo delle madri,
inteso al modo della vite che dà linfa al tralci, della sorgente che dà acqua
viva. Pietro definiva Gesù «l'autore della vita» (At 3,15):
inventore, artigiano, costruttore, datore di vita. Lo ripete la Chiesa, nella
terza preghiera eucaristica: tu che fai vivere e santifichi l'universo. |