
III Domenica di quaresima
Domenica di Abramo
15 marzo 2020
Gv 8, 31-59
Riferimenti : Es 34, 1-10 - Salmo 105 - Gal 3, 6-14 |
| Salvaci, Signore, nostro Dio. Abbiamo peccato
con i nostri padri, delitti e malvagità abbiamo commesso. I
nostri padri, in Egitto, non compresero le tue meraviglie, non
si ricordarono della grandezza del tuo amore |
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Es 34, 1-10 In quei giorni. Il
Signore disse a Mosè: «Taglia due tavole di
pietra come le prime. Io scriverò su queste
tavole le parole che erano sulle tavole di
prima, che hai spezzato. Tieniti pronto per
domani mattina: domani mattina salirai sul monte
Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte.
Nessuno salga con te e non si veda nessuno su
tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano
a pascolare davanti a questo monte». Mosè tagliò
due tavole di pietra come le prime; si alzò di
buon mattino e salì sul monte Sinai, come il
Signore gli aveva comandato, con le due tavole
di pietra in mano. Allora il Signore scese nella
nube, si fermò là presso di lui e proclamò il
nome del Signore. Il Signore passò davanti a
lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio
misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco
di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore
per mille generazioni, che perdona la colpa, la
trasgressione e il peccato, ma non lascia senza
punizione, che castiga la colpa dei padri nei
figli e nei figli dei figli fino alla terza e
alla quarta generazione». Mosè si curvò in
fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho
trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il
Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo
di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e
il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».
Il Signore disse: «Ecco, io stabilisco
un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo
io farò meraviglie, quali non furono mai
compiute in nessuna terra e in nessuna nazione:
tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà
l’opera del Signore, perché terribile è quanto
io sto per fare con te». Esodo
34, 1-10 Mosè sale sul Sinai una seconda
volta. La prima volta ha ricevuto da Dio le
tavole dell'alleanza, le "dieci parole" che
debbono definire completamente l'adesione, la
fedeltà e la conferma della preferenza di Dio
per questo popolo. Ma il ritorno è stato
disastroso. Mosè ha scoperto il tradimento del
suo popolo, l'idolo: il vitello d'oro,
fabbricato con l'oro di famiglia portato
dall'Egitto, il totale abbandono del Dio del
Sinai e della liberazione. E' vero che il
Signore stesso dice a Mosè mentre è sul monte:
«Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo
dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si
accenda contro di loro e li divori. Di te invece
farò una grande nazione». Mosè allora supplicò
il Signore, suo Dio, rifiutando di tradire il
suo popolo. E il Signore ha desistito. Così Mosè
è ancora invitato da Dio (Es. 34,4-10) a
ritornare sul monte. Dio ancora accetta di
scrivere una seconda volta la legge, ma le nuove
tavole di pietra debbono essere preparate da
Mosè stesso: la legge nasce e si propone in
collaborazione. Qui avviene la rivelazione
sorprendente di Dio. Dio non è astratto, non è
un oggetto ma è una persona in relazione con
Mosé e quindi con il popolo. Qui Dio si esprime
con cinque aggettivi, cinque nomi che si possono
sintetizzare così: "Compassionevole, clemente,
paziente, misericordioso e fedele". Dio esprime
la sua bontà e la sua tenerezza verso coloro che
chiama. È un Dio che si svela come accogliente e
misericordioso e desidera essere conosciuto,
capito, accolto così, con fiducia, nella propria
vita. Poiché è Compassionevole, si lascia
coinvolgere nell'intimo dalla vicenda umana,
poiché Clemente è disposto a chinarsi sull'uomo,
poiché è Paziente sa attendere e non è facile
all'ira, ama ogni persona in modo sovrabbondante
e non viene mai meno. L'ebreo osservante
recita ogni giorno i versetti 6-7, definiti "i
13 attributi di misericordia". I rabbini
garantiscono che questa preghiera avrebbe
portato nel cuore dei fedeli il perdono per i
peccati da parte di Dio. E se pur ci deve essere
un rapporto tra misericordia e giustizia, il
perdono sta come 1000 a 4. Rincuorato, Mosè
riprende la sua preghiera di intercessione: "Il
Signore cammini in mezzo a noi, che perdoni la
nostra colpa e ci faccia sua eredità ". Mosè
si sente mediatore fino in fondo e sceglie la
solidarietà del suo popolo, a somiglianza di
Gesù che ha preso sulle sue spalle il peccato
del mondo. |
Gal 3, 6-14
Fratelli, come Abramo «ebbe fede in Dio e gli fu accreditato
come giustizia», riconoscete dunque che figli di Abramo sono
quelli che vengono dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che
Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunciò ad
Abramo: «In te saranno benedette tutte le nazioni». Di
conseguenza, quelli che vengono dalla fede sono benedetti
insieme ad Abramo, che credette. Quelli invece che si richiamano
alle opere della Legge stanno sotto la maledizione, poiché sta
scritto: «Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose
scritte nel libro della Legge per metterle in pratica». E che
nessuno sia giustificato davanti a Dio per la Legge risulta dal
fatto che «il giusto per fede vivrà». Ma la Legge non si basa
sulla fede; al contrario dice: «Chi metterà in pratica queste
cose, vivrà grazie ad esse». Cristo ci ha riscattati dalla
maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per
noi, poiché sta scritto: «Maledetto chi è appeso al legno»,
perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai
pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello
Spirito. Galati. 3, 6-14 Paolo rivendica la
sua qualità di evangelizzatore perché, al pari degli apostoli, è
stato lui stesso chiamato dal risorto ad annunciare il Vangelo.
Purtroppo, dice Paolo, da parte di battezzati provenienti dal
giudaismo e quindi molto legati alla fede mosaica, si insiste
che un vero cristiano, per ottenere la salvezza, deve osservare
ancora la legge mosaica. Paolo si preoccupa, invece, e deve
sforzarsi molto per convincere i cristiani che sono sufficienti
la grazia e la legge che vengono da Gesù: questa è la sua fede.
Paolo predica il Vangelo di Gesù il quale solo può dare garanzia
di salvezza perché si appoggia alla fede nel Figlio di Dio.
Ci si salva mediante la fede e non attraverso le opere.
Abramo ebbe fede e gli fu accreditato come giustizia (Gen 15,6).
Perciò tutti i credenti, i pagani compresi, che abbiano
accettato Gesù sono liberi dalla legge e accolgono nella fede la
liberazione. Il linguaggio di Paolo è particolarmente ricco di
citazioni e, come ogni buon rabbino, utilizza la Scrittura per
dimostrare ciò che sta affermando. Infatti da una parte si rende
conto dell'impossibilità di obbedire strettamente alla legge e
dall'altra parte si ritrova come una condanna: "Chi non fa tutto
quello che è prescritto nel libro della legge incorre nella
maledizione" (Deut. 27,26). Chi ci salva è Gesù, mandato del
Padre per strapparci dalla maledizione della morte. Solo Gesù,
inviato dal Padre, può salvare e solo Gesù, il redentore dei
maledetti. Si è fatto egli stesso maledetto poiché è stato
confitto in croce (nella sensibilità ebraica i crocifissi sono
maledetti). "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della
Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta
scritto: Maledetto chi è appeso al legno (Deut. 21,23)".
Gesù, morto e risorto, recupera ogni benedizione per tutti
poiché in lui, maledetto, si è consumata la morte. La
risurrezione è il nuovo mondo in cui Dio esprime le promesse, lo
Spirito, la fede.
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Gv
8, 31-59 In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli
avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli;
conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo
discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi
dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi
dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non
resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il
Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di
Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova
accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi
dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il
padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste
le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha
detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le
opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da
prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse
vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto
da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio
linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per
padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era
omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non
c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e
padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.
Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi
credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate:
perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione
di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non
sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco
la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico:
se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero
allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come
anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà
la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto?
Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io
glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il
Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece
lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma
io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella
speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i
Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo? ».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse,
Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù
si nascose e uscì dal tempio. Gv 08,31-59 "Se rimanete
nella mia parola siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi" Queste parole di Gesù scandalizzano i Giudei che gli
avevano creduto: non sono mai stati schiavi di nessuno. Come Gesù può dire
che diventeranno liberi se rimarranno nella sua parola? Loro, che sono
figli di Abramo? E poi di quale parola si tratta? Noi, tra l'altro, siamo
abituati ad intendere la parola "verità" come un concetto astratto o come
sinonimo di 'sincerità', mentre per gli ebrei la 'verità' è una persona, cioè
Dio. Anche Gesù dirà (Gv.14,6): 'lo sono la via, la verità, la vità. Il
termine "emet" in ebraico che ha la stessa radice di "amen", indica qualcosa
di stabile come una roccia, un riferimento sicuro, indefettibile, che non
viene meno. Dire che la verità è una persona implica non tanto un
ragionamento filosofico e razionale o un comportamento morale, ma prima di
tutto un incontro, una conoscenza, un rapporto. E, come sempre, quando si
tratta di entrare in una relazione vera con una persona, dobbiamo
coinvolgerci totalmente in un cammino: non è questione di un momento di
Illuminazione, ma di un tragitto da compiere per una conoscenza più profonda,
per una comprensione più precisa delle sue parole, per imparare a calibrare i
propri passi. E' questa conoscenza che libera, prima di tutto, dalla
schiavitù di noi stessi, dall'involucro egoistico in cui ci immergiamo e con
cui ci cauteliamo, per non esporci troppo, per non ritrovarci in situazioni
di non ritorno e di eccessivo slancio. E poi ci libera dall'insidia di parole
che vorrebbero raggirarci, insinuare dubbi ambigui e pericolosi, rarefare il
contenuto pregnante, se pure conciso, delle parole di Gesù. E' come se Gesù
volesse chiamarci direttamente in causa sul tipo di rapporto che abbiamo con
Lui, insistendo sul 'rimanere nella sua parola' e sul chiamarci a chiarire
questa 'parola', a ricordarla, ad approfondirla. Rimanere nella parola di
Gesù significa restare nell'orizzonte dell'annuncio trasparente della
misericordia del Padre: di un Dio che, nonostante tutte le smentite
provenienti dalle malvagità e contorsioni di un mondo così piagato e dalle
contraddizioni violente della storia, vuole che possiamo vivere nella
felicità e nell'amore, nella gratuità di un volersi bene illimitato.
Rimanere nella parola di Gesù ogni giorno significa perdono, non venire meno
alla voglia di vivere, di interessarci degli altri senza doppi fini, di
aprirci ad ogni possibilità e responsabilità di bene e di compassione, di
riscoprire e manifestare sentimenti e gesti di tenerezza. Di saper
cogliere i segni di bellezza e di bontà che, nonostante tutte le paure e ì
terrori, ci sono e ci accendono di desiderio d'infinito. |