
IV Domenica di quaresima
Domenica del cieco 22 marzo 2010
Gv 9, 1-38b
Riferimenti : Es 34, 27 – 35, 1 - Sal 352 - Cor 3, 7-18 |
| Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua
fedeltà fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte
montagne, il tuo giudizio come l’abisso profondo: uomini e
bestie tu salvi, Signore. |
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Es 34, 27 – 35, 1 In quei giorni.
Il Signore disse a Mosè: «Scrivi queste parole,
perché sulla base di queste parole io ho
stabilito un’alleanza con te e con Israele».
Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e
quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere
acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole
dell’alleanza, le dieci parole. Quando Mosè
scese dal monte Sinai – le due tavole della
Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè
mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che
la pelle del suo viso era diventata raggiante,
poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e
tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del
suo viso era raggiante, ebbero timore di
avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e
Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò
da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo
di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse
loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul
monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare
a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava
davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si
toglieva il velo, fin quando non fosse uscito.
Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò
che gli era stato ordinato. Gli Israeliti,
guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle
del suo viso era raggiante. Poi egli si
rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse
di nuovo entrato a parlare con il Signore. Mosè
radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse
loro: «Queste sono le cose che il Signore ha
comandato di fare». Esodo 34,
27-35 Il Signore ha richiamato Mose sul monte
dopo la sconfitta dell'idolatria nel suo popolo
alle falde del monte e la distruzione del
vitello d'oro. E il Signore lo ha rincuorato.
Così la scoperta e la verifica dell'amicizia di
Dio ha suscitato in Mosè, ancora una volta, il
coraggio della mediazione ed è tornato il
dialogo per il popolo che avrebbe ricevuto la
legge.Con Dio Mosè si ferma per 40 giorni senza
mangiare e bere: è Dio la forza, il cibo, il
sostegno che converte il cuore e fa scoprire
essenziali solo poche cose (come Gesù, il nuovo
Mosè, digiuna 40 giorni: Mt 4,2). Con Dio viene
maturata la parola nuova: "le parole
dell'Alleanza, le dieci parole" (v 28) e quindi
ci si arricchisce di sapienza, di gioia e di
novità; lo splendore interiore dell'animo
traspare all'esterno sul volto. Mosè non se ne
accorge, ma la gente resta turbata nel vederlo.
Inizia così quel distacco sacro che emargina
questo loro fratello e mediatore, ponendolo
lontano dalla loro vita. Mosè, tuttavia, ritiene
che il suo compito non è concluso senza una
relazione dettagliata della legge che il Signore
gli ha consegnato; perciò spiega ad Aronne e ai
capi e a tutto il popolo quello che l'alleanza
esige e quindi si assoggetta volontariamente
alla emarginazione che gli fa portare il velo.
Il velo copre la presenza di Dio che splende sul
volto di Mosè come il velo del tempio ( ra le
due zone dette del Santo e del Santo dei Santi)
che coprono e nascondono la presenza del
Signore. Il velo tende così a separare dagli
altri l'uomo che parla con Dio. Mosè entra ed
esce dalla tenda del convegno per parlare con
Dio (vv 34-35). E tale tenda si trova fuori del
campo, secondo la fonte Eloista (per ricordare
che Dio è santo, separato dagli uomini: Es
33,7-11; Num. 11,24-30) ed è in mezzo al popolo
secondo la fonte P (sacerdotale) per ricordare
la grandezza del popolo stesso e l'amore di Dio
(Num 2,17; Es 25,8).
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Cor
3, 7-18 Fratelli, se il
ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto
di gloria al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il
volto di Mosè a causa dello splendore effimero del suo volto,
quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il
ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto di più
abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia. Anzi,
ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a causa
di questa gloria incomparabile. Se dunque ciò che era effimero
fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo. Forti di tale
speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo
come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli
d’Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma
le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel
medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico
Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad
oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; «ma
quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto».
Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è
libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno
specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella
medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello
Spirito del Signore. Seconda lettera di san
Paolo apostolo ai Corinzi 3,7-18 Nella seconda lettera ai
Corinzi, S. Paolo sviluppa alcune riflessioni su Mosè in
rapporto ai cristiani. Il legislatore riceve la legge (Es
34,29-35), ministero della morte inciso, lettera per lettera, su
tavole di pietra (Es 32,16; 34,1-4). Lo splendore passeggero del
volto di Mosè è il risultato del suo incontro con Dio (Es 34),
privilegio personale che Paolo contrappone alla grazia
universale dei cristiani (2 Cor 3,18). Si parla di "ministero
della condanna" poiché Paolo insiste sul significato della legge
ebraica che impone sacrifici, obblighi e costrizioni, ma non dà
né forza né chiarezza sufficiente (è luce effimera). Alla fine,
ci si ritrova travolti da una imposizione che procura condanna e
morte. Mosè è legislatore e il suo valore sorpassa quello di
tutti gli altri. Eppure il velo, secondo una interpretazione
rabbinica che San Paolo segue, serve per mascherare il carattere
effimero dello splendore della gloria divina. Ma per l'ebreo il
velo richiama anche quello della preghiera che il lettore del
secolo I dopo Cristo usa. Il Signore Gesù è Spirito. Cristo
esprime il senso spirituale e non materiale delle Scritture
mentre Mosè resta legato alla lettera, alla pietra. Noi abbiamo
ricevuto la libertà, la liberazione dalla lettera (Rom 8,2).
Quindi contempliamo e riflettiamo la gloria luminosa del Signore
in forma stabile, trasformandoci nella pienezza di Dio. Perciò,
"forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza", a
viso aperto, consapevoli della potenza e della forza di Gesù che
cambia il mondo e sostiene la nostra opera, ogni giorno. Si ha
un gran bisogno di persone che affrontano "a viso aperto" le
difficoltà e le ambiguità della vita e soprattutto le relazioni
nel lavoro, nel sociale e nel politico: sentiamo di aver bisogno
di chiarezza e di confronto, sentiamo le difficoltà di realtà
ambigue, di sotterfugi e di astuzie, legate ad interessi e a
prevaricazioni. La posizione del credente è quella di
contemplare e di riflettere la gloria di Dio nel mondo,
piuttosto che lamentarci delle ambiguità presenti, accettando di
essere trasformati nella medesima immagine di Cristo per la
forza dello Spirito.
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Ingresso
alla fonte di Gihon che attraversa un canale sotterraneo scavato nella roccia
da Ezechia, dà l'acqua alla piscina di Siloe.
E' presso questa fonte che fu
consacrato Re il figlio di Davide. Salomone costruttore del primo Tempio di
Gerusalemme.
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Gv
9, 1-38b In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla
nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i
suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i
suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna
che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi
viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la
luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva,
spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella
piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che
ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un
mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere
l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che
gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che
modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama
Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe
e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli
dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello
che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del
fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di
nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del
fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei
dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri
invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E
c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici
di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che
avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che
aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio,
che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui
risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come
ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo
sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i
suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a
lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero:
«Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello
rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché
volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo
insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove
sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori,
ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è
mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco
nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli
replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono
fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed
egli disse: «Credo, Signore!». Giovanni 9,1-38b San
Giovanni presenta, qui, uno dei sette "segni" della potenza di Gesù che
illustra e sviluppa nel suo Vangelo. Il testo è un fine racconto, elaborato e
carico di messaggi, che aiuta coloro che si preparano al Battesimo ad
incontrare Gesù Signore. Ha come tema centrale il peccato. E se l'episodio
inizia con una domanda dei discepoli che svelano un interrogativo, sempre
presente, nella sensibilità degli esseri umani quando si interrogano sul male
o sulla malattia: "Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato
cieco?", lo stesso episodio conclude con chi, nella presunzione di vedere,
cade nel peccato e deve scoprire di essere cieco (questi ultimi versetti, non
riportati oggi, sono però preziosi). Infatti Gesù rimette in discussione la
verità di chi davvero vede, e chi no, davanti a Dio:"Gesù allora disse: «È
per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non
vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che
erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?».
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome
dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane» (Gv9,39-41). In mezzo c'è la
domanda su Gesù: "E' un peccatore?" Si finisce col dire che ha peccato contro
la legge, poiché ha impastato un po' di fango con terra e saliva e lo ha
messo sugli occhi del cieco: "Impastare è una delle 39 azioni escluse dal
sabato perché considerate gesti di lavoro". Il cieco non chiede nulla, ma
Gesù interviene perché vuole togliere le conseguenze della condizione di
sofferenza. Gesù desidera restituire al mondo la gloria di Dio e sarà
possibile se i sofferenti possono liberarsi dal loro male. La gloria di Dio
si manifesta fondamentalmente nell'uomo sano e libero. E ci si può liberare
se si va a lavarsi alla piscina "dell'Inviato". Si incontrerà il Messia che
viene, se si avrà il coraggio di voler essere interiormente liberi e volerlo
riconoscere. |