 VII Domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore
11 ottobre 2020
Mt 13,3b-23
Riferimenti : Is 65,8-12 - Sal 80 - 1Cor 9,7-12 |
| Il popolo di Dio ascolta la sua voce. «Ascolta,
popolo mio: “Non ci sia in mezzo a te un dio estraneo e non
prostrarti a un dio straniero. Sono io il Signore, tuo Dio, che
ti ha fatto salire dal paese d’Egitto”. |
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Is 65,8-12 Dice il Signore:
«Come quando si trova succo in un grappolo, si
dice: “Non distruggetelo, perché qui c’è una
benedizione”, così io farò per amore dei miei
servi, per non distruggere ogni cosa. Io farò
uscire una discendenza da Giacobbe, da Giuda un
erede dei miei monti. I miei eletti ne saranno i
padroni e i miei servi vi abiteranno. Saron
diventerà un pascolo di greggi, la valle di Acor
un recinto per armenti, per il mio popolo che mi
ricercherà. Ma voi, che avete abbandonato il
Signore, dimentichi del mio santo monte, che
preparate una tavola per Gad e riempite per Meni
la coppa di vino, io vi destino alla spada;
tutti vi curverete alla strage, perché ho
chiamato e non avete risposto, ho parlato e non
avete udito. Avete fatto ciò che è male ai miei
occhi, ciò che non gradisco, l’avete scelto».
Isaia 65, 8-12 Tutto il capitolo 65 sviluppa
il contrasto religioso esistente sul territorio
della Palestina dopo il ritorno da Babilonia
(siamo dopo il 539 a.C.). I nuovi venuti
dall'esilio portano il loro bagaglio di
sofferenza, ma insieme riscoprono il proprio
entusiasmo e la propria fiducia nel Signore.
Perciò la popolazione ora è composta da un
popolo residente, rimasta sul territorio durante
i 70 anni di deportazione e dell'altra parte di
una popolazione più significativa:
culturalmente, religiosamente ed economicamente,
deportato eppure sempre vivo, mantenendo e
alimentando la propria lontananza da Gerusalemme
nei ricordi e in un notevole impegno religioso.
Questa parte si distingue dai primi che si sono
trovati disorientati, senza strutture, senza
sacerdoti e senza tempio e quindi hanno
accettato l'idolatria. I nuovi venuti
rappresentano una speranza forte e coraggiosa
che non li ha fatti confondere con i vincitori.
E con la speranza, hanno mantenuto la loro
fedeltà alla Parola di Dio, ai riti e alle
morale mosaica. Tornando vogliono restaurare una
nazione santa, responsabile e fedele. Il
profeta sa di dover trasmettere due messaggi
diversi, eppure ambedue di grande novità per
ricostituire un futuro per tutti. Il Signore
garantisce: "Se in un grappolo di uva ormai
seccata, c'è ancora qualche acino col succo, il
Signore non dice: "Distruggetelo". Egli benedice
e continuerà la fertilità e l'abbondanza,
nasceranno da Giacobbe la discendenza delle 12
tribù; non ci sarà sterilità ma spazi e pascoli
sui terreni che diventeranno sempre più
produttivi. Il terreno coltivabile andrà da
Saron, l'occidente e il nord della Palestina con
i grandi pascoli, alla valle di Acor, l'oriente
e il sud della terra d'Israele che è deserto
improduttivo. Il segno di Dio, per il mondo
ebraico, è la produttività, il lavoro per tutti
e il lavoro che rende. Non bisogna mai
dimenticare che uno dei drammi di questo popolo,
e spesso sperimentato, è il piantare la vigna e
il seminare senza avere possibilità di raccolto
perché, nel frattempo, gli eserciti sono passati
ed hanno depredato e distrutto. Seminare e
raccogliere è il concreto segno della pace e
della fraternità che Dio benedice. Gad e Meni
sono divinità che molta parte del popolo
idolatra venera: Gad è la dea della Fortuna
(conosciuta anche da noi) e Meni (sconosciuto ma
etimologicamente significa "destino"),
probabilmente, è una divinità per propiziare il
futuro. Non a caso il versetto 12 comincia
proprio con "Io destino".
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1Cor 9,7-12 Fratelli, chi mai
presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna
senza mangiarne il frutto? Chi fa pascolare un gregge senza
cibarsi del latte del gregge? Io non dico questo da un punto di
vista umano; è la Legge che dice così. Nella legge di Mosè
infatti sta scritto: «Non metterai la museruola al bue che
trebbia». Forse Dio si prende cura dei buoi? Oppure lo dice
proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché «colui
che ara, deve arare sperando, e colui che trebbia, trebbiare
nella speranza di avere la sua parte». Se noi abbiamo seminato
in voi beni spirituali, e forse gran cosa se raccoglieremo beni
materiali? Se altri hanno tale diritto su di voi, noi non
l’abbiamo di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo
diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al
Vangelo di Cristo. 1 Corinzi 9, 7-12 Il
capitolo 9, da cui sono tratti i versetti di questa liturgia,
svolge una pesante polemica con molti cristiani che non vogliono
riconoscere Paolo come apostolo e quindi non lo ritengono in
diritto di alcune attenzioni e offerte per la vita propria e del
proprio seguito, compreso la moglie o una collaboratrice, se non
c'è una moglie, come per Paolo (9,5). Paolo sa di potersi
fidare della Comunità che lo ha accolto e quindi per loro
sviluppa la sua riflessione sui diritti e i doveri di un buon
apostolo. Prende esempio "dal soldato, dal contadino e dal
pastore" ai quali si riconoscono una paga per il compito che
svolgono. Essi si nutrono dei frutti del proprio lavoro. E Paolo
lo dice per una normale ragione umana e però sente di essere
sostenuto anche dalla Legge del Signore che "vieta di mettere la
museruola al bue che trebbia". Da buon rabbino, ricorda che
tutta la legge è un richiamo, diretto o indiretto, al
comportamento del popolo d'Israele. Nel nostro tempo,
tuttavia, tale comando si può leggere anche come attenzione al
bisogno di un animale: è un richiamo ad una corretta
responsabilità su tutto il creato vivente. Paolo è
consapevole che con la conoscenza e il dono dei beni spirituali
si offrono beni incommensurabili, con un valore molto più alto
dei beni materiali. Ma questo può essere valutato solo da chi ne
apprezza il significato (e il confronto si ritrova anche nella
lettera ai Romani.15,27). Comunque beni materiali sono solo
quei beni necessari alla vita: con la missione non ci si può
arricchire. Chiarito questo diritto, ed è una riflessione
educativa che andrebbe sempre fatta nella nostra società
rispetto ai molti che ci creano benefici: dagli insegnanti ai
magistrati, dai meccanici ai debbono pure lavorare insieme a
tutti gli altri senza pretendere un salario. Lc,10,7-8:"Restate
in quella casa mangiando e bevendo di quello che hanno, perché
chi lavora ha diritto alla sua lavoratori pubblici, siano essi
impiegati, postini o operatori ecologici (spazzini) e i tanti
altri che lavorano per noi. Tutti contribuiscono a rendere il
nostro mondo più umano e più vivibile. Nella Scrittura più
volte vengono ricordati l'impegno della povertà e il diritto
all'essenziale per vivere: Mt 10,10: "né sacca da viaggio, né
due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha
diritto al suo nutrimento". Precisi suggerimenti incoraggiano i
missionari ad inserirsi nella famiglia che li ospita,
comportandosi come persone della famiglia stessa: e se
insegnano, ricompensa. Non passate da una casa all'altra.
8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate
quello che vi sarà offerto".
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Mt 13,3b-23 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Ecco, il
seminatore usci a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada;
vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno
sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non
era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici,
seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono.
Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta,
il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i
discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose
loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro
non e dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a
colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con
parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non
comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: “Udrete,
si, ma non comprenderete, guarderete, si, ma non vedrete. Perché il cuore di
questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno
chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli
orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li
guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi
perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno
desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che
voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del
seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la
comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore:
questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul
terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia,
ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una
tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno.
Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la
preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola
ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta
la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta,
il trenta per uno». Matteo 13,3b-23 Parabola notissima,
seguita da spiegazione. Tanto nota che non ci fa più problema. Caso mai ci
soffermiamo ad analizzare i terreni e a cercare di collocarci (in quale?).
Mi fanno pensare le prime parole: "Ecco, il seminatore uscì a seminare"-
Il seminatore, come tutti sappiamo, è Dio e l'immagine è presa dal mondo
contadino: è un seminatore un po' strano perché sembra che non si preoccupi
dove cada la semente. Difatti per Dio l'importante è seminare ovunque,
senza linee di demarcazione e senza limiti. Il suo gesto è ampio,
sovrabbondante, generoso. Ma per ‘seminare' esce: sembrerebbe ovvio, ma,
se andiamo al di là del significato letterale e ne cerchiamo uno più profondo
viene da pensare a questa ‘uscità di Dio, che è poi una sua prerogativa di
sempre: Dio si dona e dona sempre. E dona qualcosa che fa crescere, che non
lascia come prima. E' appunto ‘semente'. Gesù ci viene ad insegnare ad uscire
per seminare l'amore di Dio nel mondo; uscire da noi stessi, dalle nostre
idee, dai nostri rifugi e dalle nostre cautele, senza aspettare le stagioni
opportune o rispettare le regole o metterci in un cantuccio (tanto c'è sempre
qualcun altro, non tocca a me). Occorre che il cuore diventi sensibile,
capace di ascoltare, al di là delle ristrette ed egoistiche vedute che ci
caratterizzano, anche se pensiamo che non ci riguardino |