 VI Domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore
4 ottobre 2020
Lc 17,7-10
Riferimenti :
Gb 1,13-21 - SALMO 16 - 2Tm 2,6-15 |
Volgiti a me, Signore: ascolta la mia preghiera.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa, sii attento al mio
grido. Porgi l’orecchio alla mia preghiera: sulle mie
labbra non c’è inganno. |
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Gb 1,13-21 Un giorno accadde che, mentre i
suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e
bevendo vino in casa del fratello maggiore, un
messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi
stavano arando e le asine pascolando vicino ad
essi. I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno
portati via e hanno passato a fil di spada i
guardiani. Sono scampato soltanto io per
raccontartelo». Mentre egli ancora parlava,
entro un altro e disse: «Un fuoco divino e
caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e
ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato
soltanto io per raccontartelo». Mentre egli
ancora parlava, entro un altro e disse: «I
Caldei hanno formato tre bande: sono piombati
sopra i cammelli e li hanno portati via e hanno
passato a fil di spada i guardiani. Sono
scampato soltanto io per raccontartelo». Mentre
egli ancora parlava, entro un altro e disse: «I
tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e
bevendo vino in casa del loro fratello maggiore,
quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da
oltre il deserto: ha investito i quattro lati
della casa, che è rovinata sui giovani e sono
morti. Sono scampato soltanto io per
raccontartelo». Allora Giobbe si alzò e si
straccio il mantello; si rase il capo, cadde a
terra, si prostro e disse: «Nudo uscii dal
grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il
Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia
benedetto il nome del Signore!». Giobbe 1,
13-21. Giobbe (ebr. Iob) è la figura centrale
del più profondo e del più poetico dei libri
sapienziali dell'AT. Esiste un racconto in
prosa, che inquadra il testo poetico, e che ci
trasporta a Uz, a sud di Edom. Giobbe vi è
descritto come un importante pastore, ricco e
credente in Dio, la cui fedeltà è messa alla
prova per istigazione di Satana (vedi versetti
precedenti). I suoi beni e la sua stessa
famiglia conosceranno le peggiori catastrofi e
infine egli sarà colpito da una ripugnante
malattia. Il nemico di Dio e dell'uomo scommette
con Dio su Giobbe. Egli è fedele perché la sua
fedeltà gli produce benessere e ricchezza. Se
Dio lo prova e gli toglie questo benessere,
anche Giobbe rifiuterà Dio e lo bestemmierà. Dio
accetta e permetterà tutto ciò perché si fida di
Giobbe mentre Satana pretende di essere sicuro
che Giobbe sarebbe rimasto fedele solo nella
prosperità (2,6). Ambientata in un paese
favoloso, anche per quel tempo, dell'Antico
Medio Oriente, il protagonista, Giobbe, un
fedele di Dio, non è ebreo perché è straniero.
La vicenda si svolge nella terra di Uz, che non
è territorio di Israele. In tal modo la
rivelazione al popolo d'Israele si completa
poiché si indica che Dio è attento e presente in
tutto il mondo e con tutti gli uomini. Perciò
Giobbe è una figura universale: la sua
esperienza appartiene ad ogni uomo, in ogni
tempo e luogo. Rappresenta l'uomo giusto, prima
ricco e felice, e poi improvvisamente colpito
dalla sventura. Perde i figli, i beni, la
salute. Sarà cacciato anche di casa dalla moglie
e si rifugerà su un mucchio di immondizie e di
cenere. La moglie, stanca di quest'uomo per la
sua fedeltà incrollabile, urlerà, alla fine:
"Rimani ancora saldo nella tua integrità?
Maledici Dio e muori!" (2,9). Lo stesso nome
del protagonista è drammaticamente eloquente:
Giobbe può significare: " dov'è il padre? "; e
anche si scrive nello stesso modo della parola
"nemico". Tutto questo prefigura il dramma e si
potrebbe interpretare il suo nome con la sua
vita: "Sei tu per me un Dio padre nemico?",
oppure " Sarò io nemico per te?" Oppure "
Perché, Dio, mi tratti come un nemico? ". Il
dramma di Giobbe è l'immagine che ci si fa di
Dio. I tre amici teologi di Giobbe - Elifaz,
Bildad, Sofar - hanno una incrollabile certezza
che Dio, il Potentissimo, è sempre giusto.
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2Tm 2,6-15 Carissimo, il contadino, che
lavora duramente, dev’essere il primo a raccogliere i frutti
della terra. Cerca di capire quello che dico, e il Signore ti
aiuterà a comprendere ogni cosa. Ricordati di Gesù Cristo,
risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel
mio Vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come
un malfattore. Ma la parola di Dio non e incatenata! Perciò io
sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché
anch’essi raggiungano la salvezza che e in Cristo Gesù, insieme
alla gloria eterna. Questa parola e degna di fede: Se moriamo
con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche
regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo
infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso.
Richiama alla memoria queste cose, scongiurando davanti a Dio
che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a nulla
se non alla rovina di chi le ascolta. Sforzati di presentarti a
Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve
vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità.
2 Timoteo 2, 6-15. Questa lettera viene considerata "Il
testamento spirituale di Paolo" (sebbene tale espressione venga
usata anche per il discorso di addio agli anziani di Efeso: At
20,18-35; e il Card Martini, prima di lasciare Milano, ce la
commentò diverse volte). Paolo è in carcere a Roma e scrive a
Timoteo, mentre lamenta la sua solitudine, che ha comportato la
totale mancanza di ogni difesa. Così i pagani lo considerano un
malfattore e gli ebrei un traditore mentre nessuno lo ha difeso.
Tuttavia Paolo non si rammarica poiché sente di vivere una
grande comunione con Gesù. E' anzi preoccupato del "mio Vangelo"
che è quello genuino di Gesù che egli fedelmente ed umilmente ha
cercato di interpretare e di comunicare. Si rivolge a Timoteo
poiché si fida della sua formazione e gli raccomanda di
insegnare ad altri perché a loro volta insegnino: "Tu dunque,
figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo
Gesù e le cose che hai udito da me in presenza di molti
testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado
di ammaestrare a loro volta anche altri" (2,1-2). Da queste
preoccupazioni rivelate perché diventino direttive per il tempo
che verrà, e in cui Paolo sa di non poter essere presente,
l'attenzione non è istituzionale o di potere da trasmettere, ma
è per una successione didattica: Trasmettere un messaggio che
sia un insegnamento genuino e coerente: è questo il primo
compito dell'autorità, della Comunità cristiana, di ogni fedele
adulto. Per aiutare Timoteo a capire che ad ogni investimento
devono accompagnarsi sforzo, perseveranza e sacrificio, Paolo
ricorda tre condizioni adulte di vita: il soldato, che non si
lascia distrarre dal suo compito, l'atleta che lotta con
correttezza secondo le regole, e il coltivatore che raccoglie in
abbondanza a secondo dei suoi sforzi (2,3-7). Il vero
modello, tuttavia, è Gesù: "Ricordati di Gesù Cristo" che lottò
fino alla morte e, passando attraverso la morte, è risorto. E
dopo Gesù, che è il vero modello, Paolo, in amicizia, osa
proporsi come secondo testimone da imitare. E a Timoteo svela
anche il significato della sofferenza vissuta con Gesù: essa è
carica di forza ed è sostegno e intercessione a favore di chi si
ama: "Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto,
perché anch'essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù,
insieme alla gloria eterna" (2,10).
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Lc 17,7-10
(parabola del buon servo) In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Chi di voi, se ha un
servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo:
“Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da
mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e
bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel
servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete
fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Luca 17, 7-10 Con tanto parlare
della dignità dell'uomo e del lavoro, della preziosità dell'uomo agli occhi e
al cuore di Dio, di Gesù che serve, anzi, addirittura lava i piedi ai
discepoli, le parole di questo vangelo sembrano contraddittorie e persino
insensibili. Bisogna leggerle nel contesto: il cap. 17 si apre con alcune
parole di Gesù molto rigorose sullo ‘scandalo' e sul ‘perdono; gli apostoli
sono smarriti -"Signore, aumenta la nostra fede"- poi c'è il nostro brano per
continuare con l'episodio dei dieci lebbrosi di cui solo uno, samaritano,
torna a ringraziare, e con l'esortazione a pregare sempre ‘senza stancarsi
mai', e infine con l'annuncio della sua passione. "Quando avrete fatto tutto
quello che vi è stato ordinato dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare".bnL'esempio è preso dalla vita: il padrone pretende
dal suo servo quello che il servo è tenuto a fare. Ma qui che cosa vuol
dire Gesù? E noi siamo servi o siamo liberi (‘voi siete stati chiamati a
libertà!'). A me pare che l'idea sia quella del servizio e non della
schiavitù; dello stesso servizio che Gesù prestò lavando i piedi ai
discepoli, ma con la sottolineatura che "in servizio" siamo sempre e che
questo non deve farci credere di essere bravi o presumere di fare qualcosa di
straordinario. Infatti siamo akreioi, parola che viene tradotta dal greco
in modo inesatto, perché la lingua greca antica è estremamente duttile ed
ogni parola ha una vasta gamma di significati e di sfumature. Qui potrebbe
semplicemente voler dire ‘siamo sempre in servizio' ‘siamo semplicemente
servi', senza presumere per questo di aver fatto chissà che cosa. Certo,
siamo utili nella misura in cui non ne approfittiamo per il nostro personale
interesse o per accampare chissà quali diritti. Siamo ‘servi del Signore',
esattamente come Gesù, il Servo di Yahveh, che nella vita realizza il
progetto d'amore di Dio. Così anche noi non siamo ‘inutili' perché
espressione di un pensiero d'amore di Dio, ma siamo ‘gratuiti' perché il
nostro vanto non è quello di portare avanti noi stessi, ma di contribuire
a spianare la via al Regno di Dio, cioè al Suo Amore. Allora si diceva
"siamo servi inutili"; oggi possiamo ugualmente dire "siamo gocce che
riflettono, se siamo fedeli alla nostra vocazione cristiana, l'infinito
splendore dell'amore di Dio". Certo, dobbiamo rendercene conto, senza
nasconderci dietro false modestie o malcelate presunzioni. |