II Domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore
6 settembre 2020
Gv 5, 19-24

Rioferimenti : Is 60, 16b-22 - Sal 88 - 1Cor 15, 17-28

Tu hai un braccio potente, forte è la tua mano, alta la tua destra. Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, amore e fedeltà precedono il tuo volto. R

Is 60, 16b-22

Così dice il Signore Dio: «Saprai che io sono il Signore, il tuo salvatore e il tuo redentore, il Potente di Giacobbe. Farò venire oro anziché bronzo, farò venire argento anziché ferro, bronzo anziché legno, ferro anziché pietre. Costituirò tuo sovrano la pace, tuo governatore la giustizia. Non si sentirà più parlare di prepotenza nella tua terra, di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini. Tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte. Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto. Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria. Il più piccolo diventerà un migliaio, il più insignificante un’immensa nazione; io sono il Signore: a suo tempo, lo farò rapidamente».

Isaia 60,16b-22
Il popolo d'Israele, o almeno quella popolazione che è riuscita a tornare da Babilonia a Gerusalemme, ricca di sogni e di speranze, si ritrova di fronte alle macerie di una città distrutta e, per molti tratti, decrepita, abitata da persone che non l'accolgono volentieri poiché coloro che tornano hanno pretese e dinamismo e portano sconcerto e richieste poiché vorrebbero ritornare alle antiche proprietà. In fondo la lontananza è stata di circa 70 anni. Questa situazione difficile, e spesso disperante, viene riletta da un personaggio credente, poeta e innamorato di Dio che scrive sotto il nome di Isaia. È attribuito ad uno o più profeti che gli studiosi chiamano Terzo Isaia, vissuto durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme e negli anni successivi (dal 520 a.C. in poi). A questo autore si riferisce il testo che stiamo leggendo, tratto dagli ultimi dieci capitoli (cc 56-66) di questo splendido libro, in cui sono descritti il ritorno del popolo liberato e la ricostituzione di Gerusalemme dopo l'esilio di Babilonia (587-538 a.C.).
Tutto il capitolo 60 è un canto di speranza per Gerusalemme e un sogno sul futuro. Inizia con: "Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce perché viene la tua luce..." (v. 1) e apre l'orizzonte della ricchezza che si riversa attraverso i popoli che arrivano al tempio. Anche nel tempio ricostruito, infatti, affluiranno le ricchezze. Nel sogno la pace regna nella città e la gloria di Dio si irradia nel benessere. Gerusalemme diventa un riferimento fondamentale di speranza non solo per il popolo, ma anche per tutto l'universo. Un modo curioso di mostrare la ricchezza è il richiamo dei materiali per il nuovo tempio che devono essere migliori di quelli impiegati da Salomone, 500 anni prima. E i responsabili dei lavori non si imporranno con la violenza poiché tutto si svolgerà in pace e armonia. Non ci saranno tenebre e lutto. Persino le porte avranno un nome e si chiameranno "Gloria"; le mura saranno chiamate "salvezza": sono riferimenti alla bellezza ed alla sicurezza di un popolo senza pace e disarmato.

1Cor 15, 17-28

Fratelli, se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché «non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi». L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché «ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi». Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.  

1 Corinzi 15, 17-28
Il tema della risurrezione è fondamentale per la fede cristiana. Soprattutto nel mondo e nella cultura greca la risurrezione della carne viene male interpretata per il disprezzo che viene riversato sul corpo, prigione dell'uomo e dell'anima, peso stantio che non permette di superare il male e la rozzezza della vita umana, imbavagliata e prigioniera dalla corporeità e dai suoi bisogni.
Paolo non si rifà ad una esperienza personale, ma alla essenza della predicazione proclamata e che, a sua volta, per fedeltà alla tradizione, egli stesso l'ha ricevuta dagli apostoli. E quando vuole sintetizzare la fede, la raccoglie in 4 verbi: Gesù morì, fu sepolto, risuscitò, apparve.
E nei primi 11 versetti del capitolo 15 (1 Cor 15,1-11) Paolo ha elencato le apparizioni che, ufficialmente, vengono ricordate alla comunità cristiana. La risurrezione di Gesù è il centro della vita cristiana e della lieta notizia che, finalmente, fa pulizia di tutte le morti e le paure. Perciò questa risurrezione sta alla base della nostra risurrezione ed è garanzia di vita nuova. Se cade l'una, cade anche la lieta notizia di Gesù e tutta la fede sarebbe vana. Cadrebbero la speranza, il perdono dei peccati, il senso dell'esistenza e della fedeltà. Ritorneremmo a vivere nella disperazione del male, ci ritroveremmo in una frustrazione terribile di inutilità e di paura. Crollerebbero tutte le novità e tutte le aspettative.
Paolo ricorda che i rabbini pensano ad un primo momento della presenza dell'inviato del Signore, quando inaugura il "regno del Messia". Paolo perciò intravede Gesù vincitore che lotta, combatte e sottomette tutto ciò che si oppone a Dio, compreso la morte. Paolo pensa che il regno del Messia debba durare finché dura il mondo. Alla fine, sconfitti tutti i nemici, compresi la morte, verrà il momento di riconsegnare, purificato, il mondo dal Messia al Padre che inizierà il regno eterno di Dio.

  Gv 5, 19-24

In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare e disse: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita».

  Giovanni. 5, 19-24
Gesù compie un miracolo di sua iniziativa su un povero malato di paralisi "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2). E' costretto a letto, incapace di camminare da 38 anni (nel Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione della vita (2,14) e quindi in procinto di morire senza speranza (5,5).
Il fatto della guarigione, compiuta da Gesù, e il conseguente trasporto del lettino/branda sulle spalle del miracolato aprono una discussione violenta sul sabato mentre è palese a tutti l'azione immorale di violazione del sabato. Gesù affronta la discussione, osando rispondere: "«Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco». Per questo i Giudei cercano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto viola il sabato, ma chiama Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio" (5,17-18). Il testo, nella sua concisione, è chiarissimo: Gesù opera segni di liberazione e di guarigione, ma rivendica questi interventi come opera di sviluppo della creazione. E' opera da sempre del Padre, è opera continua di impegno per salvare la vita e svilupparla.
Il pensiero giudaico stenta a conciliare il riposo di Dio dopo la creazione, riposo di cui il sabato è l'immagine (Gen 2,2s), con la sua continua attività nel governo del mondo. Si distingue, infatti, l'attività del Creatore, che è terminata nel settimo giorno, e l'attività del Giudice, che non cessa mai. Eppure, dice Gesù, Dio non desiste dall'azione di conservare la vita delle creature e governa il mondo anche nei giorni di riposo. Così, mentre i rabbini ammettono che Dio non riposa mai nella sua attività di giudice supremo e capiscono che Gesù rivendica per sé l'uguaglianza perfetta con Dio (Gv10,33). Gesù identifica la sua attività con quella del Giudice sovrano. Da ciò l'indignazione dei Giudei e il discorso con cui Gesù giustifica la sua pretesa (soprattutto Mt 12,1-8).