Ottava del Natale del
Signore
28 dicembre 2025
Mt 2, 13b-18
Riferimenti :Ger 31, 15-18. 20 - Sal 123 - Rm 8, 14-21 |
| A te grida, Signore, il
dolore innocente. Se il Signore non fosse stato per noi, quando eravamo
assaliti, allora ci avrebbero
inghiottiti vivi, quando divampò contro
di noi la loro collera. |
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Ger 31, 15-18.
20
Così
dice il Signore: «Una voce si ode a Rama, un
lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi
figli, e non vuole essere consolata per i suoi
figli, perché non sono più». Dice il Signore:
«Trattieni il tuo pianto, i tuoi occhi dalle
lacrime, perché c’è un compenso alle tue fatiche
– oracolo del Signore –: essi torneranno dal
paese nemico. C’è una speranza per la tua
discendenza – oracolo del Signore –: i tuoi
figli ritorneranno nella loro terra. Ho udito
Èfraim che si lamentava: “Mi hai castigato e io
ho subito il castigo come un torello non domato.
Fammi ritornare e io ritornerò, perché tu sei il
Signore, mio Dio”. Non è un figlio carissimo per
me Èfraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta
che lo minaccio, me ne ricordo sempre con
affetto. Per questo il mio cuore si commuove per
lui e sento per lui profonda tenerezza». Oracolo
del Signore. Geremia 31,
15-18. 20 La narrazione della persecuzione di
Gesù bambino comanda la scelta della prima
lettura: Matteo, secondo la prassi che gli è
tipica, introduce, a commento dell'episodio dei
bambini uccisi, un passo di Geremia. Esso
appartiene al mirabile "libretto della
consolazione" dei cc. 30-31 scritto dal famoso
profeta sofferente come segno di speranza dopo
l'oscuro periodo del crollo e della fine di
Giuda e di Gerusalemme. Al centro dell'oracolo
si erge la figura statuaria di Rachele, la
moglie amata di Giacobbe-Israele: essa era morta
dando alla luce Beniamino, il figlio prediletto
di Giacobbe, sulla strada di Rama (Gen 35,20).
Ora, proprio a Rama erano stati fissati i primi
campi di concentramento per gli esuli, una volta
distrutta Gerusalemme dalle armate babilonesi
(Ger 40,1). In quell'occasione il profeta
immagina che l'ombra di Rachele sia ritornata a
piangere i figli caduti e deportati di Israele.
Il Signore, però, le aveva asciugato le lacrime
facendole balenare un futuro di speranza, il
ritorno delle sue creature dall'esilio. Il
«figlio caro» di Dio, Israele (Efraim),
«giovenca non domata» (Ger 31,18), cioè popolo
ribelle e peccatore, attraverso il crogiolo
dell'esilio babilonese, diventa «giovenca
addestrata» (Os 10,11), cioè ritorna pentito e
ravveduto, certo che le viscere materne di Dio
si sono ancora commosse per lui (Ger 31,20). La
storia del ritorno dell'uomo e dell'attesa
amorosa di Dio è la costante della storia della
salvezza e della speranza biblica.
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Rm 8,
14-21
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio,
questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito
da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo
Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo:
«Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito,
attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche
eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo
parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano
paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi.
L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso
la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata
sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà
di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la
stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione
per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Rom 8,14-21 Noi
abbiamo ricevuto da Gesù la garanzia di poter chiamare Dio
"nostro Padre" come Gesù chiamava Dio "Padre mio" e perciò ci è
stato garantito un destino di gloria che è riservato a tutti i
credenti in Lui. Il Figlio di Dio, attraverso l'esperienza della
sua vita umana, a cominciare dalla sua incarnazione fino alla
sua glorificazione, fa diventare noi figli adottivi di Dio.
Così, per questo, noi ci rivolgiamo a Dio, in compagnia e
garantiti da Gesù, chiamandolo con tenerezza e intimità abbà,
«papà» (Le 11,2; Gal 4,6). Tutto ciò è possibile poiché avviene
nella fede e nella speranza mentre viviamo nella terribile
situazione di violenza e di precarietà ove il male sembra essere
dominante e sembra abbia un largo lasciapassare per cui
spadroneggia sulla vita dei deboli e dei poveri, spesso degli
stessi bambini. Noi non riusciamo a intravedere una muro di
difesa dietro cui difenderci.Tutta la creazione è soggetta al
disfacimento, alla fragilità, alla corruzione; eppure grida il
suo dolore, ma sembra che non sia ascoltata. Il male ed il
peccato la stravolgono e la responsabilità del mondo umano di
salvarla, sostenerla, "custodirla" (Gen2,15) non facilmente è
diventata un comando chiaro e affidabile di cui rendere conto.
Questo si gioca nella dimensione della libertà, ma va accettata
e creduta come possibile. Solo così la forza dello Spirito
smantella ogni paura che nasce dalla schiavitù, fa scoprire
fiducia e tenerezza, la fiducia da parte nostra e la tenerezza
da parte di Dio, che non si cancella. Il nostro tempo ha la
possibilità di migliori chiarezze ma, certamente, vanno
costruite barriere e sviluppate coscienze critiche collettive di
fronte ai mali, alle ruberie, alle violenze ed agli
sfruttamenti. È sempre lo Spirito che attesta a ciascuno di noi
che siamo figli e quindi ci avvia a somigliare a Gesù. Ma deve
sorgere la coscienza di popolo che opera nella dimensione
personale, sociale ed economica e resiste, spinge a coerenze,
denuncia il male, prima di tutto, aiutando personalmente i
deboli ad uscire dalle dipendenze e dalle paure. Dobbiamo
stare attenti allo scoraggiamento, alla pigrizia, alla non
partecipazione, al non voler capire e riflettere, al non
intervenire.
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Mt 2, 13b-18
In quel tempo. Un angelo del
Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il
bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò:
Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella
notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino
alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore
per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Quando Erode si
accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere
tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che
avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza
dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta
Geremia: «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande:
Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono
più».
Questa domenica ci fa ripensare a tutte le
innumerevoli vittime innocenti. In particolare i bambini-che ancora oggi
insanguinano le coscienze di tutti. E' la furia del
potere, della ubriacatura della forza, di chi si sente e vuole fare il
padrone degli altri, soprattutto di chi è più debole, di chi non ha parole,
se non la voce del pianto. Dovremmo riflettere oggi
sulla ferocia della violenza, sull'odio che imperversa sul mondo, sulla
responsabilità che interpella tutti. Responsabilità
perché non ci associamo concretamente al lamento grande e inconsolabile di
Rachele e al grido di dolore e di ribellione contro l'ingiustizia e la
violenza.
Responsabilità perché nell'indifferenza generalizzata contribuiamo ad elevare
questo tasso di odio, che inquina l'umanità, col nostro placido sentimento
religioso, che tutt'al più si accontenta di fare un'offerta per sentirsi a
posto con la propria coscienza. Potremmo prendere spunto da questa pagina di
Vangelo per esaminarci sulla violenza, anche noi che ci riteniamo miti perché
viviamo per lo più una religione borghese.
Anche noi, invece, siamo violenti, perché prendiamo
le distanze, perché ci limitiamo a rifiutare la violenza a parole e non
prendiamo parte effettiva alle grida, al lamento e al pianto grande di
Rachele. Perché
rifiutiamo di essere madre -donne e uomini- di tutte le nascite e celebriamo
un Natale fasullo perché non ci sporchiamo le mani e non prendiamo posizione.
Anche nel nostro piccolo.
Credo Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo
e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo
Signore, Gesù Cristo, unigenito, Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti
i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non
creato: della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e
per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e
si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu
sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al
cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito
santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il
Padre ed il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei
profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo
battesimo per il perdono dei peccati. E aspetto la risurrezione dei morti e
la vita del mondo che verrà. Amen. |