Se vigilare significa impegnarsi
26 Novembre 2005 Anno B
Marco 13,33-37
Rferiemnti : Isaia 63,16b-17.19b;
64,1c-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1,3-9
Gesù disse ai suoi
discepoli: «State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento
preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria
casa e dato il potere ai servi [...] e ha ordinato al portiere di vigilare.
Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, [...].
Quello che dico a voi, lo dico
a tutti: Vegliate!». e letture proposte nelle domeniche di Avvento contengono
moltissimi suggerimenti su come riconoscere la venuta del Signore, su come
accoglierla, sulle conseguenze da trarre sul fatto che Dio è già venuto fra noi,
su come vivere nel mondo in attesa del suo ritorno. Al centro del discorso del
capitolo 13 del Vangelo di Marco – nel quale la parabola di questa domenica si
inserisce – ritorna con insistenza un duplice avvertimento. Il primo verso
coloro che pensano di scorgere negli avvenimenti presenti della storia i segni
della fine imminente e si abbandonano a impazienze, a previsioni sul come e sul
quando, lasciando il mondo al suo destino. E il secondo avvertimento è verso
coloro che invece – constatando che la storia continua il suo corso – rallentano
la vigilanza, non vivono più nella tensione degli ultimi tempi e si mondanizzano.
Ai primi l’evangelista dice: non credete ai falsi profeti… non siate impazienti
ma continuate a impegnarvi nel mondo. E ai secondi: vigilate, mantenetevi in
attesa, non lasciatevi distrarre dagli impegni mondani. Dunque, il
cristiano deve impegnarsi nel mondo ma non al tempo da dimenticare l’attesa, e
deve attendere ma non al punto da dimenticare l’impegno oggi. La breve parabola
del padrone e del portiere non richiede una spiegazione particolare, tanta è la
sua trasparenza. Dal momento che non si sa quando il Signore viene (se presto o
tardi, se di giorno o di notte) e dal momento che è certo che verrà senza
preavviso, allora non resta che essere sempre svegli e pronti. Tutto sta nel
capire la parola vigilanza, che nel passo ritorna quattro volte. È una virtù
molto cara ai primi cristiani. Vigilare è l’atteggiamento di chi è costantemente
all’erta, in stato di servizio, come il portiere. La vigilanza ha due facce:
essere vigili e attenti per avvertire le occasioni di male che si presentano
ogni giorno, ma anche vigilare ed essere pronti ad accogliere le molte occasioni
di bene altrettanto numerose. Nella prima lettura Isaia parla di una speranza
per un tempo di delusione. Una speranza che si fa invocazione: «Se tu
squarciassi i cieli e scendessi!». Il cristiano sa che la preghiera del profeta
è già stata esaudita. I cieli si sono aperti e il Figlio di Dio è disceso fra
noi. Tuttavia il cristiano attende ancora che la comunione con Dio diventi
pienezza, che il pizzico di lievito si trasformi in una massa, che la verità e
l’amore si facciano strada, che il peccato sia vinto e il mondo rinnovato e che
Colui che fu per noi crocifisso sia da tutti riconosciuto.
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