
XI Domenica dopo
Pentecoste
12 agosto 2012
Matteo21, 33-46
Riferimenti :
primo Re. 18, 16b-40a - Salmo 15 -
Romani. 11, 1-15
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Signore, chi abiterà nella tua
tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte? Colui che cammina senza
colpa, agisce con giustizia e parla lealmente, non dice calunnia
con la lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulto
al suo vicino. Ai suoi occhi è spregevole il malvagio, ma onora
chi teme il Signore. Anche se giura a suo danno, non cambia;
presta denaro senza fare usura, e non accetta doni contro
l'innocente. Colui che agisce in questo modo resterà saldo
per sempre. |
primo Re. 18, 16b-40a
In quei giorni. Acab si diresse verso Elia. Appena lo
vide, Acab disse a Elia: «Sei tu colui che manda in rovina
Israele?». Egli rispose: «Non io mando in rovina Israele, ma
piuttosto tu e la tua casa, perché avete abbandonato i comandi
del Signore e tu hai seguito i Baal. Perciò fa’ radunare tutto
Israele presso di me sul monte Carmelo,insieme con i quattrocentocinquanta
profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che
mangiano alla tavola di Gezabele». Acab convocò tutti gli
Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo. Elia si accostò
a tutto il popolo e disse: «Fino a quando salterete da una parte
all’altra? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal,
seguite lui!». Il popolo non gli rispose nulla. Elia disse
ancora al popolo: «Io sono rimasto solo, come profeta del
Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Ci
vengano dati due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo
squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Io
preparerò l’altro giovenco e lo porrò sulla legna senza
appiccarvi il fuoco. Invocherete il nome del vostro dio e io
invocherò il nome del Signore. Il dio che risponderà col fuoco è
Dio!». Tutto il popolo rispose: «La proposta è buona!». Elia
disse ai profeti di Baal: «Sceglietevi il giovenco e fate voi
per primi, perché voi siete più numerosi. Invocate il nome del
vostro dio, ma senza appiccare il fuoco». Quelli presero il
giovenco che spettava loro, lo prepararono e invocarono il nome
di Baal dal mattino fino a mezzogiorno, gridando: «Baal,
rispondici!». Ma non vi fu voce, né chi rispondesse. Quelli
continuavano a saltellare da una parte all’altra intorno
all’altare che avevano eretto. Venuto mezzogiorno, Elia cominciò
a beffarsi di loro dicendo: «Gridate a gran voce, perché è un
dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si
sveglierà». Gridarono a gran voce e si fecero incisioni, secondo
il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di
sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora agirono da profeti
fino al momento dell’offerta del sacrificio, ma non vi fu né
voce né risposta né un segno d’attenzione. Elia disse a tutto il
popolo: «Avvicinatevi a me!». Tutto il popolo si avvicinò a lui
e riparò l’altare del Signore che era stato demolito. Elia prese
dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di
Giacobbe, al quale era stata rivolta questa parola del Signore:
«Israele sarà il tuo nome». Con le pietre eresse un altare nel
nome del Signore; scavò intorno all’altare un canaletto, della
capacità di circa due sea di seme. Dispose la legna, squartò il
giovenco e lo pose sulla legna. Quindi disse: «Riempite quattro
anfore d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla legna!». Ed
essi lo fecero. Egli disse: «Fatelo di nuovo!». Ed essi
ripeterono il gesto. Disse ancora: «Fatelo per la terza volta!».
Lo fecero per la terza volta. L’acqua
scorreva intorno all’altare; anche il canaletto si riempì
d’acqua. Al momento dell’offerta del sacrificio si avvicinò il
profeta Elia e disse: «Signore, Dio di
Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in
Israele e che io sono tuo servo e che ho
fatto tutte queste cose sulla tua parola. Rispondimi, Signore,
rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei
Dio e che converti il loro cuore!». Cadde
il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre
e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista,
tutto il popolo cadde con la faccia a
terra e disse: «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!». Elia disse
loro: «Afferrate i profeti di Baal; non
ne scappi neppure uno!».
Il Signore manda alcuni messaggi ad Elia che è rimasto solo
in Israele ad onorare pubblicamente il
Dio d’Israele mentre, se non è scomparsa la fede nel popolo,
tutti sono impauriti per la persecuzione
pesante che il re e la regina sviluppano e per
l’uccisione dei profeti che onorano Dio. Tra coloro che
ancora fattivamente adorano Dio c’è Abdia,
il maggiordomo del re Acab, che “teme il Signore”. Poiché
è un uomo di molte risorse, è riuscito a nascondere in
alcune grotte almeno 100 profeti di fede
genuina e li alimenta in incognito, con pane ed acqua, in un
periodo in cui una grande siccità sta
divorando il lavoro ed i magri raccolti da almeno da
tre anni. Tutta questa sofferenza e questa miseria, che
si moltiplicano, mettono in grande crisi
il territorio e rendono furiosa l’autorità poiché si è sparsa la
certezza che tale siccità viene da Dio ed
Elia ne è responsabile. Finora Elia è fuggito, pur
inseguito dalle forze militari del re che non l’hanno
saputo incontrare. Ora Elia stesso,
attraverso Abdia, si fa annunciare ad Acab e propone quello che
poi sarebbe stato detto un “giudizio di
Dio”. Così la sfida davanti al popolo, pure
impaurito, dà però al profeta coraggioso il salvacondotto
per poter svolgere la prova. Sono
previsti, in pratica, i due sacrifici fondamentali che si
celebrano in Israele. Quello del mattino viene desiderato dai
sacerdoti di Baal. E tutta l’impetrazione si allunga ben oltre
il mezzogiorno. L’offerta del pomeriggio viene lasciata ad Elia.
Il testo è gustoso e la provocazione è accompagnata anche dal
sarcasmo del profeta verso gli “idoli muti o addormentati”. I
sacerdoti danzano, gridano, pregano, in
attesa che un fuoco dai loro dei incenerisca l’offerta. Ma
invano. Elia è sicuro nella propria fede
e quindi utilizza l'ironia sulle attese e speranze pagane,
risollevando l’atteggiamento di alcuni convinti e di
molti rassegnati. Nel momento della
prova, in un silenzio drammatico, Dio viene invocato con le
stesse parole con cui Dio si manifestò a Mosé. “Signore,
Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele,
oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo
e che ho fatto tutte queste cose sulla
tua parola” (v 36). Perciò ciò che serve in questo
momento è che “questo popolo sappia che tu, o Signore,
sei Dio e che converti il loro cuore!“ (v
37). Tutto il seguito è una rivincita sovrabbondante: il fuoco
brucia tutto, anche le pietre dell’altare
e le suppellettili. Il risultato è un trionfo del Dio
d’Israele e tale viene percepito dalla gente, prima
impaurita e sfiduciata. Così il profeta
ha raggiunto il suo scopo, ma ritiene che, dopo la verifica, si
debbano distruggere coloro che credono
negli idoli e, in particolare, i sacerdoti officianti.
Ma questo il Signore non l’ha chiesto ad Elia: è solo una
interpretazione religiosa di Elia. Egli
suppone che Dio sia vendicativo, che quindi l’onore di Dio debba
essere salvato e riscattato, e che debbano essere,
perciò, eliminati i suoi oppositori. La
pretesa di voler vendicare Dio è un grande pericolo delle
religioni. E davvero le religioni, lungo
la storia, facilmente non dimostrano di aver maturato il senso
della misericordia della divinità, vero
attributo di Dio. E’ davvero necessario che il
Signore ci aiuti a capire che la vera dignità è nel
perdono e nella pace, non nella con il
Signore, lo persuaderà che la violenza non è la scelta di Dio.
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Romani. 11, 1-15
Fratelli, Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato
il suo popolo? Impossibile! Anch’io infatti sono Israelita,
della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. Dio non
ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio.
Non sapete ciò che dice la Scrittura, nel passo in cui Elia
ricorre a Dio contro Israele? Signore, hanno ucciso i tuoi
profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, sono rimasto solo e ora
vogliono la mia vita. Che cosa gli risponde però la voce divina?
Mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il
ginocchio davanti a Baal. Così anche nel tempo presente vi è un
resto, secondo una scelta fatta per grazia. E se lo è per
grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe
più grazia. Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che
cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri invece
sono stati resi ostinati, come sta scritto: Dio ha dato loro uno
spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchi per non
sentire, fino al giorno d’oggi.E Davide dice: Diventi la loro
mensa un laccio, un tranello, un inciampo e un giusto castigo!
Siano accecati i loro occhi in modo che non vedano e fa’
lorocurvare la schiena per sempre! Ora io dico: forse
inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa
della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare
la loro gelosia. Se la loro caduta è stata ricchezza per il
mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la
loro totalità! A voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo
delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di
suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne
alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una
riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se
non una vita dai morti?
Il rifiuto d’Israele è il dramma che pesa sul cuore di Paolo
e sulla coscienza della prima Comunità
cristiana, poiché la lontananza, globalmente presa, del popolo
d’Israele sembra smentire l’opera e la promessa di Dio. E
tuttavia la separazione non è totale ma
temporanea. Dio resta fedele sempre ed ha riservato a sé un
“resto” (vv 2b-4). Così il Signore garantisce che sta
continuando il suo piano di salvezza.
Esso, però, dovrà essere colto come dono e non come il risultato
di uno sforzo da parte degli interessati.
Chi segue Gesù è stato scelto con amore, per
grazia, e non certo per le sue opere. E Paolo tiene a
ripetere che la sequela di Gesù ci porta
a Dio, perché è Gesù che ha posto in noi questa vocazione.
E se la cultura ed il linguaggio ebraici traducono lo
sviluppo di questa opposizione del popolo
ebraico a Cristo come opera di Dio “che ha indurito e reso
sclerotico il loro cuore, duro come un
callo attraverso cui non passa la verità”, la riflessione
successiva si ammorbidisce, ricordando che Dio accetta
pure di essere rifiutato là dove la
persona ha rinunciato a Dio. La ricerca
di Dio assomiglia ad una corsa. Molti inciampano e sono caduti.
Non si tratta, tuttavia, di un castigo
definitivo. Dio si riserva l’avvenire. Se rifiuta ciò che
lo ha rifiutato, tuttavia non dimentica ciò che ha amato.
Se i popoli pagani hanno approfittato del
rifiuto degli ebrei per sostituirsi a loro e sono così entrati
nelle scelte di Dio, questo susciterà
gelosia e quindi reazione per saper ripensare e
ritrovare i varchi sempre aperti che il Signore lascia a
tutti, ma ancor più al suo popolo
d’Israele. Tale lontananza ha permesso al
mondo pagano di entrare nella conoscenza del
vero Dio. Si verificherà un avvenimento ancora più
grande, quando tutto il mondo sarà
riconciliato con il Signore. L’ingresso dei pagani è allora solo
una tappa, non la sanzione di una
maledizione. Il Signore sa aspettare e sa riprendere. Il Signore
non abbandona. Il Signore continua ad amare. Ed anche
Paolo svela le sue intenzioni. Egli è
andato ai pagani con la segreta e certa speranza di poter
aiutare e ricuperare il suo popolo Paolo
è sicuro delle intenzioni di Dio: coraggiose e pazienti. Egli
non è impaurito del tempo che passa, non
scoraggiato della fragilità e della chiusura. La
conclusione non sarà solo una conversione ma una piena
risurrezione dei morti. Paolo ci aiuta a
rileggere il cammino della fede, proprio nel tempo in cui ci
sembra sia diventata più fragile e meno
consistente. A noi spetta seguire il Signore con
fiducia e con amore e avere la nostalgia di un mondo di
uomini e donne, ricco di pace e di amore.
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Matteo21, 33-46
In quel tempo.m Il Signore Gesù disse: Ascoltate un’altra parabola:
c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con
una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in
affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di
raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto.
Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un
altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li
trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo:
“Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra
loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo
presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il
padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei
malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri
contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non
avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è
diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una
meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio
e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Chi cadrà sopra questa pietra
si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato». Udite queste
parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro.
Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un
profeta.
Matteo21, 33-46
Gesù è nel tempio (v 21,23) e sta insegnando. Arrivano anche i sommi
sacerdoti, gli anziani del popolo, le autorità religiose.
Ritengono di avere il diritto di interpellare Gesù poiché
custodi della legge. E Gesù sta insegnando nel tempio,
come un maestro della legge. “Con quale autorità fai questo?”. Gesù non rifiuta
di rispondere. Chiede solo a loro che prima essi diano un
giudizio sul battesimo di Giovanni il Battista. In fondo
Gesù ha posto questa domanda poiché la loro risposta
vuole essere una verifica della loro serietà di ricerca. Anche le autorità
religiose intuiscono il significato della domanda di Gesù e rifiutano.
Proprio i responsabili della legge rispondono:”Non lo
sappiamo”. Gesù, di rimando: “Neanche io vi dico con
quale autorità faccio queste cose”. Ma Gesù aggiunge due
parabole, ambedue legate all’immagine della vigna, che coinvolge insieme la loro
e la sua posizione. La prima parabola (non
riportata in questa liturgia) parla di due figli a cui il padre
chiede di andare a lavorare nella vigna. Uno risponde di si, e non ci va;
l’altro risponde di no e poi ci va. Gesù pone la domanda:
“Chi ha compiuto la volontà del padre?” e non: “Chi è
stato rispettoso con il padre? La seconda parabola si
rifà ad un celebre canto della vigna del profeta Isaia (5,1-
). Il profeta ricorda che c’è un grave conflitto tra la vigna che rifiuta
di dare un frutto dolce e maturo, e il padrone che,
personalmente, ha sviluppato un lavoro coscienzioso per
lungo tempo: “(Il padrone) aspettò che producesse uva, ma essa
fece uva selvatica”. Il Padrone è Dio e la vigna è il popolo d’Israele.
Qui Gesù cambia gl’interlocutori del processo. Non è più la vigna che
deve giustificarsi ma sono i lavoratori che si rifiutano
di rendere conto del lavoro fatto. Possono essere
ingordi, possono aver sperperato tutto, possono non aver lavorato.
Non si fa un problema del valore del prodotto, ma del riconoscere il
diritto del padrone sulla sua vigna.
Al tempo della vendemmia il padrone manda i suoi servi (i profeti) in due
invii successivi (potrebbero identificarsi quelli viventi
prima e dopo l'esilio di Babilonia).
Alla fine il padrone manda il figlio suo perché continua a sperare nel
recupero di queste persone che ha sempre amato e onorato.
E mostra di sperare in una soluzione positiva. Ma, alla
vista del figlio, i vignaioli ribelli non solo continuano
nella rivolta, ma sviluppano ancor di più l'ostinazione di voler diventare i
padroni, senza dover più rendere conto a nessuno.
Così anche il figlio viene rifiutato anzi, portato fuori dalla vigna, e
ucciso. E qui chiaramente Matteo, in trasparenza, ci fa
scoprire il Signore che ha affidato la sua vigna ai
lavoratori. Prima, nella parabola di Isaia, ( e qui il riferimento al
tempo nell’Antica Alleanza) Dio stesso ha sviluppato tanto amore poiché
si è curato personalmente di tutto ciò che può portare
buon frutto. E, piantate le viti, ha circondato di una
siepe la vigna: (rappresenta la Legge che il Signore ha rivelato
per proteggere il suo popolo dai nemici e dalla distruzione del male).
Qui siamo nel tempo nuovo dell’Alleanza, quella del
Figlio. I lavoratori sono le guide religiose e politiche.
Per tutti i frutti sono le opere buone e la giustizia sociale per rendere
sereno il popolo di Dio che il Signore ama. Il tempo
della vendemmia è il giorno del rendiconto, della
giustizia. Gesù chiede che cosa il padrone dovrebbe fare.
La risposta è altrettanto violenta. “Questi malvagi
dovrebbero morire miseramente”. Ma Gesù rilegge i fatti in altro
modo. Non ci deve essere vendetta e neppure la finzione che il male non
sia stato commesso. Il male c’è e la morte, fuori della
città, del figlio corrisponde al rifiuto del figlio
considerato bestemmiatore e delinquente. Ma Dio lo riscatta, lo glorifica
ome la migliore pietra da costruzione e ricomincia, affidando il
suo patrimonio ad altri.
Così Gesù ha risposto sulla sua autorità, ha richiamato il suo
futuro, ha delineato il compito nuovo della Chiesa per
tutti coloro che lo ascoltano e lo vogliono seguire. Si
ricostruirà un mondo molto più bello e più grande, più giusto e più buono.
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