
Domenica delle palme nella Passione del Signore
1 aprile 2012 –
Giovanni 11, 55 - 12, 11
Riferimenti :
Isaia. 52, 13 -
53, 12 Salmo 47 -
Ebrei. 12, 1b-3
Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio con voci di
gioia; perché terribile è il Signore, l'Altissimo, re
grande su tutta la terra. Egli ci ha assoggettati i
popoli, ha messo le nazioni sotto i nostri piedi. La
nostra eredità ha scelto per noi, vanto di Giacobbe suo
prediletto. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al
suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni; cantate
inni al nostro re, cantate inni; perché Dio è re di tutta
la terra, cantate inni con arte. |
Isaia.
52, 13 - 53, 12 Così dice il Signore Dio: Ecco, il mio
servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e
innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto
era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua
forma da quella dei figli dell’uomo –, così si meraviglieranno
di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la
bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e
comprenderanno ciò che mai avevano udito. Chi avrebbe creduto al
nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del
Signore? È cresciuto come un virgulto davanti
a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né
bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per
poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei
dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci
si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna
stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è
addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre
colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà
salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo
stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno
di noi seguiva la sua strada; il Signore fece
ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si
lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello
condotto al macello, come pecora muta di
fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con
oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si
affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei
viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si
diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella
sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una
discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà
del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si
sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà
molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in
premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha
spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra
gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva
per i colpevoli.
Questa domenica è l'ingresso alla settimana Santa , e
diventa, nello spirito della liturgia, la celebrazione del
significato di ciò che contempleremo e mediteremo durante questi
otto giorni. Iniziamo con il testo di Isaia che parla della
"servo di Dio" nel bellissimo e drammatico testo del "quarto
carme". Il profeta palesemente garantisce i segni di Dio tra
noi, vivi e presenti finora e tuttavia nascosti, creduti e
interpretati nella nostra povera fede. Ma quando i segni di Dio
si manifestano, (e in questo canto si aprono e diventano
palesi), ci sconcertano, ci disorientano, ci allontanano tra ciò
che abbiamo sempre creduto. Abbiamo sempre
pensato: "Dio è con i giusti; la giustizia, anche se faticosa,
troverà il suo trionfo. Il tradimento è male
ed è perdente. Il gratuito è la forma di alta dell'amore
ma va apprezzato". Ci ritroviamo
con Gesù che è il giusto e quindi nessuno può condannarlo
-pensiamo perché è amico di
Dio. Eppure è braccato, rifiutato, giudicato e condannato. È
trattato come un delinquente, un assassino, un
bestemmiatore, un nemico della pace. Tutte le sue
parole muoiono nell'esperienza di un condannato che
non può essere giusto; ha il volto tumefatto.
Tutto questo è la più aperta dimostrazione che Dio ha
abbandonato quest'uomo e quindi lo ha
misconosciuto. il testo di Isaia ci dà ragione
e ci contraddice nello stesso tempo, poiché Dio entra
prepotentemente nella vita del suo "servo"e lo
accoglie in questa tragedia, lo accetta come
la vittima di ciò che il male ha fatto e fa nel mondo, lo
apprezza come il segno di un amore enorme per
chi lo ha condannato, come offerta di fiducia al Signore. Questo
misterioso "servo di Dio" (il titolo onorifico è
riservato o uomini grandi come Mosé e Davide)
ha accettato non sono la mediazione con il suo popolo ma ha
preso su di sé la tragedia che il male porta.
Mentre nel nostro immaginario il male deve essere
castigato da Dio, in realtà il male produce
veleno che scatena distruzioni, violenza e morte per se stesso.
Così il "servo di Dio" ha sostituito il suo
popolo e ha mostrato che la solidarietà con chi sbaglia,
accettando la sua pena, crea l'antidoto. L'amore
enorme, che solo Gesù poteva dare in quel
modo, cambia i destini del mondo ed anche i nostri itinerari. Il
nostro piccolo amore può unirsi a quello di
Gesù e cambiare il mondo. Il testo resta
fondamentale nella riflessione cristiana. Dio
interviene (52,13), all'inizio del testo che leggiamo,
garantendo il senso del soffrire dell'amico
"servo" e la conclusione ultima della sua salvezza. E sempre Dio
interviene alla conclusione di questo brano
(53,11-12) garantendo lo splendore di una discendenza
che scoprirà di essere stata amata da chi ha
coraggiosamente dato la vita nella
intercessione. Tra questi due interventi di Dio c'è la comunità
cristiana che eredità il mistero del "servo"
ed è invitata,, alla luce della fede in Cristo, a scoprire il
senso del suo vivere di Figli, il valore delle
parole ereditate e, insieme, un nuovo stile di interpretare la
realtà, di vivere nel mondo e di morire in Gesù.. |
Avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci
assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci
sta davanti, tenendo fisso
lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla
fede e la porta a compimento. Egli, di fronte
alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce,
disprezzando il disonore, e siede alla destra del
trono di Dio. Pensate
attentamente a colui che ha sopportato contro
di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché
non vi stanchiate perdendovi d’animo.
I cristiani, a cui viene scritta questa lettera, si sentono
perseguitati e in difficoltà. Fa loro rabbia,
ed è evidente, il fatto che i loro sforzi di coerenza si
concludano, nel contesto della vita quotidiana
e di fronte alle istituzioni, in incomprensioni, disagi,
sospetti ed nimicizia Sono
tentati di abbandonare tutto per la fatica che costa, e la
stessa immagine dello stadio richiama, in modo
comprensibile, sia lo sforzo e sia l'obbligo di mantenere una
propria concentrazione, "tenendo fisso lo sguardo su
Gesù". Egli è all'inizio della nostra fede ed
alla conclusione del nostro cammino: egli si propone
come inizio e fine, fondamento e vertice della nostra
esistenza. Per una corsa nello stadio,
"circondato da una moltitudine di testimoni" (12,1: ci si
riferisce ai luminosi esempi di fede dei giusti del
Vecchio Testamento appena ricordati nel
capitolo 11), bisogna sbarazzarci dei pesi e dei peccati che ci
rallentano e intralciano la corsa,. Corriamo
avendo davanti agli occhi Gesù che sa preferire la croce alla
gioia che poteva permettersi di raggiungere
poiché "gli era posta dinanzi". Egli ha disprezzato
l'ignominia, e questa è stata l'immagine offerta alla
gente del suo tempo, a tutti, dolorosa e
infamante. Ma questa scelta coraggiosa e libera di camminare
fino alla morte, mettendo a rischio la sua
reputazione e la sua fama, l'ho portato alla glorificazione,
"assiso alla destra del trono di Dio" (v. 2).
Questo coraggio, vissuto fino in fondo, accettando
una "terribile ostilità" di sentimenti e di
fatti diventa esemplare per la nostra fatica e il nostro
coraggio. Per questo la Chiesa non si deve
aspettare grandi riconoscimenti di risultati e di gloria, ma
speranza che molti facciano propri questa
chiarezza di scelte e queste testimonianze nel mondo. Di fatto
ci sono ancora molti cristisni che soffrono
per la fede in Gesù. Il problema, però, si pone sulle
motivazioni, sui perché. lDobbiamo stare attenti a quello che
presentiamo come cristiano. Il nostro compito
nella storia e di sbarazzarci di ciò che è "peccato e che è di
peso", ripulendo continuamente scelte e mentalità,
non sufficientemente misurate "nello sguardo
su Gesù", senza scambiare le nostre tradizioni e i nostri
fondamentalismi come dogmi di fede..
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Giovanni 11, 55 - 12, 11
Era
vicina la
Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono
a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi.
Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano
tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».
Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano
dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo
denunciasse, perché potessero arrestarlo. Sei giorni prima
della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro,
che egli aveva risuscitato dai morti. E qui
fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei
commensali. Maria allora prese trecento
grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i
piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la
casa si riempì dell’aroma di quel profumo.
Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per
tradirlo, disse: «Perché non si è venduto
questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai
poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei
poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa,
prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù
allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il
giorno della mia sepoltura. I poveri infatti
li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli
si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per
vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti.
I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere
anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne
andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Attorno
a Gesù si stringono la diffidenza e l’attesa. Egli è ormai molto noto e molto
atteso per la Pasqua, a Gerusalemme, luogo di appuntamento per la
grande celebrazione annuale, dove arrivano i pellegrini da
tutto Israele e molti si aspettano di vedere Gesù. Ma le
aspettative sono contrastanti: di fiducia e di speranza per un verso, di
contrasto e di denuncia dall’altro, a secondo delle speranze e
delle attese in lui. Il racconto dell’unzione dei piedi è
presente sia nel Vangelo di Marco (14,3-9) che nel Vangelo di
Matteo (26,6-13) mentre nel Vangelo di Luca (7, 36-50) si parla di
un’anonima peccatrice che potrebbe non avere niente a che fare
dell’episodio che Giovanni e gli altri evangelisti raccontano
prima dell’ultima Pasqua Si notano, nelle diverse redazioni,
alcune differenze, frutto di tradizioni diverse e di ricordi
lontani. Non dimentichiamo che la Scrittura non è tanto cronaca per informare
sui particolari dei fatti, ma teologia per entrare nel mistero
di Dio. “Sei giorni prima”: Giovanni ci richiama un calendario
che si rifà ai giorni della creazione (gen 1) e all’inizio del
suo stesso Vangelo (Gv1). Nel libro della Genesi il settimo
giorno è il riposo di Dio e dell’uomo, all’inizio del Vangelo di Giovanni il
settimo giorno è la celebrazione delle nozze di Cana (Gv 2,1ss). Il
settimo giorno di Gesù dopo la sua passione è l’attesa della
gloria della risurrezione che esploderà nell’ottavo giorno.
A Betania c’è un banchetto, non di lutto ma di gioia, poiché Lazzaro,
il morto vivo, è sentito presente nella piccola comunità. Ma
il clima di riconoscenza, che deve essere di reciproco dono,
diventa tempo di dissapori, lamentela, addirittura scandalo.
Maria, sorella di Lazzaro, prende un unguento costosissimo (poiché proviene da
un’erba aromatica che nasce sull’Himalaya al Nord dell’India e
viene trasportato in lunghissimi viaggi commerciali fino in
Israele.). Maria lo usa tutto, spezzando il vaso sigillato, e
versa il contenuto sui piedi di Gesù, asciugandoli poi con i capelli. È la
comunità cristiana che celebra e ringrazia. E poiché il testo
richiama “il libro della Scrittura: il Cantico dei Cantici”,
in controluce, questa donna, Maria, rappresenta la Chiesa, sposa
che riconosce nello Sposo fedeltà totale (“puro”). Perciò è male
impostata la critica di Giuda (ma anche altri discepoli la
pensavano allo stesso modo). Valutando il prezzo: 300 denari
(è lo stipendio di un anno di un lavoratore), Giuda ritiene sprecato il gesto
che poteva diventare danaro per l’elemosina e per i poveri.
Gesù difende, invece, il gesto della totalità e del dono e gli
dà diversi significati: anticipo della sua sepoltura ma anche,
inconsapevole per lei preannuncio della risurrezione. C’è
quindi, anche qui, il significato dell’elemosina da ripensare. L’elemosina non
è, fondamentalmente, un problema di danaro. Era stato detto
quando ci si rese conto di avere 5000 persone da sfamare in
una zona desertica (Mc 6,30-44; Matteo 14,13-21; Luca 9,10-17)
una prima volta, e 4000 persone un’altra volta (Marco 8,1-10; Matteo
15,32-39). I discepoli si preoccupano del bisogno, ritengono di non
avere alcuna possibilità di soluzione, ritengono che l’unica
via di uscita sia quello di “rimandare la gente e comperare”
(Marco 6,36; Matteo 14,15; Luca 9,12) e quantificano il bisogno in
danaro: “Non bastano neppure 200 denari per sfamare tutti” (Marco
6,37). Qui ritorna l’elemosina come danaro, ma Gesù, operando
il gesto dello spartire il pane, ricorda che l’elemosina è
soprattutto lo “spezzare il pane”, che indica condivisione, scelte, cammino
comune , qualità e non quantità: virgolette, mentre “moltiplicare il
pane” (e Gesù non lo ha fatto) rimanda al danaro e quindi
all’economia, alla roba, ai beni Il richiamo che “i poveri li
avete sempre con voi” (v 8) riporta alla presenza nel mondo
della responsabilità della comunità cristiana sui limiti, sulla ricerca delle
risorse, sul lavoro, sulla casa, sulla dignità di ciascuno,
nel rispetto di ogni uomo come figlio di Dio. Questo stile
allarga la speranza che alimenta il cuore delle persone che “credono in lui”
(v. 11). |