
Pasqua nella Resurrezione del Signore
8 aprile 2012 –
Giovanni 20,11-18
Riferimenti: Atti degli
Apostoli 1,1-8a Salmo 117 -
Corinti 15,3-10 a
Lodate il Signore, popoli tutti, voi
tutte, nazioni, dategli gloria; perché forte è il suo amore per
noi e la fedeltà del Signore dura in eterno. |
Atti degli Apostoli
1,1-8 a Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato
di tutto quello che Gesù fece e
insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu
assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni
agli apostoli che si era scelti per mezzo
dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi
vivo, dopo la sua passione, con molte prove,
durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando
delle cose riguardanti il regno di Dio.
Mentre si trovava a tavola con
essi, ordinò loro di non allontanarsi da
Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa
del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da
me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece,
tra non molti giorni, sarete battezzati in
Spirito Santo». Quelli dunque che erano con
lui gli domandavano: «Signore, è questo il
tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?».
Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o
momenti che il Padre ha riservato al suo potere,
ma riceverete la forza dallo
Spirito Santo che scenderà su di voi».
Tutto il testo degli Atti degli Apostoli vive in pienezza la
speranza di una fioritura splendida nel mondo
poiché la Comunità che si raccoglie attorno a Gesù sente con
gioia questa continua presenza del risorto.
Essa porta nel cuore l’esperienza della sua morte accettata con
amore per tutti e la speranza di poter avere,
tra le mani, un tesoro di pienezza e di novità che viene da
Dio e che è carico di bellezza e di chiarezze per il
mondo presente e futuro. Non a caso questo
testo si apre sulla celebrazione della Pasqua.
Abbiamo ancora gli occhi occupati dalle visioni di morte, di
crocifissi, di processi ingiusti, di accuse
infamanti, di derisioni. Questo contesto non ci apre alla
fiducia ma ci sembra l’esplosione di un male
onnipotente che travolge tutto. La
risurrezione, così discreta e senza pubblicità, affidata a
persone non molto credibili nella comunità
ebraica, a donne e a discepoli impauriti e disorientati, senza
cultura e senza posizioni sociali
ragguardevoli, è l’antidoto, è il deterrente di fronte al Male.
Veramente Dio, in Gesù, ha vinto la morte.
Perciò stiamo scoprendo il compito di questa comunità impaurita.
"Il perdono dei peccati e la conversione saranno
predicati a tutte le genti" (Lc 24,47). Questa
è la prospettiva con cui Luca, discepolo di Paolo, medico,
scrive i suoi due libri attorno all’anno 80
d.C.: il primo è il suo “Vangelo” su Gesù ed il secondo racconta
“gli Atti della sua comunità” che ha compiti
formidabili ed enormemente superiori alle proprie forze.
Il testo che abbiamo letto garantisce che compito e
regalo della risurrezione è la testimonianza
al mondo, con la presenza dello Spirito di Dio. Parte da
Gerusalemme, dono dello Spirito ai Dodici e
agli altri discepoli, raggiungerà la Samaria, la Siria (Antiochia),
l'Asia Minore, la Grecia e Roma, centro
dell'impero. Il testo si collega al passato e
all’esperienza della risurrezione. Tale passato però è legato al
presenze, dà significato al tempo che viviamo,
incoraggia sull’operosità e chiarisce anche stili
e itinerari. Infatti dal passato si eredita anche
l’idea del Regno che si rifà a Davide, alla
potenza ed alla autonomia di poteri militari. Con la
risurrezione sorgono, stranamente
immaginabile, una rivoluzione ed una migliore garanzia di
vittoria. Perciò l’occasione ingolosisce:
“«Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il Regno
per Israele?». “Non spetta a voi conoscere i
tempi ed i momenti”. La risurrezione ridimensiona anche i
progetti umani, i sogni di gloria, di potenza,
magari legati al trionfo di Cristo. Gesù non è venuto per
essere potente e a noi non chiede di emergere, ma di
essere ricchi dello Spirito di Dio e di
testimoniare. I nuovi luoghi sono la casa e il
banchetto: la quotidianità e la condivisione, lo stile di vita
semplice e la fiducia, la coerenza e il coraggio di
credere nel Padre che alimenta di forza il
nostro cammino. Viene ricordato anche il
numero 40 : tempo
dell’attesa, della purificazione, del ritorno al
Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle
sue promesse. E’ il tempo delle decisioni
mature. Nella Scrittura non
è un dato aritmetico ma biblico, un messaggio per
indicare un tempo opportuno di grazia:Noè
(nel diluvio
quaranta giorni e quaranta notti nell’arca, e
quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di toccare la
terraferma, salvata dalla distruzione: Gen
7,4. 12; 8,6); Isacco a quaranta anni decide di
costruirsi la sua famiglia; Mosè vive 120 anni,
scanditi in tre periodi di 40 anni: alla corte del
faraone, in fuga nel deserto, responsabile del
popolo che emigra; sul Sinai rimane con il Signore, quaranta
notti e quaranta giorni per accogliere la
Legge; il profeta Elia impiega quaranta giorni per
raggiungere l’Oreb, il monte dove incontra Dio
(1 Re 19,8); Giona predica e 40 sono i giorni durante i
quali i cittadini di Ninive fanno penitenza
per ottenere il perdono di Dio (Giona 3,4); Saul (At
13,21); Davide (2Sam 5,4-5) e
Salomone (1Re 11,41) regnano, ciascuno, 40 anni.
Anche per i rabbini 40 era
una cifra che indica un tirocinio completo. |
Corinti 15,3-10 a
A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho
ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati
secondo le Scritture e che
fu sepolto e che è risorto il terzo giorno
secondo le Scritture e che apparve a Cefa e
quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di
cinquecento fratelli in una sola volta: la
maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono
morti. Inoltre apparve a Giacomo, e
quindi a tutti gli apostoli.
Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un
aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli
apostoli e non sono degno di essere chiamato
apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di
Dio. Per grazia di Dio, però, sono
quello che sono, e la sua grazia in me non è stata
vana.
Nella prima lettera ai Corinzi, il capitolo 15º può
costituire, particolarmente, un piccolo
trattato sulla resurrezione della carne: dalla resurrezione di
Cristo e le sue prove (vv. 1-11) si passa alla
resurrezione dei fedeli a somiglianza di Cristo (vv. 11-34) e
quindi alla dimensione misteriosa di questa
vita nuova (vv. 35-58). Nel mondo greco è
difficile accettare la risurrezione del corpo perché viene
ritenuta impossibile e, comunque, il corpo è
indesiderabile. Il corpo è male, una prigione, una catena
contro la pienezza di vita. Il mondo greco arriva ad
accettare l’immortalità dell’anima. Paolo
immediatamente affronta la discussione e insiste che la
risurrezione di Gesù è una realtà centrale
della fede. Non si parla tanto di visioni personali, ma della
naturale consapevolezza della tradizione della
comunità cristiana, nata a Gerusalemme. La sintesi della fede
richiede tutti e tre gli elementi su Gesù,
dice Paolo, “così come li ho ricevuti”. “Cristo morì per i
nostri peccati secondo le Scritture, fu
sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture”.
Paolo porta le prove che costituiscono le
garanzie ufficiali e sono sei: “ Apparve a Pietro, ai 12, a più
di 500 fratelli, a Giacomo, a tutti gli apostoli e,
per ultimo, a lui stesso”. L’elenco non segue le
testimonianze dei Vangeli, ma fa riferimento a un
catalogo particolare, tanto è vero che manca,
qui, l’apparizione alle donne, e nei Vangeli manca l’apparizione
ai 500 fratelli. Quest’ultima ha un
particolare significato perché è coinvolgimento della Chiesa
stessa: la comunità, in senso pieno, apostoli
e fedeli, di cui la maggior parte, ancora vivente, potrebbe
essere interrogata. Ad un certo punto si fa
riferimento ai 12, ma per sé il numero dei 12 apostoli non
c’è più, mancando Giuda, e non è ancora stato
sostituito da Mattia (At 1,23-26). La
risurrezione ha una dimostrazione ancor più fondamentale perché
ha fatto cambiare vita ai molti a cui Gesù è
apparso ed ha sostenuto la loro fede, portandoli ad una
trasformazione coraggiosa e generosa,
nonostante i limiti e le paure. Dice Paolo: “L’ho verificato in
me, che pure ero persecutore della Chiesa di
Dio”. La risurrezione è stata la garanzia, il varco aperto
per la grazia e il Signore gli ha permesso di
faticare con fiducia nella missione delle comunità
in cui si è trovato ad operare. C’è
coscienza che la risurrezione è come l’inizio e l’avvio di una
speranza e di un annuncio che dissolve la
disperazione e apre finalmente il cammino verso il Padre,
attraverso Gesù, per tutto il mondo.
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Giovanni 20,11-18
Maria
invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e
piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide
due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e
l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.
Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?».
Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove
l’hanno posto». Detto questo, si voltò
indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù.
Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?».
Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse:
«Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io
andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!».
Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che
significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non
mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’
dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro,
Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad
annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le
aveva detto.
Plastico di tomba ebraica vista di fronte e in sezione longitudinale.
Nella figura a sinistra si noti la pietra di forma circolare che veniva rotolata
per chiudere la bassa entrata. Nella figura di destra sono visibili
il vestibolo e il sepolcro vero e proprio nella nicchia del quale veniva deposto
il corpo imbalsamato del defunto.
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S. Giovanni ha riflettuto lungamente sugli avvenimenti della
risurrezione poiché è stato uno dei protagonisti e, primo, tra
gli apostoli, insieme a Pietro, a verificare la tomba vuota. Così
Giovanni racconta quegli avvenimenti passati, unendo insieme anche le
esperienze dei primi testimoni, in questo caso, di Maria
Maddalena. “Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon
mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata
ribaltata dal sepolcro” (20,1). Ha avvisato due discepoli, con angoscia. Essi
hanno constatato i fatti e sono rincasati: Pietro perplesso e “il
discepolo che Gesù amava” credente. Ma poi
Maria è ritornata, ancora tormentata, alla tomba vuota e nessuno la poteva
aiutare a scoprire una verità diversa dalla morte. Non si
accorse della presenza degli angeli, o meglio, non seppe
interpretare il significato di questi personaggi insoliti: in bianche vesti,
seduti uno a capo ed uno ai piedi “dov’era stato posto il
corpo di Gesù”. Il dolore e la morte non permettevano di avere
nessun’altra prospettiva, né conoscenza, né intuizioni nuove. La morte
tolse ogni capacità di conoscere il mondo e i segni di Dio nel mondo.
Sia gli angeli che Gesù posero la stessa domanda: “Perché
piangi?” Gesù aggiunse alla domanda del “perché” anche quella
del “Chi cerchi?”. Maria non poteva se non cercare il cadavere di un morto, e su
quello continuò a interrogare con tutte le sue forze. Ella
sentiva dentro di sé il desiderio di compiere i riti della
sepoltura, di ungere il corpo del Signore, di stargli vicino con quella
commozione e con quella libertà che non avrebbe osato nella
vita. Se avesse trovato il cadavere, sarebbe stato tutto suo.
Avrebbe riconosciuto un Gesù steso morto, ma non lo riconobbe vivo. Questa
cecità di Maria si rifletterà più tardi in quella di Tommaso
(20,25). La domanda a Maria fu la stessa che Gesù ha posto
nell’orto degli ulivi a chi lo stava cercando: “Chi cercate?”.
(18,4.7). Qui, al sepolcro, attese di poter ascoltare la stessa risposta
di allora: “Gesù, il Nazareno”, per rispondere: “sono io”,
mostrando, in tal modo, la sua piena libertà e la sua
consapevolezza. Maria, tuttavia, non nominò Gesù e continuò a fare
riferimento solo al corpo. La domanda di Gesù pone
anche a noi molti interrogativi: “Che cosa cercate nel mondo
religioso, nella fede, nella preghiera? Cercate la vostra pace, le garanzie di
un vostro modo personale di vedere le cose, il vostro
tentativo di trasformare il mondo a proprio consumo, la
propria tranquillità?” Maria si sentì chiamare. E dentro di
lei, finalmente, accettò la richiesta fondamentale che la
Scrittura chiede ad ogni credente: “.Ascolta”. E’ a questo
punto che Maria può riconosce un mondo di vita che Gesù le dischiude. La fede,
infatti, inizia da un incontro particolare con il Signore che chiama
e che noi ascoltiamo. Non si esaurisce in contenuti
intellettuali, in generici valori, in abitudini “religiose”. E Maria rispose
con un: “Rabbunì”, che corrispondeva al “rabbi, maestro” ed aveva,
praticamente, lo stesso significato. E tuttavia questa parola,
unica in tutto il Nuovo Testamento, aveva anche il significato
di “Signore, Marito” e può essere il riferimento allo sposo ideale. Giovanni
infatti, in questo testo, continua ad avere in sottofondo il
racconto dei “Cantico dei Cantici”, a cominciare dal giardino,
dalla: “donna”, all’ascolto della voce dello sposo, al marito che si fa
presente. Giovanni costruisce qui il nuovo mondo
della Chiesa in cui Gesù è il Signore, lo sposo ritrovato
perché risorto, colui che entra nel mondo di Dio in pienezza.
Nel racconto di Giovanni il rapporto nuovo tra Cristo e il discepolo non è più
quello di stare con il maestro per imparare, ma quello di
sperimentare il coraggio di una vita piena e di annunciare la
novità di Gesù che tocca tutti coloro che credono in Lui e che formano, con lui,
la nuova grande famiglia di Dio. Con Gesù noi scopriamo l’esistenza,
la responsabilità di vivere e di annunciare la vita, persino
di fronte alla morte. Con Gesù noi costituiamo con tutti una
unità che ci fa figli del Padre e fratelli di Cristo. |