V
Domenica di Avvento
11 dicembre 2011
Giovanni. 1,19-27a. 15c. 27b- 28
Riferimenti : Isaia. 11,
1-10 - Salmo 97-Ebrei. 7, 14-17. 22. 25
Il Signore regna, esulti la
terra, gioiscano le isole tutte. Nubi e tenebre lo avvolgono,
giustizia e diritto sono la base del suo trono. Davanti a lui
cammina il fuoco e brucia tutt'intorno i suoi nemici. Le sue
folgori rischiarano il mondo: vede e sussulta la terra I monti
fondono come cera davanti al Signore, davanti al Signore di
tutta la terra. I cieli annunziano la sua giustizia e tutti i
popoli contemplano la sua gloria. Siano confusi tutti gli
adoratori di statue e chi si gloria dei propri idoli. Si
prostrino a lui tutti gli dei! Ascolta Sion e ne gioisce,
esultano le città di Giuda per i tuoi giudizi, Signore. Perché
tu sei, Signore, l'Altissimo su tutta la terra, tu sei eccelso
sopra tutti gli dei. Odiate il male, voi che amate il Signore:
lui che custodisce la vita dei suoi fedeli li strapperà dalle
mani degli empi. |
Isaia. 11, 1-10
In quei giorni. Isaia disse:Un germoglio spunterà dal tronco
di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si
poserà lo spirito del Signore, spirito di
sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di
fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si
compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le
apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma
giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per
gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della
sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà
l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e
la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme
con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il
vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo
fanciullo li guiderà La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i
loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di
paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della
vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente
velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in
tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore
riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. In quel
giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i
popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà
gloriosa.
Un grande segnale di pace ci viene dato dal profeta Isaia in
un periodo difficile e turbolento, in cui si scontrano la
potenza assira e i tentativi di piccoli regni attorno a
Gerusalemme per costituire un'alleanza e lottare contro il
grande impero. La dinastia di Davide (siamo attorno all'anno 735
a.C.) non è più forte come un tempo, né dà garanzie: non è "più
come un cedro del Libano”, ma ridotta ad un tronco reciso e
senza vita. Con questa prospettiva il profeta si rende conto che
nel popolo non c'è più fiducia e non c'è più speranza. Ma se
confida nel Signore, nel nome del Signore, garantisce che sta
iniziando un'era di pace, simile a quella che esisteva nel
paradiso terrestre, prima del peccato. Lo stesso inizio della
dinastia di Davide è sorto, come un virgulto, da una radice
insignificante, da Iesse, un umile pastore di
Betlemme. Eppure "la sua ombra copriva le montagne, e i suoi
rami i cedri più alti. Ha esteso i suoi tralci fino al mare,
arrivavano al fiume i suoi germogli" (Sal80,11-12). Così il
profeta traccia l'identità di un nuovo re, nel “libro
dell'Emanuele”. Attraverso lui Dio potrà compiere i suoi
progetti. Il capitolo 7 ne annuncia il concepimento, il c.9 ne
canta la nascita regale, il c.11 ne descrive
il regno. Davanti a questa rovina, mentre tutti ritengono di
ritrovarsi alla conclusione di una sconfitta irrisolvibile, il
profeta ricorda che Dio è fedele alla promessa, fatta per bocca
del profeta Natan (2 Sam 7). Sorgerà un virgulto da una radice
arida e riceverà sei doni offerti dallo Spirito del Signore,
elencati in tre coppie: - sapienza e intelligenza, -
consiglio e fortezza, - conoscenza e timore del Signore. Si
ripropongono qui le doti di Salomone, la saggezza di chi governa
con giustizia come Davide, la conoscenza e il rispetto di Dio
come la ricchezza di fede dei patriarchi. Egli garantirà la
capacità di giustizia su cui i poveri potranno appoggiare la
propria fiducia e si sentiranno sostenuti perché, quando verrà,
supererà l'oppressione attraverso "decisioni eque". Poiché
la sua potenza si manifesterà nella non-violenza, che
percuote il violento e le sue labbra elimineranno l'empio; nel
mondo, finalmente, resteranno la giustizia e la fedeltà. A
questo punto tutta la realtà sarà riconvertita alla pace. Si
ritornerà alla bellezza e all'armonia e il Signore sarà il
custode per tutto il popolo e per tutto il mondo. Non ci saranno
più violenza né spargimento di sangue né da parte degli umanità
né da parte degli animali. Questo cambiamento sarà una novità
tale da diventare "vessillo per i popoli, gloria ricercata con
ansia, dimora stabile e gloriosa". Tutto Israele si innalzerà
sul mondo come il grande segno del dono di Dio e della pace
|
Ebrei. 7, 14-17.
22. 25 Fratelli, È noto infatti che il Signore
nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè non
disse nulla riguardo al sacerdozio. Ciò risulta ancora più
evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchìsedek, un
sacerdote differente, il quale non è diventato tale secondo una
legge prescritta dagli uomini, ma per la
potenza di una vita indistruttibile. Gli è
resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote per sempre
secondo l’ordine di Melchìsedek. Per questo Gesù è diventato
garante di un’alleanza migliore. Inoltre, quelli sono diventati
sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di
durare a lungo. Egli invece, poiché resta per sempre, possiede
un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente
quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è
sempre vivo per intercedere a loro favore.
Molto probabilmente, tra i cristiani, a cui viene inviata
questa lettera, serpeggia una certa nostalgia verso il richiamo
al tempio e, in particolare, verso una categoria fondamentale
che è quella del sacerdozio. Nel rapporto con Dio i credenti
sentono, nella propria povertà, di avere bisogno di qualcuno che
faccia tramite tra il mondo di Dio e la propria pochezza. Tanto
più che si sono abituati a pensare che il
culto, supponendo regole molto precise e sofisticate, debba
pretendere segni, gesti, atti e parole indispensabili, Tutto
questo, insieme con le offerte, era ritenuto elemento necessario
per celebrare il culto di Dio e ricevere la sua benedizione.
Questa lettera, in pratica, dal capitolo 5,10 fino al capitolo
10,39 è un'omelia in cui si confrontano l'antico sacerdozio
levitico del tempio, povero, fatto di uomini peccatori e il
perfetto sacerdozio di Cristo. Il modello del sacerdozio di Gesù
si misura, dice l’autore, con la figura di Melchisedek, re di
Salem (Gerusalemme). Si basa su due passi biblici:
Gen14,17-20 e Salmo 110,4. Gen14,17-20:
"Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaòmer e
dei re che erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro
nella valle di Save, cioè la valle del Re. Intanto Melchisedek,
re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo
e benedisse Abram con queste parole: “Benedetto Abram dal Dio
altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il
Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Ed egli
(Abramo) diede a lui la decima di tutto".
Questo semplicissimo episodio diventa un segnale preziosissimo
se unito al testo del Salmo 110,4: "Il Signore ha giurato e non
si pente: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek».
Il re di Salem, Melchisedek, adora Dio. Il re porta un nome
fenicio e lo stesso nome del suo dio è’El ‘Elyon, nome fenicio
che attribuito al Dio d’Israele viene tradotto con “il Dio
Altissimo (soprattutto nei salmi). Melchisedek, con la sua breve
e misteriosa comparsa, è ricordato come il re di Gerusalemme
dove Dio abita secondo la tradizione ebraica. Nel Salmo 110,4 il
re Melchisedek è considerato un anticipo della figura di Davide
e, a sua volta, una figura del Messia, re e sacerdote. La
tradizione patristica ha sfruttato e arricchito questa esegesi
allegorica, vedendo nel pane e nel vino portati ad Abramo una
figura dell’eucaristia, e anche un vero sacrificio,
interpretazione accolta nel Canone della Messa. Melchisedek è
costituito, perciò, sacerdote dalla Parola di Dio attraverso un
giuramento inviolabile (Salmo 110,4). In tal modo risulta che
egli è re e sacerdote, con una dignità più grande di quella di
Abramo, tanto da ricevere da costui la decima e molti doni di
riconoscimento e di grandezza. La mediazione di Gesù porta alla
piena realizzazione della figura di Melchisedek: Gesù è la
salvezza totale perché è "perfetto" agli occhi di Dio. Infatti,
con la sua ubbidienza, è stato cosciente e fedele alla volontà
del Padre fino alla morte. Egli aiuta tutti coloro che si fidano
di lui, diverso dai sacerdoti terreni, soggetti a debolezza.
Gesù è, in tal modo, mediatore e sommo sacerdote perfetto, che
garantisce un rapporto completo nella comunione con il Padre, e,
nello stesso tempo, è il garante dei doni che il Padre desidera
offrire all'umanità salvata. Gesù, assommando in sé la regalità
e il sacerdozio, porta al livello più alto la misericordia (non
offrirà più altri sacrifici poiché ha offerto la propria vita),
è re e sarà eterno. Con una raffinata esegesi della figura di
Melchisedek, che viene ricordato “senza padre e senza
genealogia” (Ebr7,3), Cristo è messia e mediatore oltre il tempo
e quindi speranza per tutti. |
Giovanni. 1,19-27a. 15c. 27b- 28
In
quel tempo. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono
da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò
e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei,
dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No»,
rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a
coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono
voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come
disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.
Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il
Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo
nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo
di me: 15c ed era prima di me: 27b a lui io non sono degno di slegare il laccio
del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni
stava battezzando.
I primi versetti del Vangelo di Giovanni (vv 1-18) costituiscono come un
grande portale al suo racconto della vita di Gesù e apre su visioni splendide e
inimmaginabili. Vi si afferma che Gesù è il Verbo, la Parola di Dio, la Sapienza
di Dio che crea il mondo. Tutto il Vangelo è posto in questa prospettiva sotto
il segno della rivelazione di Dio. E quindi l’evangelista Giovanni si, passo
passo, asviluppare il cammino di Gesù adulto nel suo popolo, iniziando dalla
testimonianza di Giovanni Battista. L’apparizione sulla scena della
Giudea avviene attraverso i due personaggi fondamentali di questa avventura di
Dio tra gli uomini: prima Giovanni il Battista,
che ormai è consapevole di un
ruolo poderoso e insieme discreto di presentatore che prepara
ad accogliere lo sconosciuto che sta per venire. poi Gesù, che si introduce via
via nel suo compito di annunciatore pieno del Regno.
Il testo che leggiamo è
solo la prima parte di un interrogatorio ufficiale tra una delegazione inviata
da Gerusalemme, genericamente detta dei “giudei”, costituita da sacerdoti
esperti della legge e dai leviti, custodi, sorveglianti,
guardie e responsabili del tempio. Giovanni risponde con chiarezza, in termini
negativi: “Non sono” ripetuto tre volte a quelle domande che
rappresentavano la sintesi della loro paura e sospetto. E si contrappongono
invece alla rivelazione di Gesù che dirà: “Io sono, io sono la vita, io sono
l’acqua viva eccetera”. Più avanti si parla dei farisei. Essi non richiamano
tanto gli abitanti della Giudea ma, secondo il linguaggio di Giovanni
Evangelista, sono la classe dirigente ebraica, rispettosissima delle infinite
sfumature della legge, che si contrappone a Gesù. Siamo ad una delle tante
verifiche dei sommi sacerdoti e dei leviti. Essi chiedono spiegazioni della vera
identità di Giovanni il Battista per scorgere il suo stile, i suoi progetti, la
coscienza di sé. I precisi interrogativi percorrono tutto l’arco delle attese e
dei sogni legati alla speranza, tratti dalla Scrittura e dalle
credenze popolari. - “Sei tu il Messia?” per misurare il pericolo di un
conflitto con la dominazione romana. - “Sei tu Elia?” per scoprire strategie di
preparazioni messianiche. Era diffusa la credenza che Elia, rapito in cielo su
un carro di fuoco, sarebbe ritornato prima del giorno del Signore (2Re,2,11). E
Gesù stesso confermerà la dignità del Battista come il vero Elia (Mc9,11-13).
- “Sei tu il profeta?” per scoprire il fanatismo di voler
assomigliare a Mosè. (Deut 18,15-18). È l'autorità religiosa che si muove e,
preoccupata, chiede ripetutamente. Il Battista è molto coerente, molto preciso,
molto umile. Garantisce, come qualcuno immaginava, di non essere il Cristo, né
il profeta, né Elia. Egli dice: “Io sono solo una voce”. E una
voce crea qualche eco nel cuore di chi vuole percepirla, ma poi la voce
sparisce. Eppure egli ha coscienza di essere testimone, prezioso, consapevole,
perché attento alla volontà di Dio e quindi portatore di un
tempo e di una mentalità nuova. Gli contestano che il gesto del battesimo è un
gesto per gli ultimi tempi, altissimo, rivoluzionario. Ma
Giovanni riconduce il battesimo ad un semplice rito di purificazione e di
aggregazione nel suo gruppo: non è il battesimo che conta, ma la lunga ed
esigente, oltreché impegnativa e, spesso, durissima catechesi che deve portare
ad una coscienza nuova e ad una conversione vera di cuore. La testimonianza di
Giovanni, tuttavia, garantisce, che già c’è, nascosta, una presenza tra loro
nuova: misteriosa, per ora oscura, portatrice di novità
impensabili. Qualcuno che supera il tempo, e che conclude, finalmente,
l’incontro sponsale con Israele. Le promesse di Dio, finalmente, si stanno
compiendo. Qui il matrimonio è adombrato da quell’enigmatico: "Non sono degno di
slegare il laccio del sandalo". Togliere il sandalo, nel linguaggio d’Israele,
significa il diritto di sposare una donna che spettava ad un altro (Deut
25,5-10). Giovanni il Battista riconosce di non avere nessun diritto di
ritenersi sposo di Israele perché lo sposo già c’è, e sta per venire. Egli è
colui che porterà il fuoco sulla terra, la purificazione vera, il cambiamento,
la novità. Chi è Gesù per me? E che cosa faccio per scoprirlo, interpretarlo,
seguirlo?
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