
Ultima Domenica dopo l’Epifania
"del perdono"
19 febbraio 2012
Luca. 18,9-14
Riferimenti : Luca. 18,9-14Isaia. 54, 5-10 - Salmo 129 -
Romani. 14, 9-13
Dalla giovinezza molto mi hanno
perseguitato, - lo dica Israele - dalla giovinezza molto mi
hanno perseguitato, ma non hanno prevalso. Sul mio dorso hanno
arato gli aratori, hanno fatto lunghi solchi. Il Signore è
giusto: ha spezzato il giogo degli empi. Siano confusi e volgano
le spalle quanti odiano Sion. Siano come l'erba dei tetti: prima
che sia strappata, dissecca; non se ne riempie la mano il
mietitore, né il grembo chi raccoglie covoni. I passanti non
possono dire: "La benedizione del Signore sia su di voi, vi
benediciamo nel nome del Signore". |
In quei
giorni. Isaia disse:Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli
eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è
chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con
l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse
ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio. Per
un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con
immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un
poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te,
dice il tuo redentore, il Signore. Ora è per me come ai giorni
di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di
Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di
non più minacciarti. Anche se i monti si spostassero e i colli
vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né
vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa
misericordia.
L'esilio è il punto di riferimento fondamentale e
drammatico per l'esperienza di Israele: ha segnato il crollo di
tutte le istituzioni, della propria coesione, del regno, di
Gerusalemme e del tempio. Perciò questo popolo vive, nello
stesso tempo, nella delusione e nella nostalgia, ma senza
nessuna prospettiva sul futuro. Il profeta ha invece grandi
sogni e già nel capitolo 52 incoraggia dicendo: "Rivestiti della
tua magnificenza" ossia "Gerusalemme, indossa le vesti più
splendide" (52,1). La promessa è per un prossimo riscatto che il
Signore è capace di fare senza danaro (52,2) e "il mio popolo
conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo:
«eccomi»" (52,6). testi successivi aprono la rivelazione di un
misterioso "servo di Dio" (capp 52- 53). Nel capitolo 54 viene
ripreso con chiarezza l'invito di speranza di Dio e del profeta
a questo popolo, nessun futuro, rassegnato e angosciato. Come
garanzia, Dio dice e svela il suo nome (che qui sono tanti): "Il
tuo creatore, il Signore degli eserciti, il redentore, Santo di
Israele, Dio di tutta la terra, ma soprattutto sposo" (54,5). Il
Signore dà garanzie: la donna che è stata abbandonata avrà
ancora più figli della donna sposata, la desolazione di questo
popolo vinto scomparirà all'invito di Dio: "Allarga lo spazio
della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio,
allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti perché ti
allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza
possiederà le nazioni" (54,2-3). Continuano ad essere riprese le
immagini del tempo dell'Esodo: è un popolo di pastori, nomade e
quindi le immagini che si susseguono sono quelle del tempo della
liberazione dall’Egitto, quando un popolo, nella sua gioventù,
si sposa con il suo Dio Liberatore, nel deserto. il profeta
tende a ricostruire una semplice teologia della storia dove gli
avvenimenti di Israele sono rilevati. All'inizio ci sono
l'abbandono della legge di Dio e quindi la desolazione, pur
nella presenza di Dio che ama profondamente. Ma poi l'annuncio
del profeta garantisce nell'oggi l'amore verso il popolo che
smuove gli ostacolo, l'attenzione a riscattarlo, la prospettiva
del benessere (verranno le nazioni), e della ricchezza di vita
(v 2) e quindi un giuramento che Dio fa a questo popolo per
incoraggiarlo: "Giuro di non più adirarmi con te e di non più
minacciarti"(54,9). Dio fa un giuramento e lo ricollega
all'impegno preso con Noè con cui ha mantenuto la parola. Il
popolo sa verificare che effettivamente, dopo il diluvio, non è
più avvenuta nessuna inondazione che abbia sommerso il mondo.
Così il mondo ha continuato a crescere e si è sviluppato in
pace. Il testo è ricco di speranza, e tuttavia la storia di
Israele manifesta tempi drammatici. Giovanni Battista e Gesù
diranno allora che la fedeltà del Signore è importante, ma se
non ci si gioca in una fedeltà anche da parte nostra, la
tragedia avverrà ugualmente perché è procurata da noi. Dio non
ripudia ma vanno smantellate le sicurezze che ciascuno crede
d'aver raggiunto, manipolando la realtà o interpretandola solo
come ubbidienza formale, legata a gesti di ossequio anche
pesanti alla legge che li illuse e ma che tuttavia non
ricostituiva nel cuore la fiducia nella novità di Dio e la sua
misericordia. In questa prospettiva si può rileggere la
predicazione di Gesù stesso e quindi il suo rifiuto a
intravedere nella legge una garanzia senza misericordia, Nel suo
ricordare continuamente il credente deve poter accogliere la
paternità di Dio e maturarla nella volontà di Dio. Gli ebrei si
sentirono garantiti dalla parola del profeta e immaginarono che
la salvezza potesse essere presente automaticamente. Così si
prepararono con le proprie mani la tragedia e comunque la
certezza che Gerusalemme non sarebbe stata presa. Eppure crollò
negli anni 70 d.C.,proprio con i Romani in una totale
distruzione. Gesù stesso insistette quando gli riferirono di
alcuni Galilei che Pilato aveva fatto giustiziare:: "Se non vi
convertite, perirete tutti allo stesso modo".(Luca 13,3). |
Romani. 14, 9-13
Fratelli, Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla
vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. Ma tu, perché
giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo
fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio,
perché sta scritto: Io vivo, dice il Signore: ogni ginocchio si
piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. Quindi
ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. D’ora in poi
non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo
di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello.
San Paolo si preoccupa, negli ultimi capitoli della sua
"lettera ai romani", di affrontare alcuni problemi concreti che
egli sta probabilmente verificando anche a Corinto da cui
scrive. È una situazione, questa, che può portare
disorientamento e lacerazioni all'interno della comunità
cristiana: quella cioè della convivenza tra persone che
provengono dal giudaismo e dal paganesimo. Le prime sono spesso
ancora cariche di quella esperienza e di quell'abitudine
religiosa che fa selezionare i cibi o i giorni, preoccupandosi
degli alimenti puri o impuri; le altre persone, provenienti dal
paganesimo,invece, non se ne preoccupano affatto perché non
hanno nella propria tradizione una esperienza di selezione tra
puro e impuro. Questo capitolo inizia così: "Accogliete tra di
voi chi è debole nella fede senza discuterne le esitazioni”
(14,1). Paolo dice che ci sono persone che hanno una fede
debole, vivono con scrupolo il nuovo atteggiamento e la nuova
predicazione e comunque sono portati a giudicare gli altri che
non si preoccupano della purezza o meno dei cibi che mangiano.
Quelli che invece si sono fatti una convinzione più profonda e
più matura della fede superano queste preoccupazioni e si
orientano profondamente verso Cristo e la sua volontà, ma
rischiano di considerare infantili i loro fratelli e sorelle che
invece mantengono alcuni costumi giudaici. L'apostolo sottolinea
il principio della sottomissione dell'appartenenza a Cristo.
"Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno di noi muore per se
stesso; se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo
per il Signore" (14,7). Paolo ricorda che siamo del Signore e
che Gesù morì e risuscitò per noi. Ci ha riscattati, ci ha
comperato con il suo sangue e questa padronanza che Egli ha
conquistato ci porta al suo stesso criterio di attenzione e di
amore. Secondo il suo sacrificio la vita cristiana consiste nel
non giudicare ma nello sviluppare una carità reciproca di
attenzione e di accoglienza. Né il debole può giudicare e
condannare il forte né la persona forte può disprezzare il
debole. Solo Gesù è il giudice supremo. Solo Lui può esaminarci
nell'ultimo giudizio e solo lui è capace di saper analizzare la
nostra fede e i nostri errori. Così il clima della comunità
cristiana deve essere un clima di accoglienza, di fiducia
reciproca, di rispetto. E se questo vale nei riguardi della
fede, una comunità ci sente accogliente e forte per rispettare i
valori che Dio pone nella vita di ciascuno. Infatti una comunità
cristiana vive con amore, ma è anche testimone responsabile di
un mondo che ha bisogno di generosità, di gratuità, di
attenzione e di fiducia reciproca
|
Luca. 18,9-14
In
quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano
l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini
salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo,
stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come
gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano.
Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi
al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato,
perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Gesù si esprime spesso in parabole poiché, per lui, l’esemplificazione della
vita quotidiana diventa un vero registro di comprensione e di moralità. Esse
permettono, attraverso i gesti quotidiani totalmente comprensibili, di
intravedere le nuove linee che Gesù suggerisce nei riguardi del Padre, del
Regno, di Lui stesso. Mentre il racconto, d’altra parte, è comprensibile, le
conclusioni, spesso, procurano un profondo disorientamento perché non
necessariamente la parabola corrisponde al nostro buon senso. Ma la parabola,
molto facilmente, spiazza le attese e confonde i normali criteri di giudizio.
L’ascoltatore di Gesù non deve certo dimenticare quello che il Signore dice: “i
miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is
55,8), ma da un personaggio così concreto, un rabbi, un maestro, uomo tra uomini
non ci si può aspettare questa straordinaria novità. Così pensano i suoi
interlocutori che, spesso, lo rifiutano. Questa parabola, detta del “fariseo e
del pubblicano”, fa parte di quelle sconcertanti novità che Gesù porta poiché
sembra scalzare completamente i criteri della giustizia e criteri della coerenza
etica. Il fariseo è un uomo di grande fede e di coraggiosa attenzione morale:
digiuna due volte la settimana: il lunedì e il giovedì; tende a riparare i
peccati degli altri e a intercedere per il popolo per ricevere le benedizioni di
Dio. Un normale ebreo credente è, invece, impegnato, secondo la legge, al
digiuno una volta all’anno. Il fariseo si preoccupa di pagare la tassa al
tempio, la decima di tutto quello che acquista: grano, vino, olio, il
primogenito del gregge e si preoccupa anche di pagare la tassa al posto dei
contadini i quali, spesso, nella loro povertà, si fanno furbi e non adempiono
all’obbligo; così il fariseo paga la decima anche per gli altri, di tasca
propria, ogni volta che acquista un prodotto. In tal modo può dire al Signore:
“Molti sono disonesti ma, Signore, non prendertela; molti sono bravi come me”.
Il fariseo è un buon religioso, si sente a suo agio davanti a Dio, prega in
piedi con grande dignità ed è orgoglioso del tanto bene che compie. Il
pubblicano teme il Signore ed ha paura. Sa di non comportarsi bene, sa di non
essere degno di pregare, sa che è impossibile per lui la salvezza perché
collabora con i romani che sono oppressori del popolo di Dio; le tasse che esige
sono sempre molto più alte rispetto a quello che i contribuenti dovrebbero
pagare e non difficilmente usa la forza dei militari che ha sempre con sé per
obbligare e per difendersi. Se volesse convertirsi secondo la legge, dovrebbe
restituire tutto quello che ha rubato, aggiungendovi il 20% di interessi e
abbandonare immediatamente la sua infame professione. Poiché tutto questo è
impossibile per lui, i rabbini affermano che per i pubblicani la salvezza è
impossibile. Questi sono i due personaggi di cui parla Gesù ai discepoli: siamo
infatti in un contesto di spiegazione non aperto alla folla che può benissimo
non accettare. Gesù parla ai discepoli che si fidano di Lui e hanno deciso di
seguirlo. Perciò queste fanno parte delle linee fondamentali di vita che i
discepoli debbono accogliere e maturare dentro di sé. La conclusione è
sconcertante perché il pubblicano è reso giusto da Dio: ha infatti riconosciuto
di non essere all’altezza, e l’unica speranza che resta è la misericordia del
Signore; non ha altre soluzioni da presentare. Il fariseo ritorna a casa come è
avvenuto: con tutte le sue opere buone, con il suo orgoglio di persona onesta,
con la sua consapevolezza di poter giudicare tutti e il mondo peggiori di lui,
con la sicurezza di essere stato ascoltato da Dio. Ma il Signore non lo
giustifica, non lo rende giusto. Il fariseo è un ingenuo che crede d’aver capito
tutto di Dio. Ha rispetto della Legge, ma non ha scoperto la misericordia del
Signore e quindi non sa di aver bisogno di Dio per camminare nella giustizia. Il
pubblicano, che non è un modello di vita virtuosa, è il povero che è sa di
offrire a Dio solo la consapevolezza di essere disonesto e peccatore ma è il
povero che sa di potersi e doversi fidare di Dio. Non sulle opere buone può
contare ma solo sulla gratuità. La parabola che Luca racconta è chiaramente
rivolta allo stile di una comunità cristiana: c’è il pericolo per i buoni di
sentirsi migliori degli altri, di chiudersi nella propria onestà e di
disprezzare. C’è il pericolo di lacerare la comunità cristiana tra i giusti e
disonesti, e perciò incapace di accogliersi, incapace di scoprire i valori delle
cose belle che ciascuno porta, incapace di pensare che Dio si occupa di tutti.
Il fariseo, in fondo, onesto nel suo comportamento, ha sequestrato Dio per sé a
e immagina che il Signore, come lui, abbia schifo dei peccatori. Questa parabola
pone grossi problemi nei nostri giudizi verso le persone. Questo non significa
che dobbiamo dire che ogni persona, comunque, si comporta in modo onesto e
serio. Ogni persona, qualunque cosa faccia, ha la responsabilità di fare quello
che è giusto. Ma questo ci dice che dobbiamo saper seriamente analizzare la
realtà e saper individuare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato agli occhi di
Dio, ciò che vale e ciò che non vale. Ma non possiamo fare un salto qualitativo
e giudicare la persona come abbiamo giudicato i suoi gesti. Ogni persona è un
mistero e solo Dio sa leggere questo mistero. A noi, dice Gesù, spetta di vedere
il bene e di amarlo, ma anche di accogliere, di portare pace, di individuare
ciascuno come persona che merita attenzione. Perlomeno almeno persone per cui si
prega con amore. |