
PRIMA DI QUARESIMA
26 FEBBRAIO 2012 Matteo 4,1-11
Riferimenti - Isaia 57,21 -58,4 - Salmo 50 - 2Corinzi 4,16 - 5,9
Parla il Signore, Dio degli dei, convoca la
terra da oriente a occidente. Da Sion, splendore di bellezza,
Dio rifulge. Viene il nostro Dio e non sta in silenzio; davanti
a lui un fuoco divorante, intorno a lui si scatena la tempesta.
Convoca il cielo dall'alto e la terra al giudizio del suo
popolo: "Davanti a me riunite i miei fedeli, che hanno sancito
con me l'alleanza offrendo un sacrificio". Il cielo annunzi la
sua giustizia, Dio è il giudice. "Ascolta, popolo mio, voglio
parlare, testimonierò contro di te, Israele: Io sono Dio, il tuo
Dio. Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici; i tuoi olocausti mi
stanno sempre davanti. Non prenderò giovenchi dalla tua casa, né
capri dai tuoi recinti.
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Isaia 57,21 -58,4
In quei giorni. Disse Isaia: Così parla
l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è
santo. «In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con
gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli
umili e rianimare il cuore degli
oppressi. Poiché io non voglio contendere sempre né per sempre
essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito
e il soffio vitale che ho creato. Per l’iniquità della sua
avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e
sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade
del suo cuore. Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo
e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti io pongo sulle
labbra: “Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e
io li guarirò”». I malvagi sono come un mare agitato, che non
può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. «Non c’è
pace per i malvagi», dice il mio Dio. Grida a squarciagola, non
avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio
popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. Mi
cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un
popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il
diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la
vicinanza di Dio: «Perché digiunare, se tu non lo vedi,
mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro
digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai.
Ecco, voi digiunate fra litigi e
alterchi.”
Abbiamo letto un testo che fa parte dell'ultimo Isaia (lo si
chiama" terzo Isaia ") che scrive i capitoli 56-66 nel secolo
sesto-quinto a.C., durante il periodo della ricostruzione di
Gerusalemme, in seguito al ritorno da Babilonia. Viene posto qui
il primo annuncio della salvezza che Dio fa a questo popolo,
volendo dare un sostegno ed una verifica
all'opera che Neemia sta compiendo: - il tempo dell'ira è
finito: Dio garantisce la sua presenza sia su Gerusalemme sia
con gli oppressi e gli umiliati (vv 16-17); - Dio guarisce e
consola il suo popolo (vv 18-19); - vengono esclusi dalla
promessa gli empi (vv 20-21). Il popolo però si lamenta e il
Signore si preoccupa anche di rispondere alle lagnanze contro di
Lui: “Cii mortifichiamo, digiuniamo, ma
abbiamo tutta l'impressione che questo non serva a niente”. Il
popolo insiste perché vuole conoscere le vie di Dio come se
fosse un popolo che ami la giustizia e riconosca la legge del
Signore. È un popolo che chiede giudizi giusti, che brama la
vicinanza di Dio, ma rimprovera Dio che non si
fa sentire, non si fa vedere, lo tratta in modo ingiusto. Perciò
non mantiene le promesse e tutti si sentono abbandonati.
Attraverso il profeta Dio risponde, e la risposta viene data nel
cap. 58 di cui leggiamo, quest'oggi, solo l'inizio. E'un
messaggio splendido, di un Dio irritato e generoso, desideroso
di cambiamenti e di conversione, che vuole che il suo popolo
viva nella pace e nella responsabilità. Perciò, Dio dice al suo
profeta: "Grida a squarciagola, non avere riguardo" (58,1). Dio
si allontana da questo popolo perché questo popolo non vuol
riconoscere i delitti di cui continuamente si macchia e sono
delitti di ordine sociale: l'ossessione degli affari e quindi la
preoccupazione prima è del profitto per il profitto. Così causa
litigi all'infinito, lotte furibonde e violente, sfruttamento
del lavoro dei dipendenti: "Voi angariate tutti i vostri operai"
(v 3). In tal modo il giorno del digiuno non risulta il giorno
del riconoscimento di Dio, della sua attenzione verso poveri,
della sua generosità verso chi soffre. Il giorno del digiuno
diventa giorno dello sfruttamento, del progetto del maggior
danaro, della lite, della guerra per moltiplicare i propri
interessi ma anche il numero dei poveri. Questa riflessione,
oltrepassando la situazione che tocca il mondo di Isaia,
chiarisce le dimensioni religiose della vita. Non si può slegare
il culto dalla vita quotidiana, tra obbedienza al volere di Dio
e la responsabilità di fronte alla povertà e all'ingiustizia;
non si può pretendere un incontro di benevolenza di Dio quando
si sfruttano le realtà povere. Gesù dirà che
non esiste compromesso tra Dio e il danaro (Mt 6,24). Oggi, noi
ci ritroviamo esattamente allo stesso problema. Se è vero che
nella comunità civile è maturata una certa attenzione alle
persone più povere e alla realtà marginale e se è vero che, per
alcuni versi, si è fatta strada e si è
intravisto un impegno più globale, nei decenni passati, con lo
Stato sociale (Welfare), oggi la società civile ha bisogno di
letture più ampie, più coraggiose e generose. Deve ripensare,
nella globalizzazione, non allo sfruttamento delle situazioni
più marginali come depredare il terzo mondo delle
materie prime a poco prezzo, o inquinare il mondo
degli altri proteggendo il proprio o sfruttare il lavoro meno
pagato o il lavoro nero dei poveri. I credenti, che leggono la
Scrittura, ancor più sono chiamati, in prima persona, a rendere
conto a Dio di ciò che compiono come lievito nel mondo. Essi
vivono ogni giorno, ma secondo la volontà di Dio debbono
verificare come utilizzare il proprio danaro, come sviluppare
una sobrietà e una responsabilità sul mondo, come si è attenti
perché ognuno viva con dignità la propria vita (Bene Comune).
Nei versetti successivi di questo capitolo si parla anche più
concretamente della liberazione degli oppressi ("libera
dall'oppressione, sciogli le catene inique, togli i legami del
giogo, rimanda liberi gli oppressi, spezza ogni giogo"), e si
parla di solidarietà con i bisognosi. Con molto interesse, la
liturgia fa iniziare il tempo quaresimale con questo testo di
Isaia: la nostra religiosità incontra il Dio della liberazione,
il Dio della speranza, il Dio che difende la dignità del povero.
Diversi atti di culto dovrebbero orientarci verso questo tempo
di pace, di attenzione e di rispetto. A questo punto, ci
dovremmo ricordare di richiamare la gratuità, e che il vero
segno della fede nasce dal rispetto dell'altro, dalla volontà di
fare al meglio il proprio lavoro, dal condividere la ricchezza e
la competenza che possediamo. Proprio prima della comunione, “in
ogni messa viene spezzato il pane”, che è il gesto di Gesù,
richiamo alla sua morte. Ma è anche il gesto della famiglia,
della gratuità, della pace. Il gesto, che simbolicamente viene
compiuto in chiesa, concretamente va riproposto dalla vita. |
2Corinzi 4,16 - 5,9
Fratelli, anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo,
quello interiore invece si
rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso
della nostra tribolazione ci procura una
quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo
sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le
cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono
eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra
dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio
un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna,
nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi
gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra
abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. 4In
realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo
come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma
rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla
vita. 5E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha
dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre pieni di fiducia e
sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo
nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –,
8siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo
e abitare presso il Signore. 9Perciò, sia abitando
nel corpo sia andando in esilio,
ci sforziamo di essere a lui graditi”.
Questa lettera manifesta una
forte tensione nei rapporti che Paolo ha con alcuni che fanno
parte della comunità di Corinto. Ci sono, infatti, alcuni
provocatori che suscitano agitazioni, discordie e, in
particolare, critiche e malumori verso l'opera di Paolo.
L'apostolo, dopo tanti disagi e tanta fatica, comincia ad
accorgersi che gli vengono meno le forze. Così
egli fa una coraggiosa riflessione sulla sua dimensione
spirituale e sulla sua condizione umana. Il corpo si va
disfacendo e tuttavia crescono in lui una fiducia grande e una
fede profonda poiché il suo mondo interiore "si rinnova di
giorno in giorno." In questo testo si ritrovano molte
contrapposizioni che fanno intravedere la lucidità ma
anche la cultura che sostiene Paolo nella evangelizzazione.
Inizia dalla “dimensione corporale dell'uomo esteriore e la
ricchezza dell'uomo interiore”, continua con "il peso della
nostra tribolazione e la quantità smisurata di Gloria", “le cose
visibili e quelle invisibili”, “la
dimora terrena che è la tenda e le dimore eterne”, la “vita di
qui e la vita nella risurrezione”, “le realtà di un momento e le
realtà eterne", “la patria e l'esilio”. “Camminare nella fede e
camminare nella visione”, “camminare e abitare presso il
Signore”, “la nudità che è il rischio di una vita che si
presenta a Dio a mani vuote e il vestito della
generosità” che riceve il rivestimento della vita eterna. Non va
dimenticato che il mondo ebraico riconosce una grande importanza
al vestito poiché esso segnala ed offre il significato e la
dignità di una persona. Il vestito ci fa diversi,
mentre la nudità ci mette tutti sullo stesso piano. Il desiderio
di Paolo è quello di essere con il Signore, superando perfino la
ripugnanza della morte perché questa libera dall'esilio. Paolo è
desideroso di restare sempre unito al Signore per poter fare la
sua volontà ed essere a lui gradito, sia
vivendo in questa vita, sia entrando nella gloria. Così, pur,
preferendo di potersi unire a Dio nelle dimore eterne, accetta
la volontà di Dio di mettersi a disposizione in questa vita
nelle sue comunità finché il Signore vorrà. Così infatti vuole
il Signore. Paolo si mostra profondamente umano e insieme
profondamente sapiente . Egli accetta la volontà di Dio, pur
nella fatica di una età ormai avanzata, poiché gli chiede di
annunciare Gesù e di costituire delle comunità che lo conoscano.
Paolo comprende la sua vocazione e non la scambierebbe con
nessuna altra prospettiva; è grato della sua missione e
ringrazia nuovamente il Signore che gli ha permesso di vivere
una libertà nuova, annunciando la legge di
Gesù e superando qualunque altra posizione, diventata
invivibile. Noi credenti dovremmo sentirci profondamente grati
al Signore della fede che ci ha dato e degli orizzonti che ci ha
aperto. Non dovremo mai dimenticare che la Parola del Signore è
venuta tra noi per renderci liberi e gioiosi della vicinanza del
Padre.
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Matteo 4,1-11
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal
diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il
tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che
questi sassi diventino pane". Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane
vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Allora il diavolo
lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli
disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli
darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché
non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede". Gesù gli rispose: "Sta scritto
anche: Non tentare il Signore Dio tuo". Di nuovo il diavolo lo condusse con sé
sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria
e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". Ma
Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a
lui solo rendi culto". Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si
accostarono e lo servivano.

L’esperienza che Gesù fa, dopo il suo battesimo, prima di iniziare l’annuncio
del Regno, è raccontata dagli evangelisti come un drammatico incontro-scontro
tra le forze del male e l’obbedienza al Padre. Di fatto tutto il testo è molto
costruito e utilizza immagini bibliche, particolarmente legate all’esperienza
dell’Esodo (uscita dall’Egitto del popolo liberato) che si è
svolto in una peregrinazione di 40 anni. Qui l’esperienza di Gesù nel deserto
dura 40 giorni. Il numero 40 rappresenta tutta l’esperienza della vita: 40 anni
erano considerati la durata di una generazione, 40 giorni una esperienza di vita
che porta ad una soluzione terminale di novità: la
liberazione, l’ascensione di Gesù al cielo (40 giorni dopo la risurrezione).
Così questo testo è fondamentalmente una riflessione teologica e non un brano di
cronaca e le tre tentazioni misurano, in un certo senso, tutta la lotta e la
fatica che Gesù ha dovuto affrontare per restare fedele al Padre
nella sua vita e, in particolare, nel periodo dell’annuncio del
Regno. La prima tentazione è quella di assolutizzare le cose fino a farle
diventare senso e termine della propria vita. Il Signore aveva offerto la manna,
aveva garantito la raccolta giorno per giorno, ma l’ingordigia e la insicurezza
hanno indotto ad intercettare una misura maggiore di raccolta, con il risultato
che il giorno dopo si sono trovati i contenitori pieni di vermi. Esiste quindi
una differenza tra la sobrietà e l’avidità: la sobrietà ridimensiona le cose e
le fa servire, l’avidità fa diventare ciò di cui abbiamo bisogno un idolo, come
il vitello d’oro nel deserto, e deforma ogni rapporto, fiducia e attesa da parte
del Signore. L’avidità depaupera il mondo poiché non tiene conto delle esigenze
degli altri, rinchiude il cuore alla solidarietà e produce potere, sperpero,
lusso e chiusura mentale. Prima viene la volontà del Padre. Gesù dirà: “Non
affannatevi per quello che mangerete o berrete” (Matteo7,25-34). La seconda
tentazione suggerisce la pretesa di ricevere da Dio segni e garanzie, sfruttando
addirittura la stessa Parola del Signore, perché mostri la sua protezione e ci
assicuri la sua protezione. Ci giochiamo sulla fiducia, pretendiamo prove. Nel
deserto, stremato dalla sete, il popolo ha accettato questa tentazione
esclamando: “il Signore è in mezzo a noi, si o no?” (Es 17,7).
La terza tentazione si gioca sul problema del potere. L’uomo può conquistare il
potere di dominio se si contrappone a Dio e può, in questo caso, sopraffare i
più deboli, può diventare padrone delle persone, può sentirsi glorificato perché
è forte, più forte di tutti e utilizza questo potere per sé. Chi segue Gesù
entra invece nella logica di Dio che, come Gesù stesso, pur avendo autorità, si
china sulle realtà povere, fragili, disorientate e disperate perché possano
recuperare la libertà e la dignità dei valori. Le tentazioni, di là dal bisogno,
dell’interpretazione biblica, della mentalità sempre presente che pretende da
Dio miracoli, pongono il problema fondamentale della nostra libertà di persone
adulte e il significato del rapporto con Dio. Chi è veramente
il Signore? Le tentazioni pretendono di rispondere sull’immediato, mettendo al
centro il nostro interesse. Il Signore ci chiede di mettere al centro la nostra
libertà, sorretta dalla fiducia verso di Lui. Il Signore Gesù accetta di
camminare con coraggio sulla strada che il Padre, passo passo,
gli suggerisce perché il suo progetto di vita è offrire il nuovo volto di Dio e
quindi portare speranza. Quanto sono disposto ad allinearmi con Lui,
riconoscendolo come il servo di Dio e il servo degli uomini e donne per cui è
disposto a dare la vita? |