OTTAVA DEL NATALE
 NELLA CIRCONCISIONE
1 gennaio 2012

Luca 2,18-21
Riferimenti : numeri 6,22-27 - almo 66 - filippesi 2,5-11

Acclamate a Dio da tutta la terra, cantate alla gloria del suo nome, date a lui splendida lode. Dite a Dio: "Stupende sono le tue opere! Per la grandezza della tua potenza a te si piegano i tuoi nemici. A te si prostri tutta la terra, a te canti inni, canti al tuo nome". Venite e vedete le opere di Dio, mirabile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terra ferma, passarono a piedi il fiume; per questo in lui esultiamo di gioia. Con la sua forza domina in eterno, il suo occhio scruta le nazioni; i ribelli non rialzino la fronte. Benedite, popoli, il nostro Dio, fate risuonare la sua lode;
numeri 6,22-27

Il Signore aggiunse a Mosè: "Parla ad Aronne e ai suoi figli e riferisci loro: Voi benedirete così gli Israeliti; direte loro: Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò".

Nel libro dei Numeri (6,22-27), come augurio per l’anno nuovo, ci viene ricordata la benedizione sacerdotale, voluta da Dio e limitata ad Aronne e alla sua discendenza. Secondo la tradizione rabbinica, questa formula veniva pronunciata per la benedizione del popolo, ogni giorno, dopo il sacrificio della sera. Ci sono molti richiami con le preghiere dei salmi. Il testo della benedizione è ordinato in 3 strofe al centro delle quali viene ricordato il nome divino di Javhè (tradotto qui come Signore), anche se allora mai pronunciato, ma sostituito con altri nomi. Dio è la fonte di ogni benedizione. La formula nell’originale ebraico ha 3 parole nella prima strofa, 5 nella seconda e 7 nella terza. Dio si fa presente, esiste accanto, accompagna. Le invocazioni domandano che Javhè sia davvero Javhè per Israele e doni, prima, se stesso e poi ì suoi benefici. Dio mostri la sua presenza favorevole accanto a Israele. Si fa riferimento al concreto benessere. Possiamo ricordare Deut 28,1- 13 o il testo Gen 1,28 dove la benedizione è legata alla fecondità o all’affido del governo del mondo all’uomo. Questo testo richiama anche l’efficacia della Parola di
Dio (Is 55,10-11) che produce quanto pronuncia. “Dio faccia brillare il suo volto “ non significa tanto: “il Signore sorrida ma il Signore ti faccia percepire la sua presenza e personalità (volto) e ti faccia gustare quanto è illuminante e rassicurante il rapporto con Lui”. E’richiamo di accoglienza e benevolenza. “Javhè elevi a te il suo volto”: vien chiesto un rapporto stabile con il suo popolo poiché da qui scaturisce la pace. Quando il volto di Dio è nascosto, la miseria ed il disagio sorgono profondi. Viene richiesto lo sviluppo armonico e felice, opera messianica per eccellenza (Is 9,1-6) Porre il nome (v 27) richiama le mani protese verso il popolo nel gesto della benedizione (1 Re

 
filippesi 2,5-11

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre

Paolo è molto affezionato alla comunità di Filippi, ma scopre, nelle pieghe di una umanità attiva, atteggiamenti di invidia tra alcuni che cercano di fare da padroni. Per questo l’apostolo si preoccupa di suggerire alcuni atteggiamenti morali. “Rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (2,2-4). La preoccupazione di suggerire un modello porta Paolo a ripensare ai sentimenti di Gesù. Perciò “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina…” e con il brano di oggi il suggerimento continua sul doppio filo di ciò che Gesù sente e vive nel suo stile e ciò che Gesù è in realtà nella sua avventura. E, cosa ancora più curiosa, il testo pare sia un inno che le comunità cristiane conoscono già in precedenza e che delinea la vicenda di Gesù - prima della nascita da Maria, - nella sua incarnazione che è “svuotamento “ della sua grandezza fino alla morte, crocifisso come uno schiavo traditore, - nell’innalzamento nella gloria poiché il Padre lo riscatta e lo rende Signore. Davanti a Lui ogni persona riconosce la grandezza di Gesù e la propria sudditanza. Il suggerimento conclusivo è squisitamente morale, mentre l’inno costituisce una altissima professione teologica. Anche noi diventeremo grandi, nel seguire Gesù, se avremo cercato di sviluppare lo stesso suo stile e i suoi sentimenti nella vita terrena.
  Luca 2,18-21

Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.

Il breve testo del Vangelo collega l’incontro dei pastori la notte di Natale nella grotta in cui Gesù è nato e i gesti squisitamente ebraici che inseriscono Gesù nella storia del popolo d’Israele mediante la circoncisione. Al centro c’è la rivelazione dello stile della Madonna, atteggiamento di ricerca, di contemplazione, di ubbidienza costruttiva e appassionata che dovrebbe corrispondere all’atteggiamento della comunità cristiana, che trova in Maria il suo modello: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.” Il messaggio inizia dalla parola che i pastori portano: sono gli ultimi arrivati, sono i poveri, gli esclusi dalla comunità ebraica, anche se non poveri economicamente, e sono coloro che hanno ciò che è importante offrire. Essi comunicano il messaggio di Dio su questo bambino che è speranza per tutti e coinvolgono persino i protagonisti del mistero: Maria e Giuseppe. Le cose che essi affermano suscitano stupore. Si può certamente dire che essi “dicono la buona novella” e questo suscita sbalordimento perché il mondo di Dio si apre su tutti come speranza, come accoglienza, come progetto di vita nuova, come popolo che ricongiunge insieme tutte le realtà, superando le lacerazioni o le contrapposizione.

L’atteggiamento di chi scopre con meraviglia che Dio manda segni per la speranza di tutti e di ciascuno matura in un ascolto umile e privilegiato: un ascolto in silenzio, che raccoglie i richiami e le ricchezze, i miti, i racconti e la storia del proprio popolo. Tutto questo è materiale che va raccolto,meditato, capito ogni giorno nella propria interiorità. Il cuore, nel mondo ebraico, viene inteso come la dimensione più profonda dell’intelligenza e dell’accoglienza di ciò che Dio dice. Maria non si preoccupa di parlare, ma di ascoltare, attenta a riempire di risposte quegli interrogativi che continuamente sono sorti in lei e in Giuseppe. E proprio a Betlemme sono all’oscuro di tutto. Perciò ciò che sentono alimenta la loro speranza e capiscono che, in modi diversi, Dio vuole alimentare la luce di vita dentro di loro. Così ascoltare significa fermarsi a cogliere i segni che vengono offerti da chi sa parlare e sa portare messaggi. Ascoltare sarà lodare il Signore con il proprio silenzio che diventa l’atteggiamento più profondo e più vero. Anche la Chiesa, la comunità di Gesù, deve imparare così, e lo sa. Il messaggio è nella vita di Gesù, ma anche lei sa di non essere sola a portarlo. Questo messa è anche rintracciabile nella storia di ciascuno, nell’itinerario dei popoli, nei cambiamenti della storia, nelle crisi. Essa sa che la ricchezza ricevuta da Dio ha bisogno di essere conosciuta sempre di più, interpretata, accolta con umiltà, sentita viva e attuale. Come la Madonna che ha generato la ricchezza di Dio in questo bambino, essa deve anche imparare a conoscerlo e interpretarlo e, nello stesso tempo, deve aiutarlo, sostenerlo ed educarlo per quanto ella sa, nella fedeltà della fede al Signore. Poi, nell’ottavo giorno dopo la nascita, ogni bambino maschio ebreo viene sottoposto al rito della circoncisione: il rito del sangue e il sangue rappresenta la vita. Con questo segno impresso nella carne, Gesù viene inserito a tutti gli effetti nel popolo di Dio. Con tutta la responsabilità e l’onore di osservare la legge, Gesù, appartenente al popolo di Abramo, riceve la vocazione di essere una benedizione fra le nazioni, riconosciuta ad Abramo stesso. Ma con Gesù questa benedizione diventa totale, unica, riassumendo in sé tutta l’attesa ed iniziando con sé tutta la pienezza del cammino verso Dio. Questo popolo che nascerà nella fede di Gesù ha ricevuto da Gesù stesso l’alleanza piena con il Signore. E se fino a Gesù c’è stato il tempo della preparazione, in cui era necessario differenziarsi per maturare un’identità, con Gesù si hanno il compimento, la maturazione del tempo, che fa esplodere i confini.La caduta della circoncisione della comunità cristiana, tuttavia, non mette l’umanità al di fuori della legge morale dell’obbedienza a Dio, ma piuttosto la coinvolge nella pienezza del messaggio di Gesù che supera i limiti della contrapposizione. Non c’è più un popolo privilegiato, ma tutti gli uomini sono chiamati alla coscienza di essere i figli di Dio, nella stessa dignità e nello stesso valore. I criteri
nuovi sono quelli di Dio: l’accoglienza, la responsabilità, la fraternità, la solidarietà verso ciascuno e verso tutti Cristo «è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2,14). È chiaro che, se il muro di separazione è stato abbattuto, non ha più significato mantenere il segno che differenzia. A questo bambino viene dato un nome. Nel mondo orientale il nome non è solo per indicare le
persone, distinguendolo dagli animali e dagli oggetti, ma esprime la natura stessa della realtà. Il nome Gesù dice il suo valore e la sua vocazione: “il Signore salva” salva dal male” (Mt 1,21) e il male è la scelta che l’uomo fa, allontanandosi da Dio, è la decisione della separazione e quindi della solitudine, è il rifiuto del bene dell’altro, è l’ostacolo ad un futuro e una speranza. Gesù è colui che strappa dal male, dalla disperazione, dalla rassegnazione e dalla inutilità.