III
Domenica dopo l’Epifania
22 gennaio 2012
Matteo14, 13b-21
Riferimenti : Numeri. 11, 4-7.16a. 18-20. 31-32a
- salmo 104 - Prima lettera ai Corinzi. 10, 1-11b
Benedici il Signore,
anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di
maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto. Tu
stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque la
tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali
del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme
guizzanti i tuoi ministri. Hai fondato la terra sulle sue
basi, mai potrà vacillare. L'oceano l'avvolgeva come un
manto, le acque coprivano le montagne. Alla tua minaccia
sono fuggite, al fragore del tuo tuono hanno tremato. |
Numeri. 11, 4-7.16a. 18-20. 31-32a In
quei giorni. La gente raccogliticcia, in mezzo a loro, fu presa
da grande bramosia, e anche gli Israeliti ripresero a piangere e
dissero: «Chi ci darà carne da
mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto
gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle
cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più
nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa
manna». La manna era come il seme di coriandolo e
aveva l’aspetto della resina odorosa. Il
Signore disse a Mosè: “Santificatevi per domani e mangerete
carne, perché avete pianto agli orecchi del Signore, dicendo:
Chi ci darà da mangiare carne? Stavamo così bene in Egitto!
Ebbene, il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. Ne
mangerete non per un giorno, non per due giorni, non
per cinque giorni, non per dieci giorni, non per
venti giorni, ma per un mese intero, finché vi
esca dalle narici e vi venga a nausea, perché avete respinto il
Signore che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a
lui, dicendo: Perché siamo usciti
dall’Egitto?”». Mosè disse: «Questo popolo, in mezzo al quale mi
trovo, conta seicentomila adulti e tu dici: “Io darò loro la
carne e ne mangeranno per un mese intero!”. Si sgozzeranno per
loro greggi e armenti in modo che ne abbiano abbastanza? O si
raduneranno per loro tutti i pesci del mare, in modo che ne
abbiano abbastanza?». Il Signore rispose a Mosè: «Il braccio del
Signore èforse raccorciato? Ora vedrai se ti accadrà o no quello
che ti ho detto». Un vento si alzò per volere del Signore e
portò quaglie dal mare e le fece cadere
sull’accampamento, per la lunghezza di circa una giornata di
cammino da un lato e una giornata di cammino
dall’altro, intorno all’accampamento, e a un’altezza
di circa due cubiti sulla superficie del suolo. Il
popolo si alzò e tutto quel giorno e
tutta la notte e tutto il giorno dopo raccolse le quaglie
In marcia verso il deserto di Paran, il popolo incomincia a
lamentarsi e si pone quindi i molti interrogativi che sorgono
all’interno di una vita carica di imprevisti e costretta a
inventarsi, giorno per giorno, elementi di sopravvivenza per
poter resistere. I primi tre versetti (11,1-tre) sintetizzano
proprio “questo lamentarsi aspramente” con un
incendio che sorge nell’accampamento, facile come sempre negli
accampamenti, di fronte a cui Mosé, pregando, diventa il
mediatore che fa spegnere il fuoco. In concreto, la protesta del
popolo sorge perché non ha cibo sufficiente nel deserto. Come
risultato, il popolo è saziato con le quaglie
(vv. 4-9.10.13.18-24a) ma è pure castigato per la sua ingordigia
(vv. 31-33). Intrecciata col racconto relativo alla bramosia di
cibo, si ha una storia riguardante la condivisione dell'autorità
di Mosè che qui non viene riportata (vv. 11-12.14-17.24b-30).
Due gruppi distinti di persone, “la gente raccogliticcia e gli
israeliti” protestano per la scarsità di cibo (v. 4) e
rimpiangono i giorni in cui, in Egitto, godevano abbondanza di
pesce e verdure (v. 5). Ora sono insoddisfatti perché tutto ciò
che hanno da mangiare è la manna, con la quale fanno
quotidianamente focacce che hanno il sapore di
pasta all'olio (vv. 6-9; cf. Es 16,13-14.31).
Lo «sdegno del Signore divampò» contro gli israeliti (v. 10). Ma
lo stesso Mosè, come il Signore, risponderanno ciascuno alla
protesta a modo loro e Mosè dimentica il suo ruolo di mediatore.
Infatti, contrariamente a quello che ha fatto allo scoppio
dell’incendio (11, 2), Mosè stesso non intercede, ma si lamenta
di dover provvedere da solo a quella grande moltitudine, e
diffida della stessa potenza di Dio perché Dio stesso non è
capace di provvedere per 600.000 persone e tanto più lo stesso
Mosè: «Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo?
Perché si lamenta contro di me» (v. 13). Mosè ritiene di avere
la responsabilità di trovare carne, ma esprime la propria
impossibilità. Così, invece di cercare l'aiuto di Dio, manifesta
risentimento per la posizione in cui è stato posto. “Perché hai
fatto del male al tuo servo? L’ho forse concepito io tutto
questo popolo? Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto”
(11,11-15) Dio ignora il lamento di Mosè e lo richiama alla sua
funzione di mediatore (vv. 18a, 24a); Dio risponde alla gente e
chiarisce che il popolo vuole in realtà tornare in Egitto (vv.
18.20b), con ciò rigettando la liberazione operata dalla sua
potenza. E insieme comanda a Mosè di dire al popolo di
"santificarsi" (v. 18), perché riceveranno carne in abbondanza,
tale da esserne nauseati (vv. 19-20). Mosè obietta ancora,
esprimendo un dubbio sulla stessa capacità del
Signore. Quando Mosè intercede per il popolo, Dio risponde col
perdono (v. 2). Nell'incidente delle quaglie, invece,
manca l'intercessione di Mosè e il risultato è la
collera di Dio “che gli si accese contro il popolo,
percuotendolo con una gravissima piaga” (11,33). Ponendo i due
episodi, uno di seguito all'altro, l'autore intenzionalmente
mette in luce l'efficacia dell'intercessione di Mosè e, quindi,
il significato della preghiera. Si scopre la fragilità anche di
questo mediatore che si trova isolato, nella stessa condizione
di paura e di incertezza, come tutti gli altri e, tuttavia,
responsabile del dialogo con Dio che lo invita a fidarsi. E se
non si scorge una risposta a Mosé per questa sua fatica, e
quindi per la sua richiesta di morte che lo libererebbe
dall’angoscia, il Signore incoraggia Mosè a scegliere settanta
anziani e a condurli alla tenda del convegno (v. 16; cf. Es
18,13-26). Dio dice a Mosè: «Prenderò lo Spirito che è su di te
per metterlo su di loro, perché portino con te il carico del
popolo» (v. 17). Mosè ubbidisce e i 70 anziani
“profetizzarono” (v. 25c). E tuttavia a questi non è data la
stessa responsabilità che Mosé porta: comunicare la Parola di
Dio e condurre il popolo in salvo nella terra promessa (v. 12).
Questi anziani hanno compiti di gestione all’interno del popolo:
organizzare, porre ordine, risolvere i litigi, risultando così
un gruppo di collaboratori. Ma essi sono attorno ad un
responsabile unico. In altri termini non siamo in regime di
democrazia dove valga maggioranza e minoranza. Esiste un capo
scelto da Dio che deve accettare di giocarsi tutta la vita per
il popolo. |
Prima lettera ai Corinzi. 10, 1-11b Non voglio infatti che
ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube,
tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a
Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo
stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa
bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li
accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di
loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.
Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose
cattive, come essi le desiderarono. Non diventate
idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: Il popolo
sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. Non
abbandoniamoci all’impurità, come si abbandonarono alcuni di loro e
in un solo giorno ne caddero ventitremila. Non mettiamo alla prova
il Signore, come lo misero alla prova alcuni di loro, e caddero
vittime dei serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di
loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però
accaddero a loro come esempio, e sono state
scritte per nostro ammonimento.
Dopo aver proposto alla comunità dei cristiani di Corinto il
proprio comportamento come esempio di responsabilità, (cap. 9) e
aver ricordato l'impegno per la gratuità nel proprio incarico
pastorale, utilizzando anche immagini sportive, molto popolari a
quel tempo, in particolare a Corinto, con i giochi istmici a
scadenza biennale, Paolo incoraggia la comunità, pur generosa, di
Corinto a vivere con fedeltà la scelta di Gesù. Tuttavia l'apostolo
si sofferma su alcuni aspetti negativi: dissensi, invidie,
immoralità, esistenti, come ovunque, d'altra parte. Si corre il
rischio di immaginare, dice Paolo, che il proprio battesimo
garantisca la salvezza e che quindi sia sufficiente. Paolo si
preoccupa allora, utilizzando la sua competenza
di rabbino, di richiamare alcuni elementi fondamentali
della fede ebraica, sviluppando l'esegesi della liberazione
dall'Egitto del popolo d'Israele in rapporto a Mosé e quindi a
Cristo. Gli israeliti hanno seguito Mosé e si sono fidati di lui;
hanno camminato sotto la nube, hanno attraversato il mar Rosso,
hanno mangiato la manna, hanno bevuto l'acqua
scaturita dalla roccia (una leggenda dice che la roccia seguiva
l'accampamento ovunque si posasse). “Ma la maggior parte di loro non
fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto” (10,5).
Così quell'evento diventa esemplare anche per i
cristiani: il passaggio del Mar Rosso è immagine del battesimo,
battesimo nel rapporto con Mosè. mentre i cristiani sono in rapporto
a Cristo. La manna e l'acqua sono segni profetici dell'Eucaristia. E
tuttavia non sono sufficienti: né la fede in Cristo, né l'essere
battezzati, né aver ricevuto lo Spirito, né essersi
cibati dell'Eucaristia per ricevere automaticamente la salvezza. È
necessario che si sviluppino, insieme, una vita coerente di fede e
quindi una vita operosa secondo i criteri che Gesù ha portato, a
cui, come credenti in Gesù, sono stati iniziati nel battesimo e
verso cui siamo continuamente incoraggiati a camminare attraverso lo
Spirito. Se non esistono questa disponibilità, questa fiducia e
questo cammino, anche noi siamo a rischio di perderci come i padri
nel deserto.
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Matteo14, 13b-21
In
quel tempo. Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in
disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso
dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i
loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero:
«Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi
a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non
occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non
abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse:
«Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese
i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la
benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli
alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i
pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa
cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
E’ un testo molto complesso e molto costruito. Qui l’evangelista vuole
insegnare alcuni valori cristiani, richiamando dei segni anche se, al momento,
possono sembrare inverosimili. Con 5000 uomini c’è il richiamo alla legione,
come esercito, e qui si sentono i sogni e le esigenze di un Regno che si deve
costituire, mentre l’esercito è garanzia di un re che deve venire ( Giovanni ne
parla espressamente: "Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si
ritirò di nuovo sul monte, lui solo": Gv 6,15). Gesù non vuole un esercito ma
persone che costituiscano un popolo nuovo, non carne da macello, o conquistatori
di altri attraverso la violenza e la sopraffazione. E’ sera e sarebbe difficile
dire a questa folla: ”Andate a comprarvi il pane”. E da che parte spuntano 12
ceste? Se le erano portate vuote con sé? San Matteo vuol raccontare uno stile ed
una preoccupazione che trasmette alla sua comunità, ma vuol anche presentare
l’immagine del nuovo Mosé nel deserto. Gesù, spezzando il pane, sfama la folla e
ciascuno riceve ciò di cui ha bisogno per sfamarsi. E’ una delle sei versioni,
presenti nei Vangeli, e ogni resoconto ha un messaggio
particolare, che diventa il segno di una nuova liberazione. In questo contesto
siamo alla presenza di due banchetti. - Il primo,
immediatamente precedente, ricorda il banchetto di una società violenta e
opulenta, radunato nel palazzo di Erode, che ha deciso la morte di Giovanni
Battista (14, 3-12). È una società corrotta, oppressiva e sanguinaria che deve
essere ripudiata da chi segue Cristo. Cristo costruisce con coloro che lo
seguono il nuovo popolo nel deserto. - L’altro è il banchetto
di un mondo di poveri che si sviluppa nella gioia e nella festa poiché c’è Gesù,
ed è aperto a tutti. · Gesù si inoltra nel deserto e dietro di
lui cammina una folla di poveri e di bisognosi, come all’uscita dall’Egitto,
desiderosi di raggiungere la propria libertà e liberarsi dalla malattia.
· Egli ha compassione e condivide la sofferenza di chi non ha
orientamento, né fiducia, né futuro, né Parola di Dio ed è malato.
· Se davvero si condivide, ci si deve prima di tutto accorgere dei
problemi di ciascuno, dei suoi bisogni primari e quindi della fame.
· Il problema primo è, agli occhi di Gesù, la malattia, poiché è ciò
che rende l'uomo instabile, fragile, debole, e quindi non libero. Gesù infatti è
venuto, fondamentalmente, a ricostruire la pienezza della persona nella sua
libertà e responsabilità. · Sono i discepoli che si
preoccupano della fame di queste persone e che non hanno risorse. E fanno
velocemente la verifica dei bisogni e decidono: “Mandali a casa perché ciascuno
provveda e comperi”. E’ il criterio del sottomettersi alle strutture di economia
o di ingiustizie. Il comperare non esamina la vera povertà. Dice le condizioni
per possedere, rifiutando ogni altra alternativa che non sia di scambio.
· Gesù chiede loro di non accettare il disimpegno: “Date voi stessi
da mangiare” (v. 16). La novità è regalare condividendo, è la gratuità. Gesù
chiede che si faccia l’analisi delle risorse, mentre tutti quelli che se ne
rendono conto, dicono: "Sono troppo poche, insignificanti, ridicole. Non c’è
nient’altro da fare”. · Gesù confida invece sullo sforzo di
contribuire, per come si può, ed accetta di operare su ciò che viene raccolto e
portato. Portano cinque pani e due pesci: il loro numero è sette, l’universale.
· A questo punto Gesù benedice i cinque pani raccolti e li spezza
(non li moltiplica. E’ errato parlare di “moltiplicazione dei pani”, e infatti,
nel Vangelo, di moltiplicazione non se ne parla mai). “Si spezzano i pani e si
distribuiscono i pezzi”. Ci si sfama con quello che ci è stato offerto, è
sufficiente ed avanza. · Le 12 sporte piene sono il pane per
il nuovo popolo che viene e che ha sperimentato la gratuità. ·
Il pane materiale richiama, con le parole ed i gesti, la consacrazione della
Messa dove Gesù offre se stesso perché tutti si sfamino e tutti imparino a
spezzare il pane. E' questo un gesto fondamentale che andrebbe, ogni volta,
valorizzato. Rappresenta la nostra partecipazione al costruire gratuitamente il
mondo, il nostro amore alla famiglia, all'amico, al lavoro
perchè sia fatto bene e diventi un vero servizio. · Spezzare
il pane è il segreto ed il criterio della pace. Lo spezzare del pane è il vero
significato della presenza di Gesù tra noi, il messaggio di vita più profondo e
l’avvio per quel culto spirituale quotidiano a cui la Messa rinvia come al
contenuto personale totale (Rm 12, 1ss). · Nel tempo della
crisi si intravedono fatiche e si sottolineano comunque i limiti, gli aumenti di
prezzi, i disagi. Si continua a fare i conti per quanto una famiglia deve
spendere di più al mese per la benzina, per il gas e la luce.
· Andrebbero riproposti, però anche, elementi di gratuità, volontariato,
operazioni di salvataggio, di solidarietà. Andrebbe stimolata l'inventiva, il
lavoro comune, la ricerca e la scuola, la formazione professionale e il sostegno
attraverso le proprie competenze. Lo spezzare il pane della conoscenza è il più
duraturo e il più necessario nella vita quotidiana. |