
VI Domenica di Pasqua
13 maggio 2012
Giovanni 15,26 –16,4
Riferimenti : Atti degli Apostoli 26,
1-23 - salmo 21 - Prima lettera ai Corinzi 15, 3-11
Signore, il re gioisce della tua potenza,
quanto esulta per la tua salvezza!
[3] Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore,
non hai respinto il voto delle sue labbra.
[4] Gli vieni incontro con larghe benedizioni;
gli poni sul capo una corona di oro fino.
[5] Vita ti ha chiesto, a lui l'hai concessa,
lunghi giorni in eterno, senza fine.
[6] Grande è la sua gloria per la tua salvezza,
lo avvolgi di maestà e di onore;
[7] lo fai oggetto di benedizione per sempre,
lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.
[8] Perché il re confida nel Signore:
per la fedeltà dell'Altissimo non sarà mai scosso.
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Atti degli Apostoli 26, 1-23
In quei giorni. Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare
a tua difesa». Allora Paolo, fatto cenno con la mano, si difese
così: «Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi
difendere oggi da tutto ciò di cui vengo accusato dai Giudei,
davanti a te, che conosci a perfezione tutte le usanze e le
questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi
con pazienza. La mia vita, fin dalla giovinezza, vissuta sempre
tra i miei connazionali e a Gerusalemme, la conoscono tutti i
Giudei; essi sanno pure da tempo, se vogliono darne
testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto secondo la setta
più rigida della nostra religione. E ora sto qui sotto processo
a motivo della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri
padri, e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta,
servendo Dio notte e giorno con perseveranza. A motivo di questa
speranza, o re, sono ora accusato dai Giudei! Perché fra voi è
considerato incredibile che Dio risusciti i morti? Eppure anche
io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome
di Gesù il Nazareno. Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei
fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei
sacerdoti e, quando venivano messi a morte, anche io ho dato il
mio voto. In tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringerli
con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro
di loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere. In
tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con il potere e
l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti, verso mezzogiorno vidi
sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole,
che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a
terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: “Saulo,
Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il
pungolo”. E io dissi: “Chi sei, o Signore?”. E il Signore
rispose: “Io sono Gesù, che tu perséguiti. Ma ora àlzati e sta’
in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e
testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui
ti apparirò. Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui ti
mando per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle
tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il
perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono
stati santificati per la fede in me”. Perciò, o re Agrippa, io
non ho disobbedito alla visione celeste, ma, prima a quelli di
Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della
Giudea e infine ai pagani, predicavo di pentirsi e di
convertirsi a Dio, comportandosi in maniera degna della
conversione. Per queste cose i Giudei, mentre ero nel tempio, mi
presero e tentavano di uccidermi. Ma, con l’aiuto di Dio,
fino a questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai
grandi, null’altro affermando se non quello che i Profeti e Mosè
dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo avrebbe
dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe
annunciato la luce al popolo e alle genti».
Stiamo leggendo il resoconto di un discorso di Paolo,
imprigionato a Cesarea da qualche anno. Egli parla davanti al re
Agrippa, accompagnato da Berenice, in visita a Festo,
governatore romano eletto da Nerone
attorno agli anni 60. È un discorso molto elaborato, dove si
sente la preoccupazioni di coinvolgere persone che non sono
ebrei e che tuttavia hanno interessi alla comprensione del mondo
d’Israele. Paolo ricorda d'aver vissuto nel popolo come un buon
fariseo, " nella più rigida setta della nostra religione” (vv
4-8), quindi richiama la lotta anticristiana che lui stesso ha
sviluppato (vv 9-11), la sua conversione (vv 12-18), le sue
attività di credente cristiano (vv 19-20), il suo arresto (v
21), il contenuto del suo insegnamento (vv 22-23). È la terza
volta che Luca, autore degli Atti, racconta, in situazioni
diverse, la conversione di Paolo.
Inserito nella storia d’Israele, l’annuncio di Gesù rappresenta
la convergenza e la conclusione dell’attesa del popolo Dio.
Paolo non risparmia una denuncia del proprio comportamento
contro i cristiani, crudele e profondamente irresponsabile, e
tuttavia Paolo è ancora convinto di avere agito secondo alcuni
criteri e valori maturati nella scuola ebraica. Egli voleva
estirpare questa eresia perché tutto concordava, nelle sue
valutazioni, con una situazione di menzogna e di tradimento.
"Anzi alzati e sta ritto" (v 16): è il richiamo ad una missione
profetica a cui Paolo è destinato. Egli deve essere “ministro e
testimone della visione che hai visto e di quelle che di me
vedrai”. Equiparato “ai testimoni oculari e ai ministri della
Parola” (Lc1,2), gli viene fatta una promessa: “Sarà liberato da
Israele e dai pagani per aprire gli occhi ai pagani perché
vengano alla luce, si sottraggono al potere di Satana e ricevano
il perdono dei peccati insieme con l’eredità e la fede in Gesù”
(v 17). Mentre denuncia l'acredine verso di lui e la sua
predicazione ai pagani (v 19), Paolo rivendica che il suo
insegnamento ha come contenuto ciò che è stato previsto
direttamente dai profeti e da Mosé (v 22). Questa riflessione
colpisce molto Agrippa che esprime liberamente la sua
impressione e il suo giudizio:
"Quest'uomo non fa nulla che meriti la morte o il carcere". "Si
sarebbe potuto rimettere in libertà quest'uomo, se non avesse
appellato all'imperatore" dice Agrippa a Festo (vv 30-32). |
Prima lettera ai Corinzi 1Corinzi
15, 3-11
Fratelli, A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che
anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati
secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo
giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai
Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una
sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni
sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli
apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno
di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di
Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua
grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti
loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia
io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
Con il capitolo 15 si potrebbe parlare di una terza parte della
prima lettera ai Corinzi il cui centro focale
è la risurrezione di Gesù. Paolo ci tiene a sottolinearlo ai
suoi contemporanei (ma la chiarificazione vale anche per noi
oggi ) che il contenuto della fede cristiana non è una dottrina
morale o sapienziale, Piuttosto il fondamento è costituito dagli
avvenimenti della presenza di Gesù, figlio di Dio nel mondo, e,
in particolare , dai fatti conclusivi della sua esistenza tra
noi: la morte, la sepoltura e la risurrezione. Riporto alcuni
testi biblici a cui la prima Comunità allude, ricavati dal Primo
Testamento: “soffrì per i nostri peccati”: Isaia, 53,5-7: “ Egli
è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre
iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di
lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti... il Signore
fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti”; la passione e
morte di Gesù: Isaia 53,8: “Con oppressione e ingiusta sentenza
fu tolto di mezzo”; la sepoltura: Isaia 53,9 “Gli si diede
sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo”, la
resurrezione: Osea 6,3: “ Affrettiamoci a conoscere il Signore,
la sua venuta è sicura come l'aurora. Verrà a noi come la
pioggia di autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la
terra»; Salmo 16,10: “Perché non abbandonerai la mia vita nel
sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione; Giona
riportato da Mat 12,40: “Come infatti Giona rimase tre giorni e
tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà
tre giorni e tre notti nel cuore della terra”. Sono ricordate
qui le diverse apparizioni di Gesù "la cui testimonianza può
essere ancora oggi proposta da molte persone viventi" dice
Paolo. Egli scrive a circa 25 anni dai fatti raccontati. Le
testimonianze elencate sono sei e non corrispondono tutte a
quelle riportate nei Vangeli perché Paolo, probabilmente, ha un
suo documento di particolare valore per la sua antichità e non
va dimenticato che i Vangeli sono stati scritti diversi anni
dopo questa lettera, e ognuno in una propria ottica di
catechesi. È apparso “ai dodici” nello stesso giorno della
risurrezione: e tuttavia, con questo numero, si vuol ricordare
semplicemente il gruppo degli apostoli ( in pratica sono solo
10; manca Tommaso e ovviamente anche Giuda il traditore). Si
parla di 500 fratelli ma nei Vangeli un tale numero non si
ricorda, a meno che si faccia riferimento al Monte della Galilea
(Matteo 28,16) o al momento dell'ascensione al Monte degli ulivi
( atti 1,12). Da ultimo Paolo parla dell’apparizione di cui lui
stesso è stato testimone, unico tra i nemici di Gesù che lo
abbia visto e sentito risorto. Questa esperienza ha convertito
il suo cuore. La sua testimonianza ha ancora più valore perché
Paolo è stato un persecutore della prima Chiesa e lontanissimo
ad ammettere la risurrezione di Gesù. Paolo però si rende conto
che la risurrezione non può essere dimostrata mediante prove
inoppugnabili: è
una manifestazione di Dio per coloro che egli ha scelto. Se si
vuole tuttavia riscoprire un senso e il segno della
risurrezione, bisogna verificare il comportamento di coloro che
credono. I discepoli avevano perso ogni speranza, si erano
scandalizzati, erano fuggiti ed ora affermano che Gesù è vivo.
Essi affrontano sofferenze e persecuzioni, nonostante la loro
ignoranza (non hanno frequentato scuole particolari), difendono
la risurrezione, così assurda allo stesso buon senso, sostengono
le conseguenze nella loro ricerca religiosa e nel loro cammino,
utilizzano proprio la Scrittura come garanzia della verità di
Gesù
rispetto ai teologi ed ai sacerdoti. Paolo incoraggia a fare lo
stesso cammino degli apostoli, ad aprire le Scritture, ad
ascoltare la Parola di Dio che viene proclamata nelle comunità
cristiane ed invita ad aprire il cuore allo Spirito. In tal modo
anche noi scopriremmo la pienezza della risurrezione come un
dono di gloria che Gesù farà a tutti coloro che lo hanno
seguito. Come possiamo dare speranza a tutti noi in un tempo di
fatiche e di maggiore povertà, quando cadono
molte illusioni e si scoprono molte insicurezze e molte
incertezze sul futuro? La risurrezione potrebbe arricchirci di
speranza e sprigionare novità, creatività, solidarietà,
incoraggiamento comune, superando le paure e gli egoismi.
Potrebbe essere possibile nella Comunità cristiana? |
Giovanni 15,26 –16,4
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli «Quando verrà il
Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal
Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché
siete con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a
scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui
chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non
hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando
verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto».
Giovanni ci vuole comunicare le riflessioni, i pensieri e le preoccupazioni che
Gesù ha espresso nelle ultime ore della sua vita con i suoi discepoli,
consapevole che stava offrendo loro come un testamento che continueranno a
ricordare. Gesù sa che vi faranno riferimento per ogni situazione difficile, o
pericolosa, o misteriosa che avesse avuto bisogno di un suo significato. Già ora
si profilano all’orizzonte le angosce di una comunità che si sconvolgerà e che,
di fatto, non riuscirà a reggere l'impatto drammatico della morte di Gesù.
Mentre Gesù li avverte, che li aspetta una drammatica esperienza (e più avanti
la persecuzione), dà loro la consapevolezza che stanno percorrendo la stessa
strada di Gesù e la certezza di dover sopportare il rifiuto come il Maestro: "Il
mondo di oggi, sappiatelo, ha odiato me prima di voi... sarete perseguitati
anche se onesti e buoni" (Giovanni 15 18-21). Gesù vuole allora rincuorare i
suoi discepoli, garantendo che invierà il Consolatore, lo Spirito di verità. (v
26; in greco “il Paràclito”, ricordato con tale nome particolarmente nel Vangelo
di Giovanni. Può essere tradotto come: “aiuto, consigliere, difensore, avvocato,
protettore, intercessore”. Gesù li ha custoditi (17,12): “Quando ero con loro io
li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato e li ho conservati”. Gesù
aggiunge la presenza e le garanzie dello Spirito che veglia su di loro fino alla
fine
dei tempi. Questo Spirito “vi guiderà a tutta la verità” (16,13). Poiché molta
parte del mondo è sotto il dominio di Satana, padre della menzogna "(8,44: Egli
era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità perché in lui non
c’è verità”), Gesù sa che sta, insieme, svelando e garantendo la sua presenza.
Il dono dello Spirito ne sarà garanzia, Ma i suoi debbono avere il coraggio di
non scandalizzarsi, nel tempo, perché non troveranno consensi, ma saranno
cacciati dalle sinagoghe. Se vorranno verificare il valore di ciò che credono,
non debbono immaginare di essere portati in trionfo. Anzi! L’innesto nella
pienezza di Dio viene comunicata con una ricchissima formula trinitaria: “Gesù,
il Verbo di Dio, che era presso il Padre, da Lui è venuto e a Lui torna. Ma
manderà dal Padre lo Spirito. “Egli procede dal Padre e rende testimonianza di
me" (v26). Gesù, svelando la ricchezza del Dio trinitario, chiede di aprire gli
occhi su due aspetti fondamentali di Dio: l’accoglienza e la salvezza. Nella
Paternità Dio non si manifesta geloso del Figlio, ma lo offre come il suo dono
totale a tutti gli uomini dispersi e disorientati nel male. E l’accoglienza lo
porta alla
condivisione, al perdono (al perdono perché non sanno, non capiscono, non si
rendono conto). L’accoglienza del Padre si gioca nella non violenza, nella
presenza e nell’amore gratuito, nell’arricchire ogni uomo di speranza e di
desiderio, di attesa e di sogni, di desiderio di felicità e di infinito. E Gesù,
unico testimone di questo mistero svelato, sa parlare di figli, di amicizia, di
singolarità di ciascuno, di condivisione e familiarità, di un'amicizia stretta.
Il ritorno al Padre ha chiuso il cerchio delle perplessità o delle
esclusioni.Nessuno è rifiutato, a meno che non lo voglia direttamente. Ma quanto
un uomo può rendersi conto del significato di un rifiuto? E qui non possiamo
dire nulla, salvo il tremare per la possibilità di poter dire no a Dio. Ma poi
non sappiamo come l’accoglienza del Padre continui a circondare di amore colui
che si rifiuta. Nel frattempo, anche di fronte alle tragedie e ai massacri più
orrendi di ogni guerra, tra noi uomini e donne continua la garanzia dello
Spirito che accompagna lo sviluppo dell'umanità. Tutto questo, dice Gesù, si
svilupperà stanotte. A voi sembrerà la fine e invece sarà l'apertura del mistero
che si allarga: con le parole di Gesù, con il suo amore disarmato, con le
testimonianze dei fratelli e delle sorelle fino ai confini del mondo e del
tempo. E il senso della verità tutta intera? E’ il dono dello Spirito. Non solo
e non tanto la garanzia del Credo, ma, molto di più: è il dono di Dio in noi e
quindi della ricerca di senso, il valore di ogni persona come è presente agli
occhi di Dio, il significato delle scelte, il coraggio delle alleanze,
l’alleanza tra sconosciuti che costruiscono con entusiasmo una casa per
l’umanità |