
IV Domenica di Quaresima
del cieco
18 marzo 2012
Giovanni 9, 1-38b
Riferimenti : Esodo 33,
7-11a - Salmo 35 - Prima lettera
Tessalonicesi 4, 1b-12
Signore, giudica chi mi accusa, combatti
chi mi combatte. Afferra i tuoi scudi e sorgi in mio aiuto.
Vibra la lancia e la scure contro chi mi insegue, dimmi: "Sono
io la tua salvezza". Siano confusi e coperti di ignominia quelli
che attentano alla mia vita; retrocedano e siano umiliati quelli
che tramano la mia sventura. Siano come pula al vento e l'angelo
del Signore li incalzi; la loro strada sia buia e scivolosa
quando li insegue l'angelo del Signore. Poiché senza motivo mi
hanno teso una rete, senza motivo mi hanno scavato una fossa |
Esodo 33, 7-11a
In quei giorni. Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori
dell’accampamento, a una
certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del
convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori
dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il
Signore. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il
popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della
sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse
entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva
la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava
con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava
all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano
ciascuno all’ingresso della propria tenda. Il Signore parlava
con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico.
Mentre Mosé é sul monte, il popolo d’Israele ha rinunciato ad
essere fedele, preso dalla paura e dalla violenza. Ha
dimenticato così i propri impegni assunti nell’Alleanza ed ha
provocato la tragica lacerazione di Mosé che, scendendo dal
Monte, ha eliminato il gruppo dei ribelli. Ma è da verificare il
perché. Dio non ha ordinato il massacro. Proprio Mosè,che
sentirà pronunciare da Dio che il nome Santissimo del Signore è
misericordia, fedeltà e perdono non sa interpretare il messaggio
per sé. Mosè crede di aver fatto un’azione giusta contro i
ribelli e immagina così di aver placato l’ira di Dio: questa
infatti è l’immagine che filtra anche nella riflessione
teologica di Mosè e del suo popolo. Però, poi, Mosé ritorna dal
Signore dicendogli: "Questo popolo ha commesso un grande
peccato: si sono fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il
loro peccato... se no cancellami dal tuo libro che hai
scritto".(v 32,32). Nella consapevolezza del suo compito Mosè
conduce fino in fondo il suo incarico. Il popolo, tuttavia, non
è più affidabile. Il Signore vuole addirittura abbandonarlo.
C'è, infatti, il pericolo che il Signore faccia partire il
popolo, senza di Lui. "Ma io non verrò in mezzo a te, per non
doverti sterminare lungo il cammino, perché tu sei popolo di
dura cervice". Questa parola disorienta coloro che sono rimasti
fedeli e "tutti fecero lutto: nessuno più
indossò i suoi ornamenti" (v 33,4). Dio prende le distanze, ma
poi resta. Chiede solo a Mosè che costruisca la “tenda del
convegno” dove incontrarsi, fuori dall’accampamento. Il Signore
continua ad essere presente e accanto, continua il suo rapporto
privilegiato con Mosé. A lui, come mediatore, garantisce una
confidenza e una conoscenza che assomiglia a quella di un uomo
verso il proprio amico. Ricordiamo che la parola, usata in
ebraico, per indicare amicizia, si richiama a
“colui con cui si condivide il pascolo” e quindi ad un rapporto
sereno, confidenziale e non gerarchico, comprensivo ed
accogliente. La tenda è anche il luogo della
consultazione del popolo di Dio e ci si può recare
liberamente. Non si dice come avvenga questa
consultazione. Ma Mosé è un tramite eccellente del dialogo con
Dio. Il popolo, nell’accampamento, ritrova un suo equilibrio,
riconosce e rispetta la responsabilità di Mosé e scopre, per la
propria fiducia, la presenza di Dio che si fa visibile
attraverso una nube che scende sulla “tenda dell’incontro”. Così
ciascuno interrompe ciò che sta facendo, si ferma all’ingresso
della propria tenda e compie atti di culto mentre Mosé parla con
il Signore. Non c’è nessun riferimento ad altri inservienti ma
solo a Giosuè, giovane custode del luogo sacro. Mosé dimostra di
essere un mediatore fedele e coraggioso: si mette dalla parte
dei deboli e scopre, nel suo ruolo anche lui, per la sua parte,
come ogni credente, che deve essere un mediatore che intercede,
non un Dio che giudica. Veramente credente, si fa amico di
coloro che protegge e di colui a cui deve rendere conto, amico
di chi ha bisogno perché fragile e amico di chi è il Santo
misericordioso e fedele. Nel popolo d’Israele si farà strada,
nei tempi successivi, la consapevolezza della presenza di Dio in
mezzo al popolo e fermamente si crederà che Dio abita nel tempio
di Gerusalemme dove lo si adora. Lo dice anche Gesù (Gv 4,22).
che, nel dialogo con la Samaritana, svilupperà la coscienza che
“Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorare in Spirito
e verità”(Gv4,24).
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Prima lettera
Tessalonicesi 4, 1b-12 Fratelli, vi preghiamo e
supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da
noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi
comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete
quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che
vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi
sappia trattare il proprio corpo con santità e
rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani
che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o
inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte
queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha
chiamati all’impurità, ma alla santificazione.
Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio
stesso, che vi dona il suo santo Spirito. Riguardo all’amore
fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti
avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo
fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi
esortiamo, fratelli, a progredire ancora di
più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi
delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo
ordinato, e così condurre una vita decorosa di fronte agli
estranei e non avere bisogno di nessuno.
Paolo si sente rassicurato dopo la relazione di Timoteo sulla
situazione della Comunità di Tessalonica, perché ha lasciato,
precipitosamente, alle spalle, una comunità ancora molto
immatura, in un clima di difficoltà. Ma le belle notizie
ricevute da Timoteo lo rasserenano. Così apre questa seconda
parte della lettera con raccomandazioni morali che però hanno
sempre Cristo come riferimento. C’è bisogno di coraggio e di
sapienza, insieme ad una consapevolezza che deve percorrere con
decisione cammini concreti e verificabili. Paolo sa che ci
vogliono degli esempi di vita per aiutare a scoprire stile e
metodo di mentalità e di comportamento. E quindi, in mancanza
d’altro (le comunità non si sono ancora sufficientemente
sviluppate), Paolo offre il suo esempio. Si tratta di agire e di
pensare “come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di
piacere a Dio”(v1b). Poiché Paolo deve dare
orientamenti chiari, ricorda che c’è un progresso continuo nel
vivere da credenti: il Padre vuole che la sua volontà si
manifesti nella loro santificazione. E quando dice: “imparate da
me”, non c’è esibizione nell’apostolo, ma la preoccupazione di
comportarsi come un maestro verso i discepoli che sono inesperti
ed hanno bisogno di una guida. - La prima consegna che offre
loro è il rispetto del proprio corpo mediante un comportamento
etico, “senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani
che non conoscono Dio”. Paolo rimprovera fondamentalmente ai
greci e al mondo pagano la superficialità e l’istintività che
acquista, nel comportamento tra adulti, forme di passionalità,
propri di popolazioni che non conoscono Dio. Senza Dio, pensa
Paolo, c’è il degrado totale della persona umana.Il secondo
impegno si sviluppa nell’accoglienza dell’altro attraverso la
maturazione di un affetto reciproco: “Voi stessi infatti avete
imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate
verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia”. Paolo si
complimenta con questa comunità poiché il messaggio che è sempre
stato nel cuore di Gesù e molto raccomandato, è stato
velocemente maturato e sviluppato, superando
anche i confini della propria comunità, verso i fratelli della
intera Macedonia”. - La terza raccomandazione
acquista e interiorizza i valori di una convivenza
umana dignitosa in una vita pacifica e laboriosa.
“Fare tutto il possibile per vivere in pace” e lavorare con
responsabilità e con le proprie mani” (v 11). Il lavoro, per non
dipendere o sfruttare gli altri e la manualità che, nel mondo
greco, era disprezzata e lasciata agli schiavi, diventano
parametri nuovi e controcorrente poiché i cristiani debbono
sfidare la sapienza ellenica dominante. Già Paolo stesso si è
preoccupato, prima di tutto, come garanzia di una autentica
missione ricevuta, di lavorare e di lavorare manualmente. Per
gli ebrei tutto il mondo creato è fatto da Dio ed è buono, per i
greci la materia è male e bisogna starsene lontani, indegna di
ogni essere libero. L’ideale di una vita”decorosa e libera”
permette di diventare esemplare e può cambiare, nel mondo,
criteri di vita e mentalità lontane da Dio. Qualche versetto
dopo, Paolo ricorda ai suoi fratelli: “"Voi tutti, infatti,
siete figli della luce e figli del giorno” (5,5). Anche noi
abbiamo gli stessi problemi di istintività, violenze,
sopraffazioni, illegalità. Come credenti non si tratta tanto di
inventare leggi più severe, ma di moltiplicare stili e
testimonianza di vita vissuta con libertà e naturalezza. |
Giovanni 9, 1-38b
 
In quel tempo. Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi
discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha
peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui
ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di
Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è
giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo,
sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la
saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella
piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci
vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un
mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a
chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno
che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che
modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù
ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e
làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero:
«Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».13 Condussero dai farisei quello che era
stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli
aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva
acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi
sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non
viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un
peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora
dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha
aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di
lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non
chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li
interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come
mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro
figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia
aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età,
parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano
paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse
riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi
genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo
l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che
quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una
cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto?
Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete
ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi
discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo
discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non
sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che
voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non
ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo
ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto
gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far
nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo
cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli
disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore,
perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con
te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
Siamo
al sesto "segno" sui sette, raccolti nel "libro dei segni" di Giovanni
(1,19-12,50). Essi sono indicatori di Gesù e della sua dignità. Posti per far
scoprire la sua attenzione verso la libertà e l’autonomia di ogni persona,
rilevano, nello stesso tempo, una presenza di liberazione e di rivelazione
esaltante, capace finalmente di aprire gli occhi sul vero volto di Dio.
L’episodio del cieco nato, che acquista la vista, avviene attorno alla settimana
delle capanne (fine settembre-inizio ottobre) nell'anno 29 d.C. e Gesù si ferma
a Gerusalemme fino alla festa della Dedicazione (dicembre). Il cieco è un
mendicante, sconosciuto anche se tutti lo vedono ogni giorno. Può sperare in
qualche elemosina, in attesa, a volte, di qualche rara sorpresa che lo rallegri.
Gli manca però il meglio che è la vista poiché gli manca la luce. Per l’ebreo la
cecità è una maledizione poiché il cieco non può leggere la Parola di Dio. Il
centro dell’episodio è Gesù che dà la vista ed è la vera luce che libera e svela
il volto di Dio nella realtà quotidiana. Ma centro è anche il discepolo che
accetta di verificare un segno strepitoso di Dio nella sua vita e lo difende con
tutte le sue forze, mettendosi a rischio di una totale emarginazione. Ci sono
molti conflitti in questo testo: i giudei ed i credenti, i teologi e i
discepoli, l’autorità che comanda ed obbliga ai propri punti di vista ed i
genitori, i diffidenti e il cieco, il male e la liberazione, la malattia e la
guarigione, colui che è venuto: Mosè e colui che è “inviato”, il mondo
strutturato in schemi precostituiti e Gesù che libera. Egli, ancor più, rompe le
contrapposizioni, e, alla fine di un itinerario faticoso, viene incontro e si
svela aggregando colui che crede in Lui in un popolo nuovo. Chi detiene la legge
e ritiene perciò di avere ereditato l’autorità di Dio, crede di saper rettamente
interpretare la volontà di Dio, rifiutando tutti gli altri: i testimoni, i
parenti (che rischiano di essere considerati appestati,
scacciati dalla sinagoga e quindi da tenere lontani almeno due metri), il cieco,
Gesù. In questo tempo sono intrecciati i simboli dell'acqua e della luce e il
dono di “avere aperto gli occhi” viene ripetuto sette volte. Il cieco
rappresenta l'umanità perduta nella sua cecità e ciascuno di noi è chiamato ad
incontrare l’acqua viva alla piscina dell’Inviato. - La malattia non è castigo.
Ma se la vivi con responsabilità, accettando i segni che il Signore ti manda,
ricuperi speranza e libertà. Non deve, comunque, diventare ostacolo per una
fedeltà al Signore. - Alla saliva e al fango gli antichi attribuivano proprietà
terapeutiche: ma per Gesù c'è il richiamo all'Adamo nuovo (Gen.2,7): Adamo fu
creato con la terra ed il soffio del Signore ( qui la saliva). - La piscina di
Siloe raccoglie le acque della fontana di Gihon (Gen2,13), che ha un riferimento
al Paradiso terrestre e si ricollega con il Messia (“Inviato"). - I Farisei si
scandalizzano: Gesù fa del fango in giorno di sabato, giorno proibito ad ogni
lavoro. - Attorno agli anni 80 d.C. i giudeo-cristiani saranno, di fatto,
espulsi dalla sinagoga |