
III Domenica di Avvento
27 novembre 2011
Giovanni. 5, 33-39
Riferimenti : Isaia. 51, 1-6
- Salmo 45 - Seconda Corinzi. 2, 14-16b
Effonde il mio cuore liete
parole, io canto al re il mio poema. La mia lingua è stilo di
scriba veloce. Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle
tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre.
Cingi, prode, la spada al tuo fianco, nello splendore della tua
maestà ti arrida la sorte, avanza per la verità, la mitezza e la
giustizia. La tua destra ti mostri prodigi:le tue frecce acute
colpiscono al cuore i nemici del re; sotto di te cadono i
popoli. Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro giusto lo
scettro del tuo regno. Ami la giustizia e l'empietà detesti:
Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, a
preferenza dei tuoi eguali. Le tue vesti son tutte mirra, àloe e
cassia, dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre. Figlie di re
stanno tra le tue predilette; alla tua destra la regina in ori
di Ofir. Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il
tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua
bellezza. Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui. Da Tiro
vengono portando doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo
volto. |
Isaia. 51, 1-6
Così dice il Signore Dio: Ascoltatemi, voi che siete in cerca di
giustizia,voi che cercate il Signore;guardate alla roccia da cui siete stati
tagliati,alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad
Abramo, vostro padre,a Sara che vi ha partorito;poiché io
chiamai lui solo,lo benedissi e lo moltiplicai. Davvero il
Signore ha pietà di Sion,ha pietà di tutte le sue rovine,rende
il suo deserto come l’Eden,la sua steppa come il giardino del
Signore. Giubilo e gioia saranno in essa,ringraziamenti e
melodie di canto! Ascoltatemi attenti, o mio popolo;o mia
nazione, porgetemi l’orecchio. Poiché da me uscirà la
legge,porrò il mio diritto come luce dei popoli. La mia
giustizia è vicina,si manifesterà la mia salvezza;le mie braccia
governeranno i popoli. In me spereranno le isole,avranno fiducia
nel mio braccio. Alzate al cielo i vostri occhie guardate la
terra di sotto,poiché i cieli si dissolveranno come fumo,la terra si logorerà come un vestito
e i suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia salvezza
durerà per sempre,la mia giustizia non verrà distrutta.
Il profeta, detto Secondo Isaia, che scrive queste pagine per
le popolazioni della Giudea che rimpiangono Gerusalemme
dall’esilio, sente di dover portare speranza alle famiglie
desolate dalla lontananza, soggette a Babilonia sotto il comando
del re pagano e della popolazione ostile. Se il popolo non è
tipicamente schiavo, tuttavia è bloccato in terra straniera e
non ha prospettive nuove se non la fine e la morte anche della
propria gente. Il profeta ha compassione di questo travaglio
sordo e continuo del cuore dei suoi compatrioti e, prospettando
coraggiosamente una visione sul futuro di Israele, incoraggia il
popolo ad “ascoltare”: un verbo prezioso e di dialogo, qui
ricordato almeno tre volte nei primi 8 versetti del capitolo 51.
E’ un verbo che Dio usa per farsi capire e per fare intendere la
propria singolarità: «Ascolta, Israele: YHWH è il nostro Dio,
YHWH solo». E’ l’affermazione della fede e, nello stesso tempo,
la preghiera di ogni ebreo da millenni (detta Šema): “Ascolta,
Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu
amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta
l’anima e con tutte le forze” (Deut 6,4-5). Ma “ascolta” è anche
la preghiera del fedele che vuol far sentire i propri lamenti e
le proprie suppliche a Dio per essere esaudito. Salomone prega
nella Dedicazione del tempio: (1Re8,30) “Ascolta la supplica del
tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo
luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e
perdona!” L’orecchio e quindi la bocca sono fondamentali per il
propri rapporto con Dio e quindi nelle relazioni con il
prossimo. L’ascoltare suppone un reciproco, alternante silenzio: è
attenzione, attesa, fiducia; è aspettare per capire. E il
silenzio può sembrare vuoto o eco senza percezione, o
solitudine. Ma è produttivo, è carico di novità. Infatti non ci
si scavalca nelle parole, non si urla contemporaneamente la
propria fatica o delusione. Quando ci si comporta così, non
avviene niente, non ci si capisce. Non c'è fiducia e non c’è
speranza. L’ascolto, qui, apre alla memoria, alla memoria della
propria radice e quindi “della cava da cui ogni figlio del
popolo di Dio è stato estratto”, pietra solida da costruzione: e
il Signore promette la continuità, facendo memoria di Abramo e
Sara: una famiglia senza figli e quindi sterile. Eppure ,
ascolta! Dio fa sorgere da loro una progenie e dal deserto un
giardino come quello splendido della creazione. Dio è più grande
di qualunque potenza e di qualunque essere umano. Così, dopo
aver probabilmente pronunciato la strofa di un inno (v.3), il
profeta garantisce, non solo al suo popolo, ma anche a tutte le
nazioni, il meglio della giustizia e della pace per tutti: “la
legge che procede da Lui, il diritto come luce dei popoli, la
giustizia di Dio che è vicina, il potere (le braccia) di Dio
come giudizio dei popoli”. E se il tempo logorerà il cielo e la
terra e la morte sembrerà che faccia da padrona, la giustizia e
la salvezza di Dio dureranno per sempre.
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Seconda Corinzi. 2, 14-16b
Fratelli, siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa
partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per
mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! 1 Noi siamo
infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si
salvano e per quelli che si perdono; 16per gli uni odore di
morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita.
Questa seconda lettera ai Corinti, che va collegata con la
prima per il suo intreccio di amicizie di attenzione, di
responsabilità, di fatiche, è anche una delle più personali di
Paolo dove vengono affrontati gravi problemi della Chiesa di
Corinto e i molti malintesi di cui Paolo si lamenta. Tuttavia,
nelle pagine di questa lettera, Paolo, accusato e respinto dai
suoi, o almeno da alcuni, è fermamente deciso a difendere la sua
autorità apostolica. In tutta coscienza "è particolarmente verso
di voi" Paolo garantisce che si è comportato “con la santità è
la sincerità che vengono da Dio, e non con la sapienza della
carne ma con la grazia di Dio” (v 1,12). Con la fiducia, perciò,
e la riconoscenza propria da offrire a Dio che lo ha chiamato
alla vittoria di Cristo, Paolo fa ricorso a due immagini che si
intersecano tra loro: Cristo trionfa nel mondo come un
imperatore che ha conquistato e vinto i nemici. Nel suo
itinerario che si svolge tra ali di folla osannanti, il
vincitore passa in una scia di profumi che proviene da bracieri
che venivano accesi lungo la strada per l'occasione. Le essenze
più diverse e forti inebriavano gli spettatori che si sentivano,
perciò, esaltati da questo profumo inebriante di gioia. Paolo
sente, a buon diritto, di essere riconoscente perché al seguito
di Gesù vincitore che ha vinto la morte, attraverso il suo vangelo, vince ovunque
l'ignoranza e sparge “il profumo di Cristo”. A questo trionfo
Paolo, con il suo apostolato, sente di collaborare con Gesù,
portando "il profumo della sua conoscenza di Gesù nel mondo
intero" (v 14). E ricorda che questa diffusione avviene anche
attraverso l'esperienza e la testimonianza degli altri
discepoli, "per mezzo nostro". C'è una bellissima attestazione
di consapevolezza e di grazia: "noi siamo infatti davanti a Dio
il profumo di Cristo". Ma come Cristo è stato il segno di
contraddizione nel mondo (Lc 2,34), e pietra d'inciampo (Mt
21,42-44), così anche noi, con il nostro comportamento coerente,
possiamo diventare anche pietra d’inciampo laddove il messaggio
di Gesù è rifiutato con lucidità, e può diventare “odore di
morte per la morte”.
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Giovanni. 5, 33-39
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: “ Voi avete inviato dei messaggeri a
Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza
da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che
arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua
luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che
il Padre
mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano
di
me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato
testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai
visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a
colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse
la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me”.
Gesù è entrato in una dura polemica con i Giudei. L’occasione è la guarigione
che ha offerto ad un paralitico che da 38 anni era malato e che, sotto i portici
"alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2),
era in permanenza desideroso di potersi buttare nell’acqua quando “un angelo, ad
intervalli scendeva nella piscina ed agitava l’acqua. Il primo ad entrarvi dopo
l’agitazione dell’acqua, guariva”. La guarigione avviene nello stupore di tutti
ma anche nella indignazione, tanto più che il paralitico, ora guarito, porta
sulle spalle il suo pagliericcio per tornare a casa. Frastornato ma anche
consapevole che chi lo ha guarito, senza guardare il calendario della settimana,
ha una autorevolezza che supera la stessa legge del sabato, diventa il centro di
un contenzioso tra la liberazione di una persona e il rispetto della legge.
Certamente il mondo delle autorità religiose resta confuso ma inizia una
discussione pesantissima e feroce: non se la sente di porre in dubbio il valore
della legge in confronto alla guarigione. E Gesù non mitiga per niente il
contrasto, anzi risponde: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero” (5,17).
Esplodono ancor più l’odio e la volontà di vendetta poiché: ”i Giudei cercavano
ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio
suo Padre, facendosi uguale a Dio (5,18).
Gesù sente di dover rendere una sua testimonianza poiché il passaggio oltre
la legge è troppo forte. D’altra parte ogni profeta doveva poter giustificare
l’autenticità della sua missione da parte di Dio. Gesù elenca le divers«testimonianze»
in suo favore, che provengono tutte da Dio (v 32): quella del Battista (vv
33-35), quella dei miracoli (v 36), quella del Padre (vv 37-38) e
quella delle Scritture (v 39). Giovanni stesso, “che è solo un uomo ed è solo
lampada”, ha anticipato la testimonianza per loro, dichiarandosi inviato a
preparare la strada, testimone veritiero a cui i Giudei hanno creduto. Ma poi ci
sono da parte di Dio direttamente le opere di salvezza dei malati e dei poveri
che ritrovano fiducia e libertà, Le attestazioni del Padre e le Scritture, che i
giudei ritengono fonte di vita, testimoniano a suo favore. La presenza di Dio
è quella della misericordia, dell’attenzione al suo popolo, della vicinanza
verso il mondo dei poveri e dei disperati. Questo è lo stile di Dio che si
manifesta in Gesù. Il mondo delle autorità ebraiche non sa vedere la sofferenza
del popolo, mitizza la legge e la fa diventare angoscia e oppressione. Così non
si rallegra della liberazione dalla malattia e dal male. Non può capire.
Infatti, malgrado queste
testimonianze, i Giudei rifiutano di credere in Gesù (vv 40-44); così essi
saranno accusati dallo stesso Mosè, nel quale pongono la loro speranza (vv
45-47). Quando Gesù sarà salito al Padre suo, lo Spirito renderà testimonianza.
Scenderà sul suo popolo e sui discepoli i quali riprenderanno l’attenzione e i
sentimenti di Gesù per il popolo in cui vivono. Noi siamo gli ascoltatori della
parola di Gesù e i testimoni. E’ difficile avere lo stesso stile di Gesù ogni
giorno, poiché richiede intelligenza e profondità, fedeltà e silenzio, oltre,
ovviamente, la grazia di Dio. L’udire, spesso, non ci sembra sufficiente e ci
fidiamo di più del vedere, dell’illusione, dell’impressione, della vanità come
il mondo greco che privilegiava la vista. Il mondo ebraico e quindi cristiano
privilegiano l’ascolto: “Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto;
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29). Il Signore ci ha
dato i cinque sensi per metterci in relazione e in comunione con la realtà, ma
siamo incoraggiati all’ascolto, all’attesa operosa, cambiando nella speranza e
nella libertà questo nostro mondo. |