
IV Domenica dopo il
martirio di San Giovanni Battista
23 settembre 2012
Giovanni. 6, 41-51
Riferimenti : primo libro dei Re. 19, 4-8 - Salmo 33
- Prima lettera ai Corinzi. 11, 23-26 |
Esultate, giusti, nel Signore; ai retti si addice la
lode. Lodate il Signore con la cetra, con l'arpa a dieci
corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate. Poiché retta è la
parola del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama il
diritto e la giustizia, della sua grazia è piena la terra. Dalla
parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua
bocca ogni loro schiera. |
primo libro dei Re. 19, 4-8
In quei giorni. Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia!”. Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.
Elia si è opposto alla idolatria ed ha affrontato anche il
“giudizio di Dio” con una sfida ai 450 sacerdoti di Baal, il Dio fenicio. Aveva vinto con il fuoco dal cielo che
il Signore ha inviato ed ha incenerito con l’offerta anche tutto l’altare di pietra (1 Re. 18,
16b-40a). Ma la successiva vendetta di Elia, che
riteneva di vendicare l’onore di Dio uccidendo i sacerdoti di Baal, e
insieme la sofferenza e la sottomissione dei suoi gli allontanò ancora il popolo che, dopo un momento di esultanza
e di alleanza con Elia, era ritornato ad essere soggetto al re e alla moglie Gezabel, figlia del re di Tiro
(pagana) e ardente missionaria della sua religione pagana. Così Elia fuggì intraprendendo un pellegrinaggio al
monte Sinai, alla ricerca del volto di Dio, come per Mosè, poiché non capiva più il comportamento di Dio verso
di lui e il suo popolo. Egli voleva scoprire le strategie di Dio, ma ricevette una esperienza, assolutamente
diversa da come se la sarebbe immaginata. Il primo significato di questo brano è la ricerca di Dio e
delle sue scelte. Elia era fedele e non comprendeva. Ma non voleva scoraggiarsi perché lo alimentavano una fede
profonda ed una fiducia che gli faceva superare la fatica del disorientamento. Dio non è facile da accostare. Egli si nasconde e questo
provoca scoraggiamento (v. 3), la
tentazione classica del profeta {Gen 21,14-21; Giona 4,3-8; Num
11,15; Ger 15,10-11; Mt 26,36-46). Eppure Elia ha riportato una grande vittoria al Carmelo ( 1 Re 18). Ma
la solitudine del dover reggere la fatica di un popolo infedele lo ridusse alla prospettiva di abbandonare,
di fermarsi e di dormire, stremato dal buio che aveva davanti a sé. La regina Gezabel aveva ancora
vinto, Elia si ritrovòa quindi solo, come più tardi Cristo; non gli rimase che rimettersi a Dio. Ma Dio gli offrì una segno per trarlo dalla disperazione;.
Non abbandonò il suo eletto, così come non abbandonerà il suo Cristo (Le 22,43). Un pane e
un'acqua miracolosi (v. 6 ) ricordavano ad Elia la
manna del deserto e l'acqua della roccia ( E s 16,1-35;
17,1-7). Così, il memoriale della Pasqua del popolo fu
il mezzo più sicuro per curare lo scoraggiamento. Il Signore suggerì di misurarsi a Mosé, il mediatore che
spesso si sentiva solo. Ma nutriva un profondo amore al suo popolo, pur infedele, e una profonda fiducia in
Dio con cui discuteva e si confrontava. Ma il cammino lo doveva fare tutto. Elia non venne sollevato su ali
di aquila, né dispensato dalla fatica del camminare su un terreno inospitale. Ma scoperse che l Signore
si fidava di lui e lo attendeva. Infatti camminerà quaranta giorni (v. 8): il tempo della prova,
della conversione, della vita.
.L'accostamento fra Elia e Mosé ci viene ricordato
anche nel Vangelo nel momento in cui Gesù si: svela nella Trasfigurazione per incoraggiare i discepoli a non
disorientarsi di fronte alla morte di croce di Gesù stesso. Essi indicano la gratuità nei confronti di Dio e del
suo popolo. Così essi furono chiamati e tutto quello che facevano era a servizio di un popolo perché
potesse crescere. Essi aiutavano il Signore a realizzare il sogno di un popolo santo. ( M t 17,3; Apoc
11,1-13).
Finché il cristiano ha la certezza di possedere la «virtù» ed
è sicuro della sua « verità » in tasca, finché il sacerdote è sicuro di sé, del suo ruolo e della sua
influenza, c'è ancora posto per Dio? Queste sicurezze e queste certezze sono troppo umane per essere segno di Dio.
Quando invece tutto ciò crolla improvvisamente — e ogni vita conosce questo smarrimento —, quando le virtù
che si credeva di possedere diventano, ad un tratto, peccati e viltà, quando le verità tranquillanti e i
luoghi comuni e le regole di società e i diritti di casta sono ad un tratto messe in discussione, Dio può finalmente
agire.
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Prima lettera ai Corinzi. 11, 23-26
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Siamo attorno all'anno 56 d.C. e Paolo vuole impegnare
l'assemblea a consolidarsi, partecipando al pasto sacro comune, con la prospettiva, non tanto di catturare Gesù
e tenerselo vicino, quanto per alimentare sé e gli altri fratelli e sorelle nelle loro vocazione e nelle sue
scelte. Di Corinto, una comunità che Paolo conosce bene perché vi ha
abitato molti mesi, si ricordano le divisioni e gli scandali presenti nella comunità. L’apostolo vuole
mettere ordine, soprattutto vuole intervenire nelle assemblee comunitarie quando ci si ritrova, in particolare,
per l'Eucaristia. Nei capitoli che vanno dall'11 al 14, per inquadrare il testo
di oggi, Paolo prende in considerazione alcune deviazioni presenti nella Comunità (11,2-14,40): il
comportamento delle donne in assemblea (11,2-16), il modo di celebrare la Cena del Signore (11,17-34), il retto
uso dei doni dello Spirito (carismi) nella Comunità (cc.12-14). Qui, dove si parla della "Cena del Signore", ci
sono elementi importanti che hanno trasformato la cena Pasquale di condivisione in cena dove si celebrano la
croce e il sacrificio di Gesù. Si parla, in particolare, del fare memoria.. Fare memoria non
è tanto un ricordare ma è rendere presente la realtà, l'evento che si vuole ricordare. Gesù stesso,
celebrando la Pasqua ebraica, ha fatto memoria del dono della liberazione ed ha anticipato nel gesto, che compie
nella cena, il dono di amore al Padre, mediante la croce. La Comunità di Corinto è composta, nella quasi totalità, da
gente povera, braccianti, scaricatori del porto, schiavi. I ricchi sono pochi, ma si fanno notare per la loro
supponenza. Quando si trovano per lo spezzare del pane, già nel primo pomeriggio si abbandonano a gozzoviglie
mentre i fratelli sono al lavoro. Quando, sfiniti dal lavoro, questi ultimi si presentano per la celebrazione,
sono accolti con disprezzo. Paolo, allora, è preoccupato di chiarire il significato dello spezzare il
pane. “Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere?” (che significa: “Se avete voglia di mangiare e
bere, state a casa vostra” (11,22). Il trovarsi allo spezzare il pane ci offre la possibilità di
rendere presente e di celebrare il dono di Gesù al Padre che si esprime pienamente nella morte sul Calvario per
una profonda comunione con i fratelli. Ma il celebrare ci invita non solo al gesto liturgico ma,
attraverso quello, a ripetere ciò che il gesto significa e di cui Gesù è il modello. Proprio per questa comunione S. Paolo
si preoccupa: i credenti di Corinto hanno trasformato la cena del Signore in un segno menzognero che
non può essere accettato. Non sono sinceri perché prendono parte
ad un corpo che viene donato e al sangue che viene sparso per
gli altri senza donarsi, a loro volta, per i fratelli. Paolo vuol far capire che
l'Eucaristia, mentre offre la presenza unificante di Gesù che ama e muore per amore, simboleggia e realizza l'unione di
tutti i membri nell'unico corpo di Cristo che è la Chiesa. Spezzare il pane è un gesto di comunione e di
disponibilità a donare se stessi come ha fatto Gesù. Se ci sono altri criteri, questa Comunità "mangia e beve la
propria condanna" (11,28-29) perché la celebrazione diventa menzogna. Il bere allo stesso calice, poi, nella cultura semitica,
significa essere disponibili a condividere lo stesso destino fino alla morte. Quello che è difficile capire è che la liturgia corre sempre
il rischio di diventare solo rito, pratica a cui si partecipa per dovere senza rendersi conto che, se si è in
comunione con Gesù, ovviamente, si imposta seriamente una comunione con i fratelli. Altrimenti, senza
questa coscienza e questa fede, resta solo un gesto formale che non alimenta e non salva nessuno. La cena del Signore è così messa al centro, fonte e culmine
dell'esistere della Chiesa, dono grande per una comunità che resta nell'attesa, dono che significa impegno di
responsabilità nella storia, dono per ricordare a vivere l'amore totale di Gesù. |
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Giovanni. 6, 41-51
In quel tempo. I Giudei si misero a mormorare contro il
Signore Gesù perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano: “Costui
non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come
dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?”.Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi.
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò
nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti
saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non
perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in
verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. I
o sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;questo è il pane che discende dal cielo, perché
chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo,disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane
vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Il brano che stiamo leggendo fa parte di un lungo discorso che Gesù sviluppa
a Cafarnao e che Giovanniriprende, comunicandocelo con intelligenza e profondità. Ma è difficile
capire quanto potessero accettarequeste affermazioni di Gesù coloro che ascoltavano, poiché sono sconvolgenti.
Probabilmente Giovanni haelaborato nella sua fede, per la sua Comunità cristiana, un conflitto che è
sorto tra coloro che lo avevanoseguito: prima scettici, poi stupiti del pane spezzato per 5000 persone, poi
deluse poiché all’esplosione digioia e al tentativo di sequestrarlo perché finalmente diventasse re, Gesù se
ne va e diventa irreperibile. (6,1-15).Il giorno dopo, coloro che lo avevano seguito, pedinato, cercato, si
ritrovano Gesù dall’altra parte del lago ecuriosi vogliono sapere come ci fosse arrivato, visto che alcuni avevano
aspettato che dalla riva opposta sistaccassero anche le ultime barche, compresa quella degli apostoli. Ma lì
sopra Gesù non si era imbarcato.Non sanno che Gesù, di notte, nella tempesta, aveva camminato sul mare. Così
gli apostoli avevano visto escoperto anche la sua potenza creatrice e ordinatrice di Dio (6,16-21),. Ma
avevano capito anche che Eglirifiutava il potere sugli uomini come la folla pretendeva offrirgli.Inizia così la ricerca del significato della sua persona (6, 22-51).I Giudei erano coloro che si contrapponevano a Gesù, perciò Giovanni non li
chiama così per un riferimentogeografico:( abitanti della Giudea); questi sono di Cafarnao, del nord,
Galilei. Per Giovanni i giudei sonotutti quelli che si oppongono a Gesù.E’ molto curiosa la polemica poiché iniziò con il riferimento al pane che
avevano mangiato il giorno prima,ed avevanp nella memoria il richiamo della manna, mandata da Dio attraverso
Mosè, per vivere nel deserto.Ma ora si parlava di un nuovo pane. Gesù lo identificò con la sua persona e
affermò che discendeva dal cielo.Gli abitanti di Cafarnao e di Nazareth si conoscevano tutti tra di loro e per
ogni persona riconoscevano gliascendenti, le origini ed il lavoro. Con facilità intravidero nel linguaggio
di Gesù il pane come richiamo allaconoscenza, come comprensione di un mondo sconosciuto e benefico che alimenta
intelligenza e cuore. Ma iGiudei avevano già un pane che sazia: la Torah (la Legge di Mosé) e il
Siracide ricorda che Dio “nutrirà ilgiusto con il pane dell'intelligenza e lo disseterà con l'acqua della
saggezza" (Sir 15,3). Dicendo di essere ilpane, Gesù stava salendo nel mondo inimmaginabile di Dio. e della sua parola.
Dichiarava, anzi, che Egli erail vero messaggero di Dio e credere in Lui era frutto di un regalo del Padre,
non opera di buona volontà e difiducia.Si mescolavano, da parte di Gesù, comunicazioni impensabili che
scandalizzavano sempre più. Egli dicevadi conoscere il Padre, di aver imparato direttamente da Lui, ed era pronto,
come hanno garantito i profeti che“Saranno ammaestrati da Dio”. In questo ammaestramento viene donata la vita
eterna e la vittoria sullamorte con la risurrezioneGesù si rendeva conto delle loro perplessità, ma continuava ad usare una
immagine che per un ebreo erablasfema: Egli aveva una conoscenza intima con Dio, più grande di quella di
Mosé e dei profeti. Gesùarrivava a garantire di aver veduto il Padre, di aver ascoltato la sua
Parola. Così affermava di essereassolutamente unico, nonostante la sua fragilità, e si presentava, nella sua
presenza tra loro, come il piùgrande dono che Dio offriva, come unica parola concreta e nuova, come vertice
di tutta la rivelazioneChiaramente tutta questa discussione doveva aver fatto inorridire i suoi
ascoltatori che avevano ormaidimenticato lo spezzare del pane del giorno prima. Ma Gesù riprese il filo
della sua rivelazione. “Io sono ilpane della vita” e quindi sono la conoscenza piena di Dio. Giovanni non era
ancora nella parte piùpropriamente eucaristica. C’era il confronto con la manna, l’alimento della
vita nel luogo della desolazione.Perciò Gesù era il nuovo alimento che addirittura manteneva la vita e
sconfiggeva la morte. Alla base diquesta rivelazione resisteva l’affermazione iniziale di Giovanni che
riassumeva tutto il mistero dellacreazione e della salvezza attraverso una presenza nuova, debole eppure
eterna, discreta nella proposta,eppure indispensabile per una vita piena. “Il Verbo si fece carne ed abitò
tra noi" ( Gv 1,14).Questa rivelazione si propone alla nostra ricerca di senso, al significato
dei valori che stentiamo a formulare,.La presenza di Gesù. tuttavia, ha bisogno di essere accolta, capita,
maturata, interpretata. Noi credenti siamochiamati ad accettare che la nostra vita è nella fragilità di Gesù, non nella
potenza e nella visibilità. E Gesù,nella contestazione che riceve fino alla morte di Croce, è il vero itinerario
per la vita eterna, come il piùgrande segno dell’amore del Padre.
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