I Domenica dopo
il martirio di San Giovanni Battista
2 settembre 2012
Giovanni. 3, 25-36
Riferimenti :
Isaia 29, 13-21,13
- Salmo 84 -
Ebrei. 12, 18-25 |
Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti! L'anima mia languisce e brama gli atri
del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio
vivente. Anche il passero trova la casa, la rondine il nido,
dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli
eserciti, mio re e mio Dio. Beato chi abita la tua casa: sempre
canta le tue lodi! Beato chi trova in te la sua forza e decide
nel suo cuore il santo viaggio. Passando per la valle del pianto
la cambia in una sorgente, anche la prima pioggia l'ammanta di
benedizioni. |
Isaia 29, 13-21,13
Dice il Signore: «Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani, perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo; perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti».Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista
del Signore per dissimulare i loro piani, a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?».Che perversità! Forse che il vasaio è stimato pari alla creta? Un oggetto può dire del suo autore: «Non mi ha fatto lui»? E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»?Certo, ancora un po’ e il Libano si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà considerato una selva.Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla. Isaia 29, 13-21 Il re Ezechia, sovrano del piccolo regno di Giuda, figlio del re
Acaz che ha sempre rivendicato la sua idolatria, associato al trono già dal 728, regna tra il 716 e il
687, ed è particolarmente importante per la riforma religiosa che si impegna a sviluppare. Nella Scrittura si parla molto bene di questo sovrano poiché ha
messo mano ad una intelligente e coerente revisione del culto e della religione ebraica. La riforma sembra essere stata particolarmente impegnativa nella
restaurazione del culto di YHWH, eliminando il culto cananeo e i luoghi sacri pagani. Il re
s’impegna sulla centralità del tempio di Gerusalemme, aiutato dall’azione di alcuni profeti che lo
incoraggiano nel coordinare gli impegni del cambiamento. Avendo, di riflesso, assistito al crollo del regno d’Israele (il
regno del nord o di Samaria) nel 721, ad opera degli assiri, il piccolo regno di Giuda è rimasto come un
cuscinetto tra le conquiste assire e il mondo egiziano. Il re di Giuda paga certo le tasse al regno assiro, ma
è indipendente, anzi si rafforza, conquistando popolazioni e città vicine, e si allarga territorialmente,
pretendendo addirittura di contrastare il regno assiro. I preparativi per la guerra, segretamente alleandosi con gli
egiziani, devono dare una spallata al mondo assiro. Il tutto è molto contrastato da Isaia che vede
l’operazione come una pazzia. Di fatto, nel 701 il re assiro Sennacherib scende verso la costa, nella regione dei
filistei, abbatte tutte le fortezze e invita Gerusalemme ad arrendersi. Quindi, superando le incertezze, di
fatto assedia la città e vi rinchiude la popolazione. Ma, improvvisamente, e non si sa veramente perché,
da un giorno all’altro viene tolto l’assedio, forse per una epidemia, o per un aiuto consistente degli
egiziani, o per motivi politici interni al mondo assiro, o addirittura per un atto di sottomissione del re che, comunque,
invia grande quantità di oro e argento a Ninive come tributo. I fatti storici precedenti aiutano a cogliere il senso delle
parole di Isaia, Il profeta, che è vigile custode del rapporto di fiducia nell’Alleanza con il Signore, individua,
nella religiosità che si pratica in Giudea, un pericolo sempre esistente che qui acquista caratteri molto
evidenti: diffusa superficialità, un forte formalismo nella pratica del culto, tenace attaccamento ai
gesti, scrupolo per assolvere precetti, parole di preghiera ripetute con le labbra, senza una consapevolezza ed
una adesione di cuore. Ma Dio vuole il cuore, poiché è proprio il cuore che si allontana da Dio oppure lo ama,
lo cerca, si fida. Il cuore, nel mondo ebraico, esprime tutta l'interiorità della persona. Più che incontrare il Signore, ci si accontenta di gesti, di
parole e di un miscuglio di poche regole. E dal momento che la gloria di Dio è ricordata con stupore per i
suoi interventi prodigiosi a salvezza del popolo, bisogna stare attenti – dice il profeta- che la stessa
potenza di prodigio non possa addirittura rivoltarsi contro il popolo indegno. E i prodigi potrebbero
diventare avvenimenti disastrosi e terribili. Nel suo duro rimprovero, il profeta richiama le furbizie nascoste
dei sapienti che credono che le loro trame sfuggano agli occhi di Dio e ai suoi profeti, da Lui illuminati.
L’immagine interessante e concreta del vasaio, in una società contadina dove si ha particolarmente bisogno del
suo lavoro, illustra il rapporto di libertà tra Dio e il suo popolo. E non a caso questa immagine è privilegiata
poiché nella Scrittura si parla dell’uomo, fatto con la polvere della terra, con gesti propri del vasaio. Poi, di colpo, dal versetto 17, cambia il messaggio che diventa
portatore della salvezza di Dio, manifestandosi nell’abbondanza dei prodotti agricoli e nel
ricupero della piena autonomia della persona, in particolare dei sordi e dei ciechi che sono così in grado di
cogliere in pienezza il mondo. Così l’intervento, a tutto campo, è significato anche dal numero 4 (l’orizzonte
umano): Libano, frutteto, ciechi e sordi. I risultati sono la pienezza della fiducia, il trionfo della giustizia, la
pace. L’elenco ci riserva un bel numero: il 7 che è la completezza, la bellezza e la grandezza del cielo e della
terra. Il messaggio di Isaia, al di là della collocazione e gli
avvenimenti storici, ricorda che una società si costruisce nella giustizia e nella coscienza profonda di un
dialogo con Dio nell’esistenza quotidiana. La religione diventa insignificante e addirittura pericolosa quando
si riduce a formalità. Essa illude le persone di correttezza, semplicemente perché si rispettano le regole del
culto. |
Ebrei. 12, 18-25
Voi infatti non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta,né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Non potevano infatti sopportare quest’ordine: Se anche una bestia toccherà il monte, sarà lapidata. Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele. Perciò guardatevi bene dal
rifiutare Colui che parla, perché, se quelli non trovarono scampo per aver rifiutato colui che proferiva oracoli sulla terra, a maggior ragione non troveremo scampo noi, se volteremo le spalle a Colui che parla dai cieli. Ebrei. 12, 18-25 Verificandosi diverse provenienze dei cristiani dal paganesimo o
dall’ebraismo, nella Comunità cristiana sorgono facilmente nostalgie, ma anche di recriminazione per la
cultura in cui si è cresciuti e che influenza, spesso, ancora molto, i pensieri e le linee di comportamento.
Bisogna saper fare una seria distinzione, a partire dalle scelte che si sono fatte, ed è necessario un tempo
di verifica e di riflessione per rimettere a posto e coordinare il cammino che si è scelto un tempo, ma che
continua ad essere messo a rischio da sentimenti, ricordi, nostalgie, complessi di colpa. Qui l’autore biblico sente l’esigenza di contrapporre due
immagini di montagne che sono anche luoghi dove Dio si è fatto presente: il Sinai e Sion. Il Sinai, al tempo della liberazione dall’Egitto, fondamento
della storia religiosa e della consistenza sociale del popolo d’Israele, è il luogo dove sono avvenuti fenomeni
grandiosi, richiamo di dominio e di terrore, come spesso appaiono i fenomeni naturali: lingue di fuoco,
tuoni, oscurità e tempesta. La rivelazione del Sinai si svolge su una montagna avvolta di
fuoco, di tempesta e di oscurità, tra squilli di tromba e parole terrificanti. Il popolo, impaurito, scongiura
Dio che gli parli attraverso Mosé. In realtà, lo angoscia, insieme, la possibile lontananza da Dio e il terribile
comando di dover perfino lapidare un animale che avesse toccato il monte su cui Dio appare (vv19-20). Mosé
stesso, di fronte a questa grandezza terribile, si sente tormentato e tremante. Così dominante è la paura. La nuova montagna, Sion, la montagna di Gerusalemme, è il luogo
della festa, l’assemblea di uomini liberi e giusti in compagnia degli angeli. E’ stata resa tale da Gesù che
svela il volto di Dio Padre, del Dio creatore innamorato della nostra libertà, del Dio amico (noi, infatti,
siamo diventati amici di Gesù e non servi: Gv 15,15). E se nell'Antico Testamento ci sono stati molti i
mediatori tra il Signore e il suo popolo, oggi c'è un solo mediatore, Gesù. E se la mediazione, in particolare, viene
ricordata, per l’antichità, con il significato del sangue delle offerte, uccise in onore a Dio e per il sangue di
Abele, il giusto, che grida giustizia (Gen 4,10), qui il sangue di Gesù, da sé solo, ha la potenza e la pienezza
di introdurci nel tempio di Dio (10,19). Il sangue, nel mondo ebraico, è la vita e per rispetto alla vita
non lo si può né bere e né mangiare. Gesù, invece, proprio per la forza del sangue che comunica la vita,
trasforma l’offerta del suo sangue come incontro di dono di vita e come un banchetto di pace. L’autore di questa lettera, fiducioso della comprensione dei
suoi lettori credenti, incoraggia perché non rifiutino Cristo, il Dio che parla dal cielo con una parola
eterna (e il richiamo è ancora ad Abele che grida dalla terra). |
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Giovanni. 3, 25-36
In quel tempo. Nacque allora una discussione tra i discepoli
di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale.
Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te
dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta
battezzando e tutti accorrono a lui». Giovanni rispose: «Nessuno
può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete
testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo
sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e
l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io,
invece, diminuire».Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene
alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta
ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la
testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato
dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. Il Padre ama il Figlio e gli ha
dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio
non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.
Giovanni Evangelista vuole sviluppare, in questo capitolo, la conoscenza di Gesù
attraverso due testimonianze: quella di Nicodemo e quella di Giovanni il Battista.
Nicodemo interpella il significato dell’azione di Gesù con il valore dei suoi
segni e Giovanni Battista,interrogato da persone del suo gruppo e da discepoli, dice la sua testimonianza
come la persona più qualificata a svelare il mistero di Gesù, per quanto possibile, poiché ormai a
lui riconoscono il ruolo di profeta.
E’ la prima e unica volta che troviamo nel Vangelo il ricordo di Gesù che
battezza egli stesso, dopo essere stato battezzato da Giovanni il Battista. (ma subito dopo, nel suo vangelo,
Giovanni evangelista rettifica dicendo che sono i discepoli e non lui che battezzano: v 4,1). Proprio questa
iniziativa disorienta nella cerchia del Battista. Gesù dovrebbe essere sottomesso a Giovanni, dovrebbe non
sostituirlo nel compiere i gesti della purificazione, non dovrebbe strappargli le folle che adesso si
riversano da Lui. Tutti questi pensieri vengono, più o meno chiaramente, riportati a Giovanni con
un miscuglio di risentimento e di gelosia, ritenendo così di fargli piacere. Insieme, questa specie di
concorrenza senza neppure aver avvisato Giovanni sa, almeno, di poco rispetto.
Giovanni spiega con molta umiltà e coerenza, valorizzando Gesù e dandogli una
grande testimonianza. Non lascia nulla in sospeso, non restano malintesi né rammarichi.
Giovanni richiama il suo ruolo e la sua vocazione. Afferma di essere
semplicemente "mandato innanzi a lui"e ricorda loro la propria testimonianza quando era stato ufficialmente
interpellato: "Non sono io il Cristo".Essi stessi ne sono stati testimoni. Questo Giovanni lo dice mentre,
probabilmente, tutti ricordano che Gesù era stato con loro discepolo di Giovanni ill Battista. Giovanni gli dà
testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me” (Gv1,15).” (E qualcuno
interpreta:”Viene dopo di me” con il compito del discepolo di seguire il maestro)Qui vengono introdotte le due immagini della sposa e dello sposo e quella
dell’amico dello sposo. Ma Giovanni non intende, prima di tutto, fermarsi al riconoscimento di Gesù.
Anche per lui è un mistero da scoprire. Quindi si ferma sulla soglia. Ha capito che Gesù è più grande. Ma
tiene a voler chiarire la sua posizione, che è quella di essere l’amico che prepara le nozze, che prepara la
sposa all’incontro. E la sposa è il popolo di Dio che si è purificato attraverso la predicazione di Giovanni. Il
Battista ha tutto preparato perché l’incontro sia splendido, gioioso, pieno. Si risentono le profezie
sull’Alleanza di Osea, di Isaia, di Geremia. Giovanni parla della sua gioia piena poiché la sposa è pronta e lo
sposo è arrivato. Ora egli deve“diminuire fino a scomparire” perché il suo compito è finito.
Il testo successivo non è di Giovanni il Battista ma dell’evangelista che ha
profondamente partecipato, anche commosso, alla testimonianza del Battista, mentre scrive, e desidera continuare
a dire ciò che il Battista non poteva ancora capire.
Gesù viene dall’alto, è al di sopra di tutti.
Gesù rivela ciò che ha visto e udito, anche se nessuno accetta la sua
testimonianza. Ma Dio è veritiero e la sua parola è la prova vivente che Dio è fedele nella storia, anche se la fedeltà
di Dio è spesso ricercata su altre strade.
Gesù, annunciando la Parola di Dio, offre lo Spirito senza misura.
Tutto il mondo è nelle sue mani, tutto quel mondo che Dio ha creato. Perciò,
conclude l'evangelista, chi crede nel Figlio riceve la pienezza, la vita eterna, tutta la novità che Dio sa
offrire. Chi non ubbidisce al Figlio è lontano dalla vita piena e non coglie nessuna bellezza: "l'ira di Dio
incombe su di lui". Ma la situazione più drammatica che ci può capitare è voler allontanare Dio
La discussione tra i discepoli è un paradigma di ciò che avviene nella vita.
Vogliamo che si rispettino alcuni schemi, normalmente legati ai nostri diritti, ai riguardi di rispetto e di
anzianità, al fatto di essere primi o secondi, misurandoci su nostri criteri non verificati.
In questo testo Giovanni il Battista dice: “Il mio compito è preparare, essere
competente e testimoniare con la mia vita perché le persone che incontro rivedano i propri schemi mentali,
chiedano perdono delle rigidità di giudizio e della sclerosi del cuore riguardo Dio e quindi s’incamminino verso
di Lui. Per parte mia,accetto di mettermi a servizio di quello che il Signore mi fa capire”.I testi sull’autorità in cui Gesù parla di servizio: “Chi vuol essere il primo
tra voi sia servo di tutti”(Mc10,44) possono essere una traduzione nell’oggi, così come si può collocare
qui un famoso richiamo di don Lorenzo Milani agli educatori, ai responsabili di realtà pubbliche, alla
classe dirigente, ai Pierini, figli del dottore: “Fai strada ai poveri senza farti strada”( Lettera ad una
professoressa)
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