
II Domenica dopo il martirio di San Giovanni Battista
9 settembre 2012Giovanni 5,37-47
Riferimenti :
Isaia 63, 7-17
- Salmo 79 - Ebrei. 3, 1-6
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O Dio, nella tua eredità sono entrate le
nazioni, hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto in
macerie Gerusalemme. Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi
in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi fedeli agli
animali selvaggi. Hanno versato il loro sangue come acqua
intorno a Gerusalemme, e nessuno seppelliva. Siamo divenuti
l'obbrobrio dei nostri vicini, scherno e ludibrio di chi ci sta
intorno. Fino a quando, Signore, sarai adirato: per sempre?
Arderà come fuoco la tua gelosia? Riversa il tuo sdegno sui
popoli che non ti riconoscono e sui regni che non invocano il
tuo nome, perché hanno divorato Giacobbe, hanno devastato la sua
dimora. |
Isaia 63, 7-17
Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa d' Israele. Egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia. Disse: «Certo, essi sono il mio popolo, figli che non deluderanno», e fu per loro un salvatore in tutte le loro tribolazioni. Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato. Ma essi si ribellarono e contristarono il suo santo spirito. Egli perciò divenne loro nemico e mosse loro guerra. Allora si ricordarono dei giorni antichi, di Mosè suo servo. Dov' è colui che lo fece salire dal mare con il pastore del suo gregge? Dov' è colui che gli pose nell' intimo il suo santo spirito, colui che fece camminare alla destra di Mosè il suo braccio glorioso, che divise le acque davanti a loro acquistandosi un nome eter colui che li fece avanzare tra i flutti come un cavallo nella steppa? Non inciamparono, come armento che scende per la valle: lo Spirito del Signore li guidava al riposo. Così tu conducesti il tuo popolo, per acquistarti un nome glorioso. Guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia? Non forzarti all' insensibilità, perché tu sei
nostro Padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità.
Ciò che abbiamo letto è parte di una bellissima preghiera di
Israele, una delle più commoventi della Scrittura, (63,7-64,11) che nasce dalla esperienza dellesilio a
Babilonia. Siamo alla fine del secolo anti agli occhi resistono ancora vivissimi i ricordi della
distruzione di Gerusalemme (586 a.C.), le urla delle donne terrorizzate che fuggono con i loro figli, le
stragi per le strade e le fiamme che avvolgono i palazzi ed il tempio L'inizio della preghiera è come una confidenza, un pensiero di
speranza di Dio stesso, che si fida di questo popolo che ha aiutato in ogni modo. “Senzaltro - pensa
il Signore - questo popolo con la sua intelligenza e la sua sensibilità saprà riconoscere la bontà e
lopera svolta per loro. Certo- disse il Signore- essi sono il mio popolo e i figli che non deluderanno"
(v 8). Il profeta garantisce che questi sono i pensieri di Dio e lo fa
a nome di Dio, mentre ripensa ai significati della storia del popolo. Dio stesso si è fatto
carico della salvezza, non ha mandato un angelo o un messaggero, ma è stato Lui il Salvatore: “Non un inviato né
un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e
portati su di sé, tutti i giorni del passato” (63,9). Ma proprio questo Dio amorevole si sente tradito. Così
la riflessione teologica, propria del Primo Testamento, ritraduce la sventura successiva del popolo
d'Israele come conclusione della scellerata decisione di lacerare il patto di Alleanza da parte
dello stesso popolo. Ma, in tal modo, il popolo di Dio si è ritrovato solo, in un mondo di violenza e di
sopraffazione. Così litinerario del pentimento deve ricominciare dalle
origini, riandare al deserto e a Mosè che si fece umile mediatore e quindi ubbidiente testimone delle
promesse di Dio (v 16).. Cè una sintesi interessantissima che raccoglie in 5 frasi lopera discreta e
profonda di Dio ( “ Dovè colui che? Cinque come i libri della Legge: riassunto della sapienza e
della storia; vv 11-13). La preghiera si apre in una accorata invocazione a Dio che, per
la prima volta, viene chiamato Padre. Gli ebrei sono restii a chiamare Dio Padre poiché è questo il
titolo che i pagani utilizzano per i loro dei, che usano sposare le figlie degli uomini ed avere figli e
figlie. Ma Gesù questo titolo lo utilizzerà almeno 184 volte nei vangeli. Dio è lUnico, il Padre suo e di
tutti noi. Nella preghiera si fa riferimento ai Patriarchi: Abramo, Isacco
e Giacobbe che sono padri del popolo, ma, in questa circostanza, non possono fare niente e li hanno
dimenticati (v 16). Lesperienza e i ricordi, però, assicurano che “Tu non sai dimenticare e che la
tua parola resta intatta”. La supplica è coraggiosa ma tenerissima: “Tu stesso devi riscoprire il tuo
zelo e la tua potenza; il fremito di tenerezza e di misericordia" (v 15). Solo tu puoi cambiare il
nostro cuore, offrire il tuo Spirito, radunarci, farci tornare. Questa preghiera di grande respiro sul
mondo deve diventare la preghiera aperta del popolo cristiano. |
Ebrei. 3, 1-6
Fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l' apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo, il quale è degno di fede per colui che l' ha costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. Ma, in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore quanto l' onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi. Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la
speranza di cui ci vantiamo.
La lettera è indirizzata soprattutto ad una comunità di Giudei
cristiani. E piuttosto difficile, nella prima generazione della Chiesa, convincere i Giudei che
diventano Cristiani di lasciare completamente molta parte della loro vecchia religione, da sempre rispettata,
per accettare quella nuova. Alcuni erano propensi a ritornare al giudaismo dopo aver accettato la fede
cristiana. Gli argomenti principali sono la superiorità di Cristo come sacerdote su Aronne, e la superiorità
del sacrificio di sé stesso sulla legge. Tutto questo dimostra, infatti, non solo la superiorità di
Cristo, ma impegna anche che il sacerdozio di Aronne e i sacrifici della legge non debbono essere più
osservati. Dimostra anche che tutti i riti della legge che dipendono dal sacerdozio di Aronne e dai sacrifici a
questo collegati sono passati con essi. Gesù è chiamato “apostolo e sommo sacerdote”. Normalmente
lessere apostoli è dei discepoli inviati da Gesù, ma qui Gesù è il grande apostolo, cioè «inviato» da Dio
agli uomini (3,17+.34;5,36;9,7;Rm 1,1+;8,3;Gal 4,4) e sommo sacerdote, che
rappresenta gli uomini presso Dio (cf.2,17;4,14+;5,5.10;6,20;7,26;8,1;9,11;10,21). Il testo di oggi è allinizio della sezione che presenta Gesù:
"Sommo sacerdote, degno di fede e misericordioso" (3,1-5,10). Il termine di paragone è Mosè che ha
condotto il popolo verso la terra promessa. Sia Gesù che Mosè sono stati fedeli al Padre e tutti e
due hanno dato prova di tale adesione nella “casa di Dio”. Infatti Mosé e Gesù hanno operato nella
"casa" (che è il popolo d'Israele). Ma Mosé ha avuto da Dio un incarico come servo mentre è membro del
popolo. Gesù, invece, Figlio e Messia (Cristo), non partecipa alla
costruzione, ma Lui stesso è costruttore di una propria casa, "non costruita da mano d'uomo" (9,11).
Esistiamo allora come popolo nuovo, assolutamente unico poiché
poggia sulla fede in Gesù. E siamo un popolo nuovo non per etichetta o per riferimento culturale,
tradizione od abitudini. “E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci
vantiamo” (v 6). Nelle discussioni, confronti, sviluppi culturali, facilmente,
rivendichiamo come cristiani diritti e appartenenze per tradizioni, sacramenti ricevuti, abitudini,
collocazioni geografiche. Le consuetudini diventano facilmente abito formale, costumi e pretese di
appartenenza. Il testo ci riporta a “sentirci” nella casa di Gesù. E sentirsi
nella casa di Gesù non avviene perché abbiamo in tasca le chiavi di casa, ma perché coltiviamo e
manteniamo “libertà e speranza”. La libertà dei figli di Dio si collega con la volontà del Padre, il
rispetto e la misericordia per ogni persona, lamore e lattenzione ai più dimenticati. “La speranza” ci
riporta a cercare e a costruire un mondo sempre migliore, perché sappiamo che lo Spirito ci sostiene. Il
desiderio del Padre è rendere il mondo sempre più bello, purificato e libero dal male. |
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Giovanni 5,37-47
In quel tempo.Il Signore Gesù disse: “Anche il Padre ,che mi ha mandato, ha dato testimonianza dime. Ma voi non avete mai ascoltato la suavoce né avete mai visto il suo volto,e la suaparola non rimane in voi; infatti non credetea colui che egli ha mandato.Voi scrutate leScritture, pensando di avere in esse la vitaeterna: sono proprio esse che dannotestimonianza di me.Ma voi non voletevenire a me per avere vita.Io non ricevo gloria dagli uomini.Ma viconosco: non avete in voi lamore di Dio.Io sono venuto nel nome del Padre mio evoi non mi accogliete; se un altro venisse nelproprio nome, lo accogliereste.E comepotete credere, voi che ricevete gloria gli unidagli altri, e non cercate la gloria che vienedallunico Dio?Non crediate che sarò io ad accusarvidavanti al Padre ; vi è già chi vi accusa:Mosè, nel quale riponete la vostra speranza.Se infatti credeste a Mosè, credereste anchea me; perché egli ha scritto di me.Ma senon credete ai suoi scritti, come potretecredere alle mie parole?».
Tra i sette segni che Giovanni sviluppa, ritroviamo la guarigione e quindi la
vita, restituite al paraliticoalla piscina di Bethesda (5,1-18). La malattia che soffre da 38 anni lo
qualifica come una persona senzasperanza (è interessante il numero 38 in rapporto al Deuteronomio 2,14 dove si
ricorda che gli ebrei,usciti dall'Egitto e che hanno soggiornato nel deserto per 38 anni, non potranno
entrare nella terrapromessa, ma moriranno prima).Sorge una durissima polemica, allinizio, tra i giudei e luomo guarito, che
secondo linvito di Gesù,torna a casa, portandosi il suo giaciglio. Ma è giorno di riposo e quindi porta
un peso: viene violato ilcomando di Dio, il primo comando della Legge che vale quanto la Legge stessa.Poi la discussione, accesissima e pesante, si sviluppa con Gesù (5,19-47). Oggi
leggiamo solo untratto, in un quadro di drammatiche accuse e di coraggiose testimonianze, che
oltrepassano di molto ilsenso della nostra comprensione. A noi sembra banale laccusa eppure coinvolge
tutta la religiositàebraica del suo tempo..Tutto il testo adopera un linguaggio adatto ad un tribunale. Qui si tratta
veramente di un giudizio:verificare davanti a Dio il valore della legge e il valore di Gesù, per
esaminare se è colpevole oinnocente. Dal valore delle prove vengono la soluzione e quindi la legittimità
delloperato di Gesù.Per Gesù i testimoni sono: le sue opere, il Padre e le Scritture (vv 36-47); per
i giudei i testimoni sonoMosé e i suoi scritti. Gesù potrebbe anche portare la testimonianza di Giovanni
Battista, Ma è unatestimonianza umana, data allinizio della sua predicazione e che non si può
elevare al livello dellaparola di Mosè, tanto più che Giovanni ha sempre negato di essere Elia, o il
profeta o il Messia (vv.33-36).Sono le opere che lo garantiscono: le guarigioni tra i malati, gli storpi, i
moribondi: le vere opere diDio, opere della misericordia e della liberazione. I giudei non sanno fare un
collegamento tra la suaopera che soccorre i poveri e guarisce i malati e la volontà di Dio che desidera
la liberazione di ognipersona. In tal modo essi- dice Gesù - non credono nel Padre. Il Padre invece
riconosce le opere diGesù perché sono secondo la Sua volontà e quindi riconosce Gesù stesso.“E se la legge del sabato obbliga a non intervenire, abbandona il malato a non
rispettare il sabatoperché malato. Ma se io opero una guarigione, rendo un figlio di Dio capace di
libertà e quindi capacedi rispettare anche il sabato, oltre che tutta la legge”. Questa è la
riflessione suggerita.Le Scritture sono fonte di vita. I Giudei le scrutano per "avere in essa la vita
eterna" (v 39). Ma la vitanon la possono trovare poichè "Voi non volete venire a me per avere la vita" (v
40).Gesù rivendica un rapporto unico con il Padre e non cerca sostegno e onore dagli
uomini (v 41)."Venire nel nome del Padre" significa essere il vero profeta. Proprio Mosé, nel
Deuteronomio, ricordache ci sarà il vero profeta: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a
te, tra i tuoi fratelli, unprofeta pari a me. A lui darete ascolto" (vv 18,15. 18).Invece "venire nel proprio nome" è del falso profeta (v 18,20) e la sua parola è
inefficace poiché nonsa compiere le opere di Dio (v 18,22).Nel suo Vangelo Luca, per due volte, ricorda che Gesù risorto ha invitato a
rileggere "Mosé e iprofeti": così i discepoli potevano, profondamente, entrare nel suo mistero (vv
24,25-27; 27,44-45).La fede in Gesù, che è il nostro prezioso tesoro, non è un pacifico possesso ma
un itinerario che passatra la fiducia in Gesù, la costruzione di un progetto e la ricerca. Sorge una
domanda fondamentale checi obbliga ad una risposta: “Questo mondo, attraverso la nostra fede in Gesù,
scopre il volto del Dioliberatore? Con la mia fede porto la speranza di crescita, di cambiamento, di
pace a cui noi stessicollaboriamo?”
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