VIII DOMENICA DOPO PENTERCOSTE
19 LUGLIO 2015
Marco 10, 35-45
Riferimenti : Giudici 2,6-17 - salmo 105 - Tessalonicesi  2, 1-2. 4-12
Lodate il Signore e invocate il suo nome, proclamate tra i popoli le sue opere. Cantate a lui canti di gioia, meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo santo nome: gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto. Ricordate le meraviglie che ha compiute, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca.

Giudici 2,6-17
Quando Giosuè ebbe congedato il popolo, gli Israeliti se ne andarono, ciascuno nel suo territorio, a prendere in possesso il paese. Il popolo servì il Signore durante tutta la vita degli anziani che sopravvissero a Giosuè e che avevano visto tutte le grandi opere, che il Signore aveva fatte in favore d'Israele. Poi Giosuè, figlio di Nun, servo del Signore, morì a centodieci anni e fu sepolto nel territorio, che gli era toccato a Timnat-Cheres sulle montagne di Efraim, a settentrione del monte Gaas. Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi padri; dopo di essa ne sorse un'altra, che non conosceva il Signore, né le opere che aveva compiute in favore d'Israele. Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal; abbandonarono il Signore, Dio dei loro padri, che li aveva fatti uscire dal paese d'Egitto, e seguirono altri dei di quei popoli che avevano intorno: si prostrarono davanti a loro e provocarono il Signore, abbandonarono il Signore e servirono Baal e Astarte. Allora si accese l'ira del Signore contro Israele e li mise in mano a razziatori, che li depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro intorno ed essi non potevano più tener testa ai nemici. Dovunque uscivano in campo, la mano del Signore era contro di loro, come il Signore aveva detto, come il Signore aveva loro giurato: furono ridotti all'estremo. Allora il Signore fece sorgere dei giudici, che li liberavano dalle mani di quelli che li spogliavano. Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si prostituivano ad altri dei e si prostravano davanti a loro. Abbandonarono ben presto la via battuta dai loro padri, i quali avevano obbedito ai comandi del Signore: essi non fecero così.
Israele vive un periodo difficilissimo mentre cerca di insediarsi sul territorio che il Signore ha loro assegnato. Non c'è ancora una nazione d'Israele poiché vale molto di più il rapporto tribale. Ognuno si colloca con le proprie possibilità e cerca i mezzi di sopravvivenza. L'unità di popolo avverrà con la monarchia di Davide, attorno all'anno 1000 a C. Così il libro dei "Giudici" fa riferimento ad un periodo precedente, che va dalla morte di Giosuè (circa il 1220-1200 a.C.) all'inizio dell'epoca monarchica. Vengono raccontate le avventure di alcuni particolari capi del popolo, chiamati "giudici" che diventano capi tribù e cercano di affrontare i nemici che attentano alla libertà e alle risorse delle tribù. Il periodo del racconto raccoglie, complessivamente, fatti e battaglie di circa 160-180 anni. Scelto per le situazioni difficili che turbano la vita di una o più tribù della comunità, ma non mai molte, il "Giudice" viene considerato un "liberatore", inviato da Dio che finalmente ha accettato di ascoltare il grido di sofferenza. Così, diversi per esperienza e per educazione, i "Giudici" sanno riportare il popolo alla sua riconquistata libertà e quindi ricostruiscono un rapporto di pace con il Signore stesso. Nei vv 2,6-10 il testo si ricollega al libro di Giosuè per indicare una continuità, sul filo dell'accordo compiuto con Dio nell'assemblea di Sichem (Giosuè 24,1ss) quando tutto il popolo d'Israele, nelle sue 12 tribù, sancì il patto con Dio dopo aver ascoltato le parole di Giosuè. Questi, ricordati i fatti della liberazione, aveva chiesto alle tribù la disponibilità a servire Dio. Il popolo aveva risposto: "Noi serviremo il Signore" (v 21). L'autore di questo libro garantisce che la generazione di Giosuè, con tutti quei personaggi che avevano sperimentato la protezione di Dio nel deserto, avevano tenuto fede all'impegno assunto (v 7). Ma, col passar del tempo (vv 11-17), la storia di Israele si intorbida. Che cosa, infatti, è diventato, agli occhi di Dio, questo popolo, liberato attraverso Mosè? Lo scrittore deve dare una risposta coerente alla fede ed ai costumi del suo tempo. Così egli compie una interpretazione teologica: Dio ha abbandonato il suo popolo e non ascolta più il loro grido poiché Israele compie il male ed ha abbandonato il Dio dell'Esodo per seguire altre divinità.
E' venuto meno al patto, tradendo il Signore e accogliendo le stesse usanze, costumi, mentalità dei popoli entro cui si ritrova ad abitare. Essi facilmente si lasciano ingannare e illudere dalle civiltà più evolute; essendo stati schiavi prima, ed ora contadini e ignoranti pastori, sono affascinati dal benessere dei popoli della costa, molto più ricchi perché dediti al commercio. Il benessere viene scambiato come un regalo ottenuto dagli dei per il dono di offerte o loro carpito con pratiche magiche e usi pagani. Non è lontano il paradigma del primo peccato dell'umanità, quello di Adamo ed Eva. La prima umanità segue le stesse dinamiche, volendo raggiungere una propria potenza, immaginando poteri sovrumani. Nell'idolatria si può ricattare Dio, lo si costringe, lo si obbliga alla fecondità della terra, degli animali e delle donne. Si ritorna a parlare di schiavitù: "Furono depredati, furono venduti ai nemici che stavano loro intorno ai quali non potevano più tener testa" (v 14). Il Signore, tuttavia, finalmente si occupa della liberazione di questo suo popolo come ha sempre fatto e perciò "fece sorgere dei Giudici" (v 16). Ma l'idolatria non scompare facilmente dall'orizzonte umano, anche nell'ambito della vita quotidiana dei credenti di oggi. Idolatria significa mettere al primo posto delle proprie scelte e della propria vita, ciò che non è Dio stesso, ciò che io o la società riteniamo fondamentale:. Ci creiamo degli Assoluti. Ma la conclusione conduce alla guerra, alla violenza, alla mancanza del necessario mentre cresce la ricchezza di classi privilegiate.

Tessalonicesi2, 1-2. 4-12
Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.

Paolo si dimostra subito particolarmente affezionato a questa comunità che lo ha accolto dopo le fatiche morali e fisiche subite a Filippi (At 16,19-40). Egli, in questo testo, vuole sottolineare la chiarezza e l'onestà della proposta che fa del Vangelo e vuole richiamare la gratuità della sua opera. Egli sa che il Vangelo è Gesù, dono del Padre, e la sua vocazione deve prendere atto di testimoniare l'amore di Gesù, totalmente gratuito come dono del Padre. Paolo ha capito che la gratuità è la discriminante per scoprire l'opera di Dio.. In tal modo aiuta anche noi un'analisi puntuale delle cose che Paolo enumera.
- "Non ho cercato di piacere agli uomini e quindi non mi sono permesso di adulare per aprirmi un varco nella comprensione e nella simpatia delle persone;
- Non ho cercato la gloria umana né da voi né da altri, pur potendolo fare, in nome della mia autorità;
- Sono stato amorevole tra voi come una madre che ha cura dei figli;
- Nel mio attaccamento a voi vi avrei dato anche gratuitamente la vita;
- Sempre per gratuità, ho lavorato duramente giorno e notte per guadagnarmi il pane e non essere di peso a nessuno;
- Con ogni mezzo e gratuitamente ho cercato di parlarvi, di darvi esempio e di incoraggiarvi alla sapienza ed all'accogliere il Vangelo di Gesù che io mi glorio di portare come una missione ed un compito. E' la vocazione: che Dio mi ha affidato. Mi sono sforzato di non piacere agli uomini ma a Dio che conosce il cuore di ciascuno"; Il compito educativo non è solo materno ma ugualmente paterno e Paolo sente che deve svolgere insieme questo ruolo, prezioso ed importante, valorizzato particolarmente nel mondo ebraico, poiché è il padre che trasmette la Sapienza di Dio alle nuove generazioni. Per questo Paolo chiede ai cristiani ed anche a Dio di essergli "testimoni del suo comportamento: "santo, giusto e irreprensibile"; Paolo ricorda che "abbiamo esortato ciascuno di voi, e incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio" (vv 11-12). In questa prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo utilizza la parola greca "parresia" che significa: "parlare con chiarezza, coraggio e verità" e constata che non è stata vuota la sua presenza né tanto meno inutile. Paolo, in tal modo, ha chiarito un atteggiamento fondamentale dell'adulto credente: operare nella gratuità. E' la caratteristica essenziale di Dio che Gesù ha tradotto ogni giorno e che lo sforzo che la Comunità cristiana dovrebbe riproporre nei suoi criteri, stili, proposte, operosità. Nel mondo è così stupefacente che insieme meraviglia, e crea diffidenza, sospetto e dubbi di ambiguità. Eppure, anche se difficile, è un orizzonte da tenere continuamente presente.



Marco 10, 35-45
Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».


Giovanni, il discepolo preferito, il più spirituale, il mistico, chiede di occupare il primo posto, lui e suo fratello. E gli al­tri dieci compagni immediatamente si ribellano, unanimi nella gelosia, probabilmente perché avrebbero voluto chiederlo loro! Ed è come se finora Gesù a­vesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete», quali dighe abbattete con questa fame di primeggiare, quale mondo sbagliato generate con questa volontà di potenza! E spalanca l'alternativa cristiana, la differenza cristiana.
I grandi della terra dominano e opprimono gli altri. Tra voi però non è così! Credono di dirigere il mondo con la forza... voi non sarete così! Gesù prende le radici del potere e le capovolge al sole e all'aria.
Chi vuole diventare grande: Gesù non condanna questo desiderio, anzi lui stesso promette una grandezza, non vuole con sé uomini umiliati o schiavi, ma che diventino grandi, regali, nobili, fieri, liberi, prendendosi cura della felicità del­l'altro. Sia il servitore di tutti. Servizio: il nome esigente dell'amore, il nome nuovo della civiltà. Anzi, il nome di Dio: «Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo». La più sorprendente di tutte le definizioni di Gesù. Parole che danno una vertigine: Dio mio servitore! Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non è il Padrone dell'universo, il Signore dei signori, il Re dei re, è il servo di tutti. Non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, cinge un asciugamano, si inchina davanti a te, e i tuoi piedi sono fra le sue mani. Ma io tremo, se penso alla brocca e all'asciugamano, ho paura. Eppure ve la immaginate un'umanità dove ognuno corre ai piedi dell'altro? E si inchina non davanti ai potenti del mondo, ma davanti all'ultimo?
Pensiamo attentamente a che cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo no, sostiene, non spezza la canna incrinata ma la fascia come fosse un cuore ferito. Gesù capovolge l'immagine tradizionale di Dio, le dà una bellezza che stordisce: siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio, qui e per sempre. Non sei tu che esisti per Dio, ma è Dio che esiste per te, in funzione di te, per amarti, per servirti, per conoscerti, per lasciarsi stupire da te, da questi imprevedibili, liberi, splendidi, talvolta meschini figli che noi siamo. Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro pa­drone? Il credente non ha nessun padrone, eppure è servo di ogni uomo. E non come riserva di viltà, ma come grandezza d'animo, come prodigio di coraggio