
IX DOMENICA DOPO PENTERCOSTE 26 luglio 2015
Marco 8,34-38
Riferimenti : 2 Samuele 6,12-22 - Salmo 131 - 1 Corinzi 1,25-31 |
Ricordati, Signore, di Davide, quando giurò al
Signore: «Non entrerò nella tenda in cui abito, non mi stenderò
sul letto del mio riposo, finché non avrò trovato un luogo per
il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe». |
2 Samuele 6,12-22 In quei giorni.
Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla
casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con
gioia. Quando quelli che portavano l’arca del
Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un
giovenco e un ariete grasso. Davide danzava con
tutte le forze davanti al Signore. Davide era
cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la
casa d’Israele facevano salire l’arca del
Signore con grida e al suono del corno.
Quando l’arca del Signore entrò nella Città di
Davide, Mical, figlia di Saul, guardando dalla
finestra vide il re Davide che saltava e danzava
dinanzi al Signore e lo disprezzò in cuor suo.
Introdussero dunque l’arca del Signore e la
collocarono al suo posto, al centro della tenda
che Davide aveva piantato per essa; Davide offrì
olocausti e sacrifici di comunione davanti al
Signore. Quando ebbe finito di offrire gli
olocausti e i sacrifici di comunione, Davide
benedisse il popolo nel nome del Signore degli
eserciti e distribuì a tutto il popolo, a tutta
la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una
focaccia di pane per ognuno, una porzione di
carne arrostita e una schiacciata di uva passa.
Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa
sua. Davide tornò per benedire la sua famiglia;
gli uscì incontro Mical, figlia di Saul, e gli
disse: «Bell’onore si è fatto oggi il re
d’Israele scoprendosi davanti agli occhi delle
serve dei suoi servi, come si scoprirebbe
davvero un uomo da nulla!». Davide rispose a
Mical: «L’ho fatto dinanzi al Signore, che mi ha
scelto invece di tuo padre e di tutta la sua
casa per stabilirmi capo sul popolo del Signore,
su Israele; ho danzato davanti al Signore. Anzi
mi abbasserò anche più di così e mi renderò vile
ai tuoi occhi, ma presso quelle serve di cui tu
parli, proprio presso di loro, io sarò
onorato!». L’arca, commovente
figura del Signore presente nella casa del
credente, è rimasta tre mesi in casa di
Obed-Edom, recando la benedizione a quell'uomo e
alla sua famiglia, cosa non passata inosservata
(vers. 12). Se viviamo abitualmente vicino al
Signore, quelli che ci conoscono se ne
accorgeranno senz'altro. Ed essi vorranno pure
godere delle benedizioni che Egli ci ha largite.
Ora Davide, che ha imparato la lezione di Dio,
agisce secondo il Suo pensiero: l’arca è portata
dai Leviti, che si sono santificati, ed egli
stesso, messa da parte la sua maestà regale,
esprime la sua gioia danzando dinanzi ad essa.
L'Evangelo ci mostra, non più l'arca, ma Gesù in
persona che fa il suo ingresso in quella stessa
città di Gerusalemme fra la gioia di quelli che
l'acclamano (Matteo 21:9). Dopo sei passi, il
sacrificio era offerto. Si pensa al cammino e al
culto del cristiano. L’uno e l'altro provocano
il disprezzo degl'increduli di cui Mical è la
triste immagine. Il mondo ama ciò che è elevato,
brillante. Ma il credente è felice di
abbassarsi, «d'essere reso abbietto» (vers. 22),
affinché gli sguardi si distolgano da se stesso
e si dirigano solo su Gesù (Giovanni 3:30).
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1 Corinzi 1,25-31 Fratelli, ciò
che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è
debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate
infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti
sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti
nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto
per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio
lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e
disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto
per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa
vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù,
il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio,
giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta
scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.
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Marco 8,34-38 Convocata la folla insieme ai suoi discepoli,
disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda
la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la
salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e
perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria
vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione
adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando
verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
Anche oggi, un episodio della vicenda di Israele come icona e preannuncio di
un insegnamento ben più articolato che Gesù e Paolo esplicitano. Si tratta
del re Davide che, pur nella sua grandezza, è felice di umiliarsi nella danza
e nella festa in onore all’Arca di Jahvé insediata con solennità a
Gerusalemme. L’insegnamento di Gesù esprime la logica di fondo
dell’atteggiamento di Dio nei nostri confronti, lui “che svuotò se stesso,
assumendo la condizione di servo” (Fil 2,7); e, di conseguenza, la logica del
primato di Dio da riconoscere nell’agire cristiano, perché nella debolezza
appaia sempre la potenza di Dio: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta,
affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non
viene da noi” (2Cor 4,7). Ce n’è per non spaventarsi di una Chiesa che è
minoranza, “piccolo gregge” (Lc 12,32), nel numero e nei mezzi; anzi di
sentire quanto essa sia autentica quando si esprime nella logica della croce.
Di Davide conosciamo anzitutto la sua giovanile impresa di vincere, lui
inesperto ragazzo, la tracotanza di Golia: “Ti vieni a me con la spada, con
la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti,
Dio delle schiere di Israele, che tu hai sfidato (1Sam 17,45). La sua forza
sta nel nome di Dio. Tutta la Bibbia, dall’impresa dell’Esodo alle conquiste
di Israele, sottolinea l’agire prevalente di Dio; come, a partire da Mosè a
tutti i profeti, la loro azione è sotto l’influsso di Dio. Il gesto ricordato
oggi di un Davide tutto gioioso per aver dato una casa al suo Dio, esprime la
sua umiltà e la sua grande stima per Colui che dal gregge l’aveva chiamato a
divenire re di Israele. Riconosce che tutta la sua grandezza sta nella
iniziativa di Dio. Dal nulla Dio ha chiamato Davide. Addirittura dall’essere
persecutore della Chiesa, il Signore ha chiamato Paolo a divenire apostolo.
“Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere
chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio,
però, sono quello che sono” (1Cor 15,9-10). Paolo ha ben coscienza, e diviene
il suo messaggio centrale, che Dio ha scelto lui per pura misericordia perché
la sua stessa vicende parlasse della gratuità e magnanimità di Dio: “Cristo è
venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma
appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in
me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di
esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1Tm
1,15-16). Nel suo ministero Paolo ha sperimentato contrasti, persecuzioni,
debolezze e prove. E così li legge: “E’ stata data alla mia carne una spina,
un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia; il
Signore mi ha detto: Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza. Quando sono debole, è allora che sono forte”
(2Cor 12,7-10). E’ la logica di ogni apostolato, che mette in luce il
prevalere dell’azione di Dio, e proprio là dove le risorse umane sembrano
inadeguate. Per questo è scritto oggi: “Quello che è stolto per il mondo, Dio
lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio
lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per
il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose
che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a lui” (Epist.). Il
paradosso del cristianesimo è la croce. Un Dio che salva con un fallimento
umano. Ma quel fallimento umano di Gesù esprime in un modo radicale
l’assoluta fiducia che la vita la dà Iddio, non le nostre capacità o
conquiste umane. “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte. Per
questo Dio lo esaltò” (Fil 2,5-10). L’ultima sua parola fu: “Padre, nelle tue
mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Quella resa a Dio gli ha fruttato
la risurrezione e la vita. Gesù oggi è esplicito: “Chi vuol salvare la
propria vita, la perderà. Quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo
intero e perda la propria vita?”. Di fronte alla morte non c’è sbocco se non
quello di legarsi al Signore della vita: “Chi si vergognerà di me.., anche il
Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria”. Il primato
di Dio nella questione della.. pelle da salvare, si traduce poi nel suo
primato anche nell’ambito della salvezza individuale. La Grazia precede e
prevale su ogni nostra iniziativa di bene; è l’azione dello Spirito ciò che
veramente trasfigura la nostra esistenza cristiana conformandola a Cristo.
Non che sia negata la nostra parte di responsabilità, ma il risultato e il
frutto della santità è ben oltre il nostro merito, ..e la nostra afficienza.
In questo senso dice oggi Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. E’ la croce della
obbedienza a Dio e della docilità allo Spirito, il scegliere cioè più il
volere di Dio e le sue ispirazioni che non le nostre inventive e i nostri
criteri di autorealizzazione.
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