II DOM. DI AVVENTO
Il tuo nome si estende sino ai confini dell'universo
23-11-2014
Matteo 3,1-12
Rferimenti : Isaia 51,7-12 - Salmo  47 - Romani15,15-21
Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio con voci di gioia; perché terribile è il Signore, l'Altissimo, re grande su tutta la terra. Egli ci ha assoggettati i popoli, ha messo le nazioni sotto i nostri piedi. La nostra eredità ha scelto per noi, vanto di Giacobbe suo prediletto. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni; cantate inni al nostro re, cantate inni; perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte.

Isaia 51,7-12

Ascoltatemi, esperti della giustizia, popolo che porti nel cuore la mia legge. Non temete l'insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni; poiché le tarme li roderanno come una veste e la tignola li roderà come lana, ma la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione. Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non hai tu forse fatto a pezzi Raab, non hai trafitto il drago? Forse non hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso e non hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti? I riscattati dal Signore ritorneranno e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo; giubilo e felicità li seguiranno; svaniranno afflizioni e sospiri. Io, io sono il tuo consolatore. Chi sei tu perché tema uomini che muoiono e un figlio dell'uomo che avrà la sorte dell'erba?

Il profeta vuole rincuorare il suo popolo, esasperato dalle sconfitte e dalle derisioni dei vincitori. Sa di avere come custode il Signore del creato e sa di dover conservare, egli stesso, la sua legge. Possiamo leggere questo testo come nei momenti di maggiore sofferenza e di lutto. Che cosa è rimasto della vita passata? di coloro che ci hanno lasciato, dei loro progetti, fatiche, scoraggiamenti, delusioni, indotti dallo scherno di chi viveva loro accanto, dei condizionamenti e dei ricatti che hanno bloccato scelte di maggiore valore? In questi momenti ci accorgiamo però, che le cose importanti, che la giustizia maturata, che il coraggio della pazienza mantenuta hanno fatto migliore il loro mondo e il nostro cammino: "La mia giustizia durerà per sempre".
Il testo, allora, incoraggia al senso della preghiera dei viventi. Isaia ci sta sostenendo perché chiediamo al Signore di essere "rivestiti di forza", di entusiasmo, come nei tempi passati, di liberazione e di grazia come e quanto abbiamo sperimentato nella nostra storia passata. La preghiera si alimenta dei grandi racconti dell'Esodo e della Creazione per richiamare il senso del riscatto, il passaggio attraverso il mare, prosciugato dall'acqua e liberato dal maligno. Come è avvenuto, così avverrà e i dispersi del popolo d'Israele ritorneranno affrancati dal Signore, con il coraggio della pace, della festa, dell'accoglienza reciproca dell'abitare in una realtà sicura, garantita, costruita sulla roccia quale è Gerusalemme (Sion). La preghiera vuole portare ad immaginare un itinerario, non una sedentarietà. "Il ritornare e il venire", che possono significare il recupero di speranze di realtà nuove, sono premesse di tempi inediti, gioiosi, pur con tutti i rischi aperti sulla generosità e sui beni. Il brano pone una garanzia per chi si gioca nella propria storia e quindi anche nel nostro tempo: "Io, il Signore, sono il vostro consolatore".

Romani15,15-21
Tuttavia vi ho scritto con un pò di audacia, in qualche parte, come per ricordarvi quello che già sapete, a causa della grazia che mi è stata concessa da parte di Dio di essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l'ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo. Questo è in realtà il mio vanto in Gesù Cristo di fronte a Dio; non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all'obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito. Così da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, ma come sta scritto: Lo vedranno coloro ai quali non era stato annunziato e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno
Siamo al termine di una lunga lettera che Paolo scrive alla Comunità cristiana di Roma. Egli, quasi, si scusa d'aver scritto a questi cristiani come se avesse preteso di fare loro da maestro, mentre essi sono già una comunità costituita, evangelizzata, pastoralmente curata da altri apostoli. Sa, anzi, "che siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l'un l'altro" (15,14). Così Paolo ribadisce "il suo punto di onore e di vocazione" che si è posto nel suo ministero: "non annunciare il Vangelo se non dove ancora non è conosciuto il nome di Cristo per non costruire su un fondamento altrui" (15,20). E tuttavia Paolo non si pente di aver scritto alla comunità romana perché, in questo modo, può manifestare la sua gioia e testimoniare il valore ed il significato del ministero della Parola. Questo compito, in fondo, è il compito di tutti e la gloria di ciascuno: "esercitare tra i pagani l'ufficio sacro del Vangelo di Dio perché divengano un'offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo" (15,16).
La sua giustificazione e, nello stesso tempo, "il suo vanto", è l'aver svolto un ministero che Paolo identifica come un'azione di culto che un sacerdote compie, celebrando un'opera liturgica. In altri termini, Paolo è gioioso di parlare della grazia che, attraverso Gesù, Dio gli ha offerto e che, in fondo, è proposta e lavoro che Dio sa offrire a chi accetta di annunciare al mondo il suo Cristo. In uno spazio grandissimo, "da Gerusalemme fino alla Macedonia ho portato a termine la predicazione del Vangelo di Cristo" (15 19), conducendo i pagani all'obbedienza, ovviamente di Gesù, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito" (15 18-19).
Paolo dice la sua gioia, stupito di essere stato scelto da Gesù e stupito dei doni ricevuti perché i più lontani potessero conoscere la grandezza di Dio. Si direbbe che è orgoglioso di suo, se non avesse già detto prima che "questo, in realtà, è il mio vanto in Gesù di fronte a Dio "(15 17). Paolo contempla questo lavoro di semina, nell'obbedienza a Gesù a cui Gesù stesso ha posto mano, rendendolo fecondo. E' proprio per comunicare con entusiasmo questa gioia anche agli altri cristiani, fratelli nella fede, che Paolo annuncia e scrive. In tal modo tutti si sentono rincuorati e ammirati di ciò che Dio sa fare. Paolo parla di sé e del suo ministero, ma vuole aiutare a cogliere questa grande potenzialità e questa vocazione a cui sono chiamati tutti, ciascuno nel suo ambito. Questo canto di gioia dovrebbe fare da modello, anche, alle nostre presenze nella realtà quotidiana. Un campo di novità e di evangelizzazione si apre nel lavoro, in famiglia, negli impegni sociali, nella solidarietà. Scoprire, far emergere, parlarne: sono segni di operosità che non vanno vissuti come un'esibizione, ma come una rivelazione gioiosa e umile. Nelle nostre relazioni, parlando con coloro che vivono e lavorano con noi, bisogna trovare il modo di far lievitare i contenuti fino a cogliere i valori, i significati che si sono incontrati, motivazioni anche se faticose che si riesce a scovare, risultati di lavori compiuti insieme, maturati nelle collaborazioni che vanno valorizzate. Abbiamo, altrimenti, il rischio di passare continuamente un tempo che sembra vuoto, senza fatti, senza progressi, senza valori, senza tentativi di novità, senza Dio. Così il tempo e la vita diventano solo contenitori di lamentela e delusioni.

Matteo 3,1-12

 In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!". Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano. Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: "Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. Gia la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile".

Il Vangelo di questa seconda domenica di avvento ci presenta la figura di Giovanni il Battista. Giovanni predica la conversione e opera un battesimo che prepari la gente ad accogliere il Signore. Giovanni appare nel deserto. Il deserto è il luogo della solitudine, ma anche dell'incontro tra Dio e il suo popolo. Proprio nel deserto in questa "terra di nessuno", Giovanni invita alla conversione perché il regno dei cieli è vicino. Giovanni cita anche Isaia e si considera non la Parola che è Gesù, bensì solo la voce. Giovanni è voce di uno che è Parola: Gesù. Giovanni, però, non si limita ad un generico invito alla conversione, ma la sua stessa vita esprime tale cammino. Il suo vestito, il suo mangiare, evoca una persona che si è incarnata nel deserto e vive la dimensione che il deserto stesso offre. La gente viene a lui in gran numero per farsi battezzare. Giovanni si scaglia contro i farisei e i saddducei, i potenti del tempo, perché pensano di sentirsi a posto, di non mettersi in discussione. Giovanni offre anche a noi oggi questo messaggio. Anche se appartieni alla Chiesa, anche se frequenti la Messa, non sei automaticamente un salvato, ma sei chiamato a compiere frutti degni di conversione. Sarebbe importante anche per noi capire quali sono questi frutti. Più che singoli frutti, sono sintomo di un atteggiamento diverso, di uno stile di vita sobrio, essenziale e di un rapporto fraterno con le persone. Il giudizio di Dio ormai è alle porte per Giovanni. Dio smaschera la nostra falsità e l'ipocrisia nei nostri rapporti. La conversione consiste nell'essere limpidi, onesti, trasparenti, gente che matiene la parola data, fedele ai propri principi, anche se altri li mettono in discussione. Giovanni stesso, con grande umiltà, si proclama solo un messaggero che battezza con l'acqua per la conversione. Il più forte, Gesù, deve ancora venire e battezzerà con la potenza dello Spirito Santo e con il fuoco del giudizio in grado di smascherare ogni ipocrisia. L'immagine del ventilabro ci fa comprendere come Gesù viene a vagliarci, a togliere quella pula che troppe volte ci ritroviamo addosso, per far crescere il buon grano, le nostre potenzialità positive. La vigilanza diventa la conversione a Gesù, alla Sua Parola, al suo agire, smascherando le nostre cattive intenzioni e comprendendo come solo Gesù valorizza tutto il positivo che è presente in noi. La misericordia di Dio è la certezza che il vero giudizio di Dio parte dal Suo amore verso ogni uomo. Giovanni ci invita a svegliarci da ogni torpore e a prendere sul serio la nostra vita per capire verso quale strada vogliamo indirizzarla