XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE
9 AGOSTO 2015
Matteo 21,33-46
Riferimenti : primo libro dei Re 18,16b-40a - Salmo  15-Romani (11,1-15)
Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte? Colui che cammina senza colpa, agisce con giustizia e parla lealmente, non dice calunnia con la lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulto al suo vicino.

primo libro dei Re 18,16b-40a

In quei giorni. 16Acab si diresse verso Elia. 17Appena lo vide, Acab disse a Elia: «Sei tu colui che manda in rovina Israele?». 18Egli rispose: «Non io mando in rovina Israele, ma piuttosto tu e la tua casa, perché avete abbandonato i comandi del Signore e tu hai seguito i Baal. 19Perciò fa’ radunare tutto Israele presso di me sul monte Carmelo, insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele». 20Acab convocò tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo. 21Elia si accostò a tutto il popolo e disse: «Fino a quando salterete da una parte all’altra? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!». Il popolo non gli rispose nulla. 22Elia disse ancora al popolo: «Io sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. 23Ci vengano dati due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Io preparerò l’altro giovenco e lo porrò sulla legna senza appiccarvi il fuoco. 24Invocherete il nome del vostro dio e io invocherò il nome del Signore. Il dio che risponderà col fuoco è Dio!». Tutto il popolo rispose: «La proposta è buona!». 25Elia disse ai profeti di Baal: «Sceglietevi il giovenco e fate voi per primi, perché voi siete più numerosi. Invocate il nome del vostro dio, ma senza appiccare il fuoco». 26Quelli presero il giovenco che spettava loro, lo prepararono e invocarono il nome di Baal dal mattino fino a mezzogiorno, gridando: «Baal, rispondici!». Ma non vi fu voce, né chi rispondesse. Quelli continuavano a saltellare da una parte all’altra intorno all’altare che avevano eretto. 27Venuto mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate a gran voce, perché è un dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà». 28Gridarono a gran voce e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue. 29Passato il mezzogiorno, quelli ancora agirono da profeti fino al momento dell’offerta del sacrificio, ma non vi fu né voce né risposta né un segno d’attenzione. 30Elia disse a tutto il popolo: «Avvicinatevi a me!». Tutto il popolo si avvicinò a lui e riparò l’altare del Signore che era stato demolito. 31Elia prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale era stata rivolta questa parola del Signore: «Israele sarà il tuo nome». 32Con le pietre eresse un altare nel nome del Signore; scavò intorno all’altare un canaletto, della capacità di circa due sea di seme. 33Dispose la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla legna. 34Quindi disse: «Riempite quattro anfore d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla legna!». Ed essi lo fecero. Egli disse: «Fatelo di nuovo!». Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: «Fatelo per la terza volta!». Lo fecero per la terza volta. 35L’acqua scorreva intorno all’altare; anche il canaletto si riempì d’acqua. 36Al momento dell’offerta del sacrificio si avvicinò il profeta Elia e disse: «Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola. 37Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!». 38Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. 39A tal vista, tutto il popolo cadde con la faccia a terra e disse: «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!». 40Elia disse loro: «Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi neppure uno!».

Il Signore manda alcuni messaggi ad Elia che è rimasto solo in Israele ad onorare pubblicamente il Dio d'Israele mentre, se non è scomparsa la fede nel popolo, tutti sono impauriti per la persecuzione pesante che il re e la regina sviluppano e per l'uccisione dei profeti che onorano Dio. Tra coloro che ancora fattivamente adorano Dio c'è Abdia, il maggiordomo del re Acab, che "teme il Signore". Poiché è un uomo di molte risorse, è riuscito a nascondere in alcune grotte almeno 100 profeti di fede genuina e li alimenta in incognito, con pane ed acqua, in un periodo in cui una grande siccità sta divorando il lavoro ed i magri raccolti da almeno da tre anni. Tutta questa sofferenza e questa miseria, che si moltiplicano, mettono in grande crisi il territorio e rendono furiosa l'autorità poiché si è sparsa la certezza che tale siccità viene da Dio ed Elia ne è responsabile. Finora Elia è fuggito, pur inseguito dalle forze militari del re che non l'hanno saputo incontrare. Ora Elia stesso, attraverso Abdia, si fa annunciare ad Acab e propone quello che poi sarebbe stato detto un "giudizio di Dio". Così la sfida davanti al popolo, pure impaurito, dà però al profeta coraggioso il salvacondotto per poter svolgere la prova. Sono previsti, in pratica, i due sacrifici fondamentali che si celebrano in Israele. Quello del mattino viene desiderato dai sacerdoti di Baal. E tutta l'impetrazione si allunga ben oltre il mezzogiorno. L'offerta del pomeriggio viene lasciata ad Elia. Il testo è gustoso e la provocazione è accompagnata anche dal sarcasmo del profeta verso gli "idoli muti o addormentati". I sacerdoti danzano, gridano, pregano, in attesa che un fuoco dai loro dei incenerisca l'offerta. Ma invano. Elia è sicuro nella propria fede e quindi utilizza l'ironia sulle attese e speranze pagane, risollevando l'atteggiamento di alcuni convinti e di molti rassegnati. Nel momento della prova, in un silenzio drammatico, Dio viene invocato con le stesse parole con cui Dio si manifestò a Mosé. "Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d'Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola" (v 36). Perciò ciò che serve in questo momento è che "questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!" (v 37). Tutto il seguito è una rivincita sovrabbondante: il fuoco brucia tutto, anche le pietre dell'altare e le suppellettili. Il risultato è un trionfo del Dio d'Israele e tale viene percepito dalla gente, prima impaurita e sfiduciata. Così il profeta ha raggiunto il suo scopo, ma ritiene che, dopo la verifica, si debbano distruggere coloro che credono negli idoli e, in particolare, i sacerdoti officianti. Ma questo il Signore non l'ha chiesto ad Elia: è solo una interpretazione religiosa di Elia. Egli suppone che Dio sia vendicativo, che quindi l'onore di Dio debba essere salvato e riscattato, e che debbano essere, perciò, eliminati i suoi oppositori. La pretesa di voler vendicare Dio è un grande pericolo delle religioni. E davvero le religioni, lungo la storia, facilmente non dimostrano di aver maturato il senso della misericordia della divinità, vero attributo di Dio. E' davvero necessario che il Signore ci aiuti a capire che la vera dignità è nel perdono e nella pace, non nella violenza e nella morte. Il seguito della fuga di Elia nel deserto, fino all'incontro con il Signore, lo persuaderà che la violenza non è la scelta di Dio.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (11,1-15)

Fratelli, 1io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch’io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. 2«Dio non ha ripudiato il suo popolo», che egli ha scelto fin da principio. Non sapete ciò che dice la Scrittura, nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro Israele? 3Signore, «hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita». 4Che cosa gli risponde però la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal». 5Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia. 6E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. 7Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri invece sono stati resi ostinati, 8come sta scritto: / «Dio ha dato loro uno spirito di torpore, / occhi per non vedere / e orecchi per non sentire, / fino al giorno d’oggi». / 9E Davide dice: / «Diventi la loro mensa un laccio, un tranello, / un inciampo e un giusto castigo! / 10Siano accecati i loro occhi in modo che non vedano / e fa’ loro curvare la schiena per sempre!» 11Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare la loro gelosia. 12Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità! 13A voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, 14nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. 15Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?

Il rifiuto d'Israele è il dramma che pesa sul cuore di Paolo e sulla coscienza della prima Comunità cristiana, poiché la lontananza, globalmente presa, del popolo d'Israele sembra smentire l'opera e la promessa di Dio. E tuttavia la separazione non è totale ma temporanea. Dio resta fedele sempre ed ha riservato a sé un "resto" (vv 2b-4). Così il Signore garantisce che sta continuando il suo piano di salvezza. Esso, però, dovrà essere colto come dono e non come il risultato di uno sforzo da parte degli interessati. Chi segue Gesù è stato scelto con amore, per grazia, e non certo per le sue opere. E Paolo tiene a ripetere che la sequela di Gesù ci porta a Dio, perché è Gesù che ha posto in noi questa vocazione. E se la cultura ed il linguaggio ebraici traducono lo sviluppo di questa opposizione del popolo ebraico a Cristo come opera di Dio "che ha indurito e reso sclerotico il loro cuore, duro come un callo attraverso cui non passa la verità", la riflessione successiva si ammorbidisce, ricordando che Dio accetta pure di essere rifiutato là dove la persona ha rinunciato a Dio. La ricerca di Dio assomiglia ad una corsa. Molti inciampano e sono caduti. Non si tratta, tuttavia, di un castigo definitivo. Dio si riserva l'avvenire. Se rifiuta ciò che lo ha rifiutato, tuttavia non dimentica ciò che ha amato. Se i popoli pagani hanno approfittato del rifiuto degli ebrei per sostituirsi a loro e sono così entrati nelle scelte di Dio, questo susciterà gelosia e quindi reazione per saper ripensare e ritrovare i varchi sempre aperti che il Signore lascia a tutti, ma ancor più al suo popolo d'Israele. Tale lontananza ha permesso al mondo pagano di entrare nella conoscenza del vero Dio. Si verificherà un avvenimento ancora più grande, quando tutto il mondo sarà riconciliato con il Signore. L'ingresso dei pagani è allora solo una tappa, non la sanzione di una maledizione. Il Signore sa aspettare e sa riprendere. Il Signore non abbandona. Il Signore continua ad amare. Ed anche Paolo svela le sue intenzioni. Egli è andato ai pagani con la segreta e certa speranza di poter aiutare e ricuperare il suo popolo Paolo è sicuro delle intenzioni di Dio: coraggiose e pazienti. Egli non è impaurito del tempo che passa, non scoraggiato della fragilità e della chiusura. La conclusione non sarà solo una conversione ma una piena risurrezione dei morti. Paolo ci aiuta a rileggere il cammino della fede, proprio nel tempo in cui ci sembra sia diventata più fragile e meno consistente. A noi spetta seguire il Signore con fiducia e con amore e avere la nostalgia di un mondo di uomini e donne, ricco di pace e di amore.


Matteo 21,33-46
Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?". Gli rispondono: "Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo". E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà". Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta. E cercavano di catturarlo, ma avevano paura del popolo che lo riteneva un profeta.


Gesù è nel tempio (v 21,23) e sta insegnando. Arrivano anche i sommi sacerdoti, gli anziani del popolo, le autorità religiose. Ritengono di avere il diritto di interpellare Gesù poiché custodi della legge. E Gesù sta insegnando nel tempio, come un maestro della legge. "Con quale autorità fai questo?". Gesù non rifiuta di rispondere. Chiede solo a loro che prima essi diano un giudizio sul battesimo di Giovanni il Battista. In fondo Gesù ha posto questa domanda poiché la loro risposta vuole essere una verifica della loro serietà di ricerca. Anche le autorità religiose intuiscono il significato della domanda di Gesù e rifiutano. Proprio i responsabili della legge rispondono:"Non lo sappiamo". Gesù, di rimando: "Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose". Ma Gesù aggiunge due parabole, ambedue legate all'immagine della vigna, che coinvolge insieme la loro e la sua posizione. La prima parabola (non riportata in questa liturgia) parla di due figli a cui il padre chiede di andare a lavorare nella vigna. Uno risponde di si, e non ci va; l'altro risponde di no e poi ci va. Gesù pone la domanda: "Chi ha compiuto la volontà del padre?" e non: "Chi è stato rispettoso con il padre? La seconda parabola si rifà ad un celebre canto della vigna del profeta Isaia (5,1-7). Il profeta ricorda che c'è un grave conflitto tra la vigna che rifiuta di dare un frutto dolce e maturo, e il padrone che, personalmente, ha sviluppato un lavoro coscienzioso per lungo tempo: "(Il padrone) aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". Il Padrone è Dio e la vigna è il popolo d'Israele. Qui Gesù cambia gl'interlocutori del processo. Non è più la vigna che deve giustificarsi ma sono i lavoratori che si rifiutano di rendere conto del lavoro fatto. Possono essere ingordi, possono aver sperperato tutto, possono non aver lavorato. Non si fa un problema del valore del prodotto, ma del riconoscere il diritto del padrone sulla sua vigna. Al tempo della vendemmia il padrone manda i suoi servi (i profeti) in due invii successivi (potrebbero identificarsi quelli viventi prima e dopo l'esilio di Babilonia). Alla fine il padrone manda il figlio suo perché continua a sperare nel recupero di queste persone che ha sempre amato e onorato. E mostra di sperare in una soluzione positiva. Ma, alla vista del figlio, i vignaioli ribelli non solo continuano nella rivolta, ma sviluppano ancor di più l'ostinazione di voler diventare i padroni, senza dover più rendere conto a nessuno. Così anche il figlio viene rifiutato anzi, portato fuori dalla vigna, e ucciso. E qui chiaramente Matteo, in trasparenza, ci fa scoprire il Signore che ha affidato la sua vigna ai lavoratori. Prima, nella parabola di Isaia, ( e qui il riferimento al tempo nell'Antica Alleanza) Dio stesso ha sviluppato tanto amore poiché si è curato personalmente di tutto ciò che può portare buon frutto. E, piantate le viti, ha circondato di una siepe la vigna: (rappresenta la Legge che il Signore ha rivelato per proteggere il suo popolo dai nemici e dalla distruzione del male). Qui siamo nel tempo nuovo dell'Alleanza, quella del Figlio. I lavoratori sono le guide religiose e politiche. Per tutti i frutti sono le opere buone e la giustizia sociale per rendere sereno il popolo di Dio che il Signore ama. Il tempo della vendemmia è il giorno del rendiconto, della giustizia. Gesù chiede che cosa il padrone dovrebbe fare. La risposta è altrettanto violenta. "Questi malvagi dovrebbero morire miseramente". Ma Gesù rilegge i fatti in altro modo. Non ci deve essere vendetta e neppure la finzione che il male non sia stato commesso. Il male c'è e la morte, fuori della città, del figlio corrisponde al rifiuto del figlio considerato bestemmiatore e delinquente. Ma Dio lo riscatta, lo glorifica come la migliore pietra da costruzione e ricomincia, affidando il suo patrimonio ad altri. Così Gesù ha risposto sulla sua autorità, ha richiamato il suo futuro, ha delineato il compito nuovo della Chiesa per tutti coloro che lo ascoltano e lo vogliono seguire. Si ricostruirà un mondo molto più bello e più grande, più giusto e più buono.