
III Domenica di Pasqua 19/04/2015 Giovanni 14, 1-11a
Riferimenti : Atti degli Apostoli 16, 22-34 - Salmo 97 - Lettera ai Colossesi 1, 24-29
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Il Signore regna, esulti la terra, gioiscano le
isole tutte. Nubi e tenebre lo avvolgono, giustizia e
diritto sono la base del suo trono. Davanti a lui cammina
il fuoco e brucia tutt'intorno i suoi nemici. Le sue
folgori rischiarano il mondo: vede e sussulta la terra. I monti
fondono come cera davanti al Signore, davanti al Signore di
tutta la terra. I cieli annunziano la sua giustizia e
tutti i popoli contemplano la sua gloria. |
Atti degli Apostoli 16, 22-34 In
quei giorni. La folla insorse contro Paolo e
Sila e i magistrati, fatti strappare loro i
vestiti, ordinarono di bastonarli e, dopo
averli caricati di colpi, li gettarono in
carcere e ordinarono al carceriere di fare
buona guardia. Egli, ricevuto quest’ordine,
li gettò nella parte più interna del carcere
e assicurò i loro piedi ai ceppi. Verso
mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera,
cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri
stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un
terremoto così forte che furono scosse le
fondamenta della prigione; subito si aprirono
tutte le porte e caddero le catene di tutti.
Il carceriere si svegliò e, vedendo aperte le
porte del carcere, tirò fuori la spada e
stava per uccidersi, pensando che i
prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gridò
forte: “Non farti del male, siamo tutti qui”.
Quello allora chiese un lume, si precipitò
dentro e tremando cadde ai piedi di Paolo e
Sila; poi li condusse fuori e disse: “Signori,
che cosa devo fare per essere salvato?”.
Risposero: “Credi nel Signore Gesù e sarai
salvato tu e la tua famiglia”. E proclamarono
la parola del Signore a lui e a tutti quelli
della sua casa. Egli li prese con sé, a
quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e
subito fu battezzato lui con tutti i suoi;
poi li fece salire in casa, apparecchiò la
tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i
suoi per avere creduto in Dio». Il racconto
degli Atti degli Apostoli, che leggiamo oggi, è interessantissimo per uno stile di novità e
di libertà che dimostra; nella linea della
Pasqua, si respira il senso della speranza e
della gioia della salvezza. Paolo, a Filippi,
colonia romana della Macedonia, si trova presto
in difficoltà. Una commerciante di porpora,
Lidia, si è convertita con la sua famiglia ed
ha accolto Paolo a casa sua per ospitalità,
“costringendolo”. Paolo, che è restio a
dipendere dagli altri, in questa occasione
accetta e inizia una vita quotidiana di buoni
credenti in terra pagana (At16,16-21),
suscitando però malumore. Ma ne suscita ancor
più un fatto che era già capitato, spesso, a
Gesù (Lc4,34-41): delle persone, accusate come
indemoniate, gridavano a Gesù il fatto che fosse
un Giusto e Figlio di Dio..Qui una schiava
di una famiglia ricca, che aveva uno spirito di
divinazione e faceva l’indovina, procurando
molto guadagno ai suoi padroni, insegue
frequentemente per la strada Paolo, continuando
a gridare: «Questi uomini sono servi del Dio
Altissimo e vi annunciano la via della
salvezza», Paolo non sopporta la cosa e la fa
tacere. “rivolgendosi allo spirito di uscire da
lei. Lo spirito uscì”. Ma i padroni di lei si
sentono defraudati e quindi lo accusano per
la sua religione giudaica, dai romani per sé
solamente "tollerata", ma che suscita
frequentemente tensione, obbligando le
autorità a dimostrarsi intransigenti. In
carcere Paolo e Sila, nonostante la
flagellazione e le percosse, mantengono un
atteggiamento sereno: pregano e cantano inni
fino a mezzanotte. I carcerati ne sono
meravigliati, anzi affascinati poiché questi
due ultimi incarcerati dimostrano, qui, una
libertà di cuore ed una disponibilità
inconcepibili. Un improvviso terremoto, che
fa cadere le catene e scardina le porte, può
portare alla fuga. Se un carceriere non ferma i
fuggitivi, potrebbe ricevere un castigo
drammatico. E infatti, quando il carceriere si
rende conto delle porte spalancate, nella sua
disperazione vorrebbe suicidarsi. Ma Paolo si
preoccupa di lui e lo salva dalla angoscia. La
conseguenza è la conversione di questa
famiglia riconoscente (non si dice nulla degli
altri prigionieri).Luca, l’autore degli
“Atti degli Apostoli”, e quindi di questo
racconto, vuole suggerire un comportamento
inusuale. Egli vuole ricordare che un
contegno cristiano va inventato di volta in
volta. Esso si struttura sulla profonda
speranza del Signore Gesù che ci fa comunque
liberi; ma si struttura anche sulla
preoccupazione della situazione di chi ti sta
accanto, poiché può aver bisogno della tua
libertà come del tuo aiuto per riprendere la
sua vita e le sue responsabilità. Paolo si
preoccupa di questo e, probabilmente, cerca
di aiutare anche gli altri prigionieri a restare
in carcere, nonostante la possibilità di
fuga. La Pasqua è alla radice di questo stile
di vita. La libertà, capace di accogliere un
cammino anche se faticoso, ci fa fiduciosi e
ricchi di speranza anche per altri. La fatica
di chi può essere in difficoltà diventa un
parametro per soccorrere gratuitamente, senza
nessuna contropartita. Gesù ha sempre pensato
così l’Evangelo: esperienza di qualcuno che lo
abbia conosciuto profondamente, e che cammina
nel mondo con la sua libertà, che si mette a
disposizione di chi ha bisogno, senza timori o
perplessità, per quel che riesce a fare. Così
Paolo salva la vita al carceriere. Si parla di
salvezza poiché con la salvezza fisica si
sviluppa anche, in brevissimo tempo, la
richiesta della salvezza di Gesù. Il
carceriere si sente alla presenza di un potere
ed un comportamento divino. Chiama i
discepoli: "Signori". La risposta dei
missionari è la sintesi della fede cristiana.
C'è un solo Signore e quindi: "Credi nel
Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua
famiglia" (v.31). Di fronte alla fede ci
ritornano in mente le parole di Gesù: “In
verità, in verità vi dico: anche chi crede in
me, compirà le opere che io compio e ne farà di
più grandi, perché io vado al Padre”
(Gv14,12). La conclusione sembrerebbe
corrispondere allo sviluppo dell'educazione alla
fede e quindi al battesimo delle prime
comunità cristiane: istruzione (v.32); battesimo
(v. 33);eucarestia (v. 34).Paolo vive in
una società violenta, ma scopre le alternative
evangeliche nell’itinerario che egli sviluppa
nell’evangelizzare. Risulta difficile
precostituire il che fare, salvo porre alcune
linee di valore e alcuni progetti. Ma la vita
si incarica di proporre segni da parte di Gesù e
richiami dello Spirito per cogliere novità in
noi e individuarle anche negli altri. E’ la
festa quotidiana della novità. |
Lettera ai Colossesi 1, 24-29
Fratelli, io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi
e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca
nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione
affidatami da Dio verso di voi diportare a compimento la
parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da
generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio
volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero
in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È
lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e
istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo
perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la
forza che viene da lui e che agisce in me con potenza. Paolo sta
vivendo, ormai anziano, un tempo di inattività poiché è in
carcere. Da qui scrive quattro lettere dette "della prigionia”
(ai Filippesi, agli Efesini, ai Colossesi e a Filemone). Esse
rappresentano un bilancio ed una scoperta, nello stesso
tempo, per sé e per gli altri. Ripensando alla sua vita che
ha offerto con gioia al Signore Gesù, Paolo sa che ha continuato
a condividere con Lui la sua fatica e la sofferenza di una
trasformazione e di una attesa che è “tribolazione” prima che
avvenga la conclusione della storia. Questa fatica, che si
accompagna a quella di Gesù, porta gioia anche perché è il
suo contributo al crescere della Chiesa e alla fede dei credenti
a cui scrive, sentendosi affezionato a loro. Ora sta
valutando i tanti passi, le peripezie e le scelte, il
ministero come risposta alla missione affidatagli per un
mondo che si è svelato. Paolo sa di avere particolarmente
contribuito a scoprire e a vivere, con gli altri, il grande
segreto di Dio che si è manifestato passo passo (“il mistero
nascosto”) e che ha coinvolto tutta l’umanità, ebrei e
pagani. Attraverso lui Cristo ha continuato a sviluppare la sua
opera e quindi vede con gioia fiorire la Chiesa: luogo di
salvezza di un unico popolo e di un unico corpo. Paolo si
sente testimone e collaboratore di quel mistero, che si è
svelato e che lui ha sperimentato, per cui tutto il mondo
ritorna ad essere unito in Gesù. E questa è la sua gioia, pur
nella fatica. Masa che ogni uomo deve collaborare nella
salvezza, senza preclusione e illusioni a buon mercato,
poiché ogni uomo è chiamato ad essere "perfetto in Cristo".
La fatica e la lotta dell'apostolo per arrivare all'unità,
svelata da Dio, sono possibili perché ciascuno vive la forza
che Dio stesso ha dato e dà: e sarà sorretto nella sua
generosità, continuando a vedere maturare i frutti. Lo
spirito da vivere nella Chiesa è, perciò, uno spirito di
condivisione, di preghiera, di coraggio per un mondo che
cresce, anche se spesso riscontriamo povertà e limiti in noi,
prima di tutto, e poi nella Chiesa stessa. |
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Sala del Cenacolo |
Entrata del cenacolo |
Giovanni 14, 1-11a In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai
discepoli: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate
fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no,
vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e
vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo evi prenderò con me, perché
dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la
via”. Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo
conoscere la via?”.Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la
vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto
me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete
veduto ”.Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”.
Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai
conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu
dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è
in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre,
che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre
e il Padre è in me”. “Non sia turbato
il vostro cuore”. Il turbamento non è la paura, ma è qualcosa di più
sconcertante, perché indica lo sgomento, il disorientamento, il non capire
né vedere le cause dello smarrirsi: è come se all’improvviso ci si
ritrovasse nel buio, peggio, nella nebbia, senza prospettive né
indicazioni. Qui Gesù parla, nella prossimità della sua passione e morte,
parla ai discepoli per rassicurarli, per sostenerli e consolarli. C’è
un clima di emergenza dopo l’Ultima Cena, di sospensione, di qualcosa di
incombente. E Gesù si preoccupa dei suoi discepoli che chiama “amici”,
esortandoli ad una fiducia assoluta: “abbiate fede in Dio e abbiate fede
anche in me”. E’ come se dicesse: “Fidatevi, io non vi abbandono; anzi,
desidero che dove sono io siate anche voi”. Ed è bello pensare che
comunque, in qualsiasi situazione di sconcerto, di disagio, di
scombussolamento, Gesù ci dica: “Fidatevi di me, voglio che niente del
nostro rapporto vada perduto, vi voglio sempre con me: ‘vado a prepararvi
un posto ’”.“Io sono la via, la verità e la vita”. Non siamo
abbandonati a noi stessi o al caso o al turbinio di vicende angoscianti,
anche oggi. Fidatevi, sono con noi; anzi, sono io stesso la via e la vita,
cioè: appoggiatevi a me, che sono una cosa sola col Padre, che vi vuol
bene e vuole per voi il massimo della vitalità e di un senso felice
dell’essere e dell’esistere, proprio perché siamo nel suo cuore. E il
cuore di Dio è verità, è desiderio appassionato e sincero che i suoi figli,
le sue creature, partecipino della sua stessa vita, che è amore, incontro
pieno, “dolcezza senza fine alla sua destra”. E’ difficile parlare e
chiedere fiducia, oggi, nel nostro mondo, dove incombe una mentalità di
diffidenza, di estraneità, di egoismo. Forse Pasqua vuol dire liberarci sa
questi pensieri di morte e aprirci alla misericordia infinita di Dio, al
suo amore insistente. Il fatto è che a questo amore infinito noi non
crediamo davvero. |