
VI DI AVVENTO DOMENICA DELL’INCARNAZIONE DEL
SIGNORE 21.12.2014
Luca. 1, 26-38a Riferimenti : Isaia. 62, 10 - 63, 3b
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salmo 71 - Filippesi. 4, 4-9 |
In te mi rifugio, Signore, ch'io non resti confuso
in eterno. Liberami, difendimi per la tua giustizia, porgimi
ascolto e salvami. Sii per me rupe di difesa, baluardo
inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza. Mio
Dio, salvami dalle mani dell'empio, dalle mani dell'iniquo e
dell'oppressore. Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia
fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal
grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno; a
te la mia lode senza fine. |
Isaia. 62, 10 - 63, 3b
In quei
giorni. Isaia disse: Passate, passate per le
porte, sgombrate la via al popolo, spianate,
spianate la strada, liberatela dalle pietre,
innalzate un vessillo per i popoli». Ecco ciò
che il Signore fa sentire all’estremità della
terra: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco,
arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé
il premio e la sua ricompensa lo precede”. Li
chiameranno “Popolo santo”, “Redenti del
Signore”. E tu sarai chiamata Ricercata, “Città
non abbandonata”» «Chi è costui che viene da
Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso,
splendido nella sua veste, che avanza nella
pienezza della sua forza?». «Sono io, che
parlo con giustizia, e sono grande nel
salvare».«Perché rossa è la tua veste e i tuoi
abiti come quelli di chi pigia nel torchio?».
«Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo
nessuno era con me.
Il
capitolo 62 è il canto dello Sposo per la sposa,
il canto della giustizia e della salvezza che
brillano come stella e come lampada. “Per amore
di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme
non mi concederò riposo, finché non sorga come
aurora la sua giustizia e la sua salvezza non
risplenda come lampada.” (v 1).Su un terreno
che sopporta solo macerie e distruzioni, scende
il nome nuovo dell’amata, “del compiacimento
di Dio”. “Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata, ma
sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in tela sua
delizia e la tua terra avrà uno sposo” (v 4).
C’è un invito alla comunità già presente
sulla terra di Gerusalemme, fatta di poveri. E’
una comunità chiamata a rinnovarsi nell’amore
del Signore per essere capace di accogliere
coloro che giungeranno, attratti dallo splendore
di Gerusalemme, uscendo dalla deportazione.
Perciò, “Passate, passate per le porte,
sgombratela via al popolo, spianate,
spianate la strada, liberatela dalle pietre,
innalzate un vessillo per i popoli» (v 10).
Gerusalemme ripopolata e ricostruita dalla
coraggio e dall’accoglienza, sarà “un popolo
santo, redento dal Signore”. Popolo “santo”
poiché sarà proprietà di Dio, esaltato e fatto
puro, separato dall’ingiustizia e dalla
impurità. E sarà “redento” poiché Dio interviene
con la sua forza e libera la sua famiglia. Il
popolo sarà nuovo e splendente, poiché fedele
allo sposo e quindi sempre rinnovato
dall’amore di Dio. L’orizzonte cambia nei
versetti del capitolo 63. Alle sentinelle che
fanno un guardia attenta e solerte alle
porte, si presenta un solo personaggio e
manifesta la propria identità divina e la sua
opera di giudizio dei popoli. «Sono Io, che
parlo con giustizia, e sono grande nel
salvare». Nessun altro ha saputo regalare la
libertà al suo popolo, ma solo Lui l'ha
conquistata. Colui che bussa alle porte della
città è un guerriero che ha vinto tutti gli
eserciti e torna, sporco di sangue,
vincitore. L’immagine è esaltante per il popolo
che attende intimorito e tremante. La sua
veste rossa è come quella di chi pigia l'uva
dopo la vendemmia. E grida che ha vinto da
solo: “Nessuno era con me”. In questo caso
non c’è un esercito, né un re e nemmeno un
popolo a cui appoggiarsi. E’ il Signore che
combatte e vince coloro che sono potenti. Egli
solo toglie dall’incubo di una guerra e di
una strage da parte degli Edomiti, gli eterni
nemici di Giuda. Il testo richiama il popolo
perché accolga chi arriva ed ha bisogno. Deve
sistemare in qualche modo il selciato, deve
rendere agevole l’ingresso di coloro che
vengono, comunque sprovveduti. Il Natale ci
richiama questa accoglienza, visto che proprio
Gesù, che viene, bambino, in una famiglia di
immigrati a Betlemme, non trova posto poiché
“non c’era posto per loro”. Alcuni drammi,
seri e sconcertanti di occupazioni di case di
persone sole, malate e ricoverate in
ospedale, mentre suscitano ovviamente turbamento
e quindi riprovazione, dovrebbe anche
preoccupare per il fenomeno dell’assoluta
mancanza di case in affitto, sempre crescente
nella nostra società industriale. Da sempre
una società industriale difficilmente ha
permesso la casa in proprietà agli operai ed
impiegati del mondo lavoro, e questo proprio per
la difficoltà di trovare lavoro a sufficienza
sotto casa. Non a caso, in altre nazioni
industrializzate, la casa in proprietà
raggiunge il 40% della popolazione: Germania,
Francia, Inghilterra. Certamente, tra gli
anni 60 e gli anni 80 da noi, c’è stata una
eccezione: nel dopo guerra bisognava
ricostruire gran parte delle case e ci fu quindi
molto lavoro, si richiese una massiccia
immigrazione, furono possibili in una famiglia
due redditi per marito e moglie. Con un po’
di sacrifici gli immigrati hanno potuto
comperare la casa in proprietà. Ma era una
eccezione durata circa 20 anni. In Italia si è
raggiunto addirittura l’80% delle case in
proprietà per la popolazione. Dopo di che, di
fatto, sta sparendo una tale occasione essendo
ritornati alle difficoltà normali di una società
industriale: lavoro ma non per tutti, spesso
dislocato, per cui bisogna andare a cercarlo
dov’è, mancanza di aiuto alla famiglia. In più
una casa in proprietà fa aumentare le spese per
il suo mantenimento. Non a caso Papa
Francesco, nel suo discorso ai movimenti
popolari ha indicato tre diritti
fondamentali: la terra, la casa, il lavoro:
diritti su cui contare possibili a tutti, non
necessariamente a tutti la proprietà. La casa
accessibile per affitto alle famiglie è un
grande impegno politico per cui tutti i
cittadini responsabili dovrebbero impegnarsi. |
Filippesi. 4, 4-9
Fratelli, Siate sempre lieti nel Signore, ve lo
ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il
Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni
circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con
preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che
supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre
menti in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è
vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è
puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è
virtù eciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri
pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e
veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà
con voi! Paolo che, poco prima, ha
ricordato le difficoltà e le contraddizioni contro di lui che
ha affrontato ripete: “Dobbiamo essere lieti”. Paolo scrive
alla sua comunità di Filippi nei cui confronti nutre grandi
sentimento di affetto e di stima, mentre è detenuto ad Efeso
Il tema fondamentale che ci induce alla gioia- dice- è la
vicinanza con Dio. Lo afferma nella prima parte del testo di
oggi (4,4-5) e lo riafferma nella terza parte (4,8-9). Nella
parte centrale (4, 6-7), impegna nella preghiera che apre la
propria vita sul mondo di Dio attraverso una comunicazione
profonda di ringraziamento, di suppliche e di invocazioni. La
pace di Dio possa custodire il cuore e la mente di ciascuno
in Gesù. Proprio perché il Signore è vicino, la preghiera è
potente, è capace di portare serenità poiché custodisce cuore
e menti in Gesù. Coloro che si fidano della vicinanza del
Signore non saranno presi dall’ansia né saranno turbati
dall’angoscia: importante è esporre a Dio ogni necessità. Ma
questi doni di grazia e di pace vanno portati nel mondo
attraverso un prezioso corredo di virtù umane, proprie della
dignità di un adulto. Paolo fa anche un elenco: “Quello che è
nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è
amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita
lode”. Con il numero sette esprime l’orizzonte completo per la
dote di una persona coerente e discepola di Gesù, che porta
nel mondo i valori del rispetto e della convivenza, .Non
serve la fede se non ci si sforza di sviluppare questi
comportamenti. E Paolo sa che sono possibili se si esprimono, se
sono visibili, se cisi sforza pubblicamente di esservi
coerenti. In tal modo Paolo sa che la testimonianza (una
volta si diceva il buon esempio), diventando un abito abituale,
aiuta a capire e a vivere nella società di oggi. Così Paolo
stesso, senza falsa modestia, si presenta loro come modello
di questi comportamenti. Corrisponde al lavoro educativo del
padre che dice al figlio: “Fa come faccio io”. E questo fare
riesce a tradurre le scelte di Gesù. Papa Francesco ritraduce
nella sua lettera “Evangelii gaudium” (n 10):” Un
evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da
funerale”. E cita un brano della “Evangeli Nuntiandi” di
Paolo VI (a 1975) Recuperiamo e accresciamo il fervore, « la
dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando
occorre seminare nelle lacrime […] Possa il mondo del nostro
tempo –che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza –
ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e
scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo
la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in
loro la gioia del Cristo».(75). “ |
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Betlemme - Luogo in cui avvenne L'Incarnazione del Verbo |
Luca. 1, 26-38a
In quel
tempo. Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città
della Galilea, chiamata Nàzaret, a unavergine, promessa sposa di un uomo
della casa diDavide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena digrazia: il Signore è con
te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse
un saluto come questo. L’angelo ledisse: «Non temere, Maria, perché hai
trovato graziapresso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla
luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verràchiamato Figlio
dell’Altissimo; il Signore Dio gli daràil trono di Davide suo padre e
regnerà per sempresulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco
uomo?». Le rispose l’angelo:«Lo Spirito Santo scenderà su di te e la
potenzadell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che
nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua
parente, nella sua vecchiaiaha concepito anch’essa un figlio e questo è
il sestomese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a
Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva delSignore: avvenga per me
secondo la tua parola».
È una domenica importante della
gioia.“Siate lieti; ve lo ripeto: siate lieti” continua a sottolineare
Paolo. Certo, ci sono sorprendenti motivi per essere lieti, cioè gioiosi,
nel profondo, perché non si tratta di effimera allegria: è Dio che si sta
facendo vivo, concretamente vivo della nostra umanità, con la nascita di
Gesù .Nel Vangelo dell’Annunciazione, da lasciar risuonare la nostra fede
parola per parola (ognuna grande, ognuna semplice, ognuna essenziale)
spicca la domanda di Maria: “Come avverrà questo?”.È una domanda
legittima, perché il Signore non richiede dei Fiat a mente cieca,
volutamente supina, ma desidera il consenso della libertà che aderisca al
suo progetto. Ed è significativo che la domanda parta da una donna, anzi
da una ragazzache, all’improvviso, si trova coinvolta in qualcosa di più
grande dei suoidesideri di giovane ebrea, promessa sposa a rischio. La
fede è sempre legata alla dignità della persona (e qui è importante che si
tratti di una donna, in cui viene riposta la fiducia di Dio).E con questa
fiducia reciproca, ad occhi aperti e cuore spalancato, possono avvenire
“cose grandi”, “magnifiche”, può cambiare addirittura nel corso della
storia: un Dio che si fa piccolo e la donna Maria che si fa grande della
piccolezza di Dio.
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